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Eredità e riappropriazioni indigene decoloniali dell’antropofagia di Oswald de Andrade

Heritage and indigenous decolonial reapropriation of Oswald de Andrade’s antropophagy

ABSTRACT

Ripercorrendo il successo e il lungo cammino dell’Antropofagia culturale di Oswald de Andrade, l’articolo intende riflettere sul modo in cui è stata recentemente risignificata a partire da contributi teorici e artistici indigeni. Considerando le critiche mosse da tali riappropriazioni, questo testo si propone di leggere l’Antropofagia come proposta onto-politica di alleanza e trasformazione decoloniale, in connessione con produzioni e scritture contemporanee.

PAROLE-CHIAVE:
Antropofagia; Oswald de Andrade; Jaider Esbell; saperi indigeni; cultura brasiliana contemporanea

ABSTRACT

By retracing the success and the long journey of Oswald de Andrade's cultural Anthropophagy, the article aims to reflect upon how it has recently been reinterpreted through indigenous theoretical and artistic contributions. Considering the critique related to such reappropriations, this paper reads Anthropophagy as an onto-political proposition for an alliance and a decolonial transformation, in connection with contemporary productions and writings.

KEY-WORDS:
Anthropophagy; Oswald de Andrade; Jaider Esbell; indigenous knowledge; contemporary brazilian culture

RESUMO

Analisando o sucesso e o longo percurso da Antropofagia cultural de Oswald de Andrade, o artigo pretende refletir sobre a forma como ela foi recentemente redesenhada a partir de contribuições teóricas e artísticas indígenas. Considerando as críticas elaboradas por essas reapropriações, o texto entende ler a Antropofagia como uma proposta onto-política de aliança e transformação decolonial, em conexão com produções e escritas contemporâneas.

PALAVRAS-CHAVE:
Antropofagia; Oswald de Andrade; Jaider Esbell; saberes indígenas; cultura brasileira contemporânea

Nel 2022, per i cento anni dal movimento modernista brasiliano, sono sorti importanti contributi non solo per celebrare il ruolo storico-culturale dell’Antropofagia, figlia del movimento che nacque poco anni dopo la Semana de Arte Moderna di São Paulo, ma anche e soprattutto per riflettere sulla sua relazione con il presente e con il futuro, esplicitando la permanenza, la grande vitalità e la trasformazione del concetto elaborato da Oswald de Andrade a partire dal 1928.

Occorre però ricordare che il “successo” dell’Antropofagia non fu immediato. Gli anni ’40 e ’50, ultimi anni di vita dell’autore, sono stati anni difficili in termini di apprezzamento della sua opera. Nell’antologia Apresentação da Poesia Brasileira, pubblicata da Manuel Bandeira nel 1946, nessuna poesia di Oswald de Andrade venne menzionata. E quest’assenza fu una grande delusione perché, come afferma Gonzalo Aguilar, Bandeira da un lato si poneva come leggittimatore di un canone nazionale e dell’altro fu un alleato di Oswald de Andrade in molte battaglie ( AGUILAR, 2021AGUILAR, Gonzalo. Os Herdeiros da Antropofagia. In: ANDRADE, Gênese (org.). Modernismos 1922-2022. São Paulo: Companhia das Letras, 2021. p. 723-753. ). All’epoca, Oswald de Andrade era considerato un avanguardista datato o un cabarettista privo di coscienza politica, come afferma Caetano Veloso (1997VELOSO, Caetano. Verdade Tropical. São Paulo: Companhia das Letras, 1997. ) e, infatti, Bandeira non faceva mistero dei suoi giudizi negativi sulle poesie del collega. Forse, anche e soprattutto a causa di questo clima di ostilità, Oswald de Andrade cercò altre forme di riconoscimento istituzionale, dal punto di vista critico e teorico, nell’Università di São Paulo, partecipando a un concorso per diventare professore di Filosofia, per cui scrisse il saggio A crise da Filosofia messiânica ( ANDRADE, 2011bANDRADE, Oswald de. A crise da Filosofia messiânica. In: ANDRADE, Oswald de. A Utopia Antropofágica. São Paulo: Globo, 2011b. p. 138-215.). Anche questo tentativo, però, non diede frutti.

L’inizio del lungo cammino di contaminazione dell’Antropofagia risale, infatti, solo agli anni ’50 e ’60 e al lavoro di riabilitazione dello scrittore compiuto dai poeti concretisti, soprattutto Augusto e Haroldo de Campos. Da allora, passando attraverso appropriazioni teatrali, politiche e contro la dittatura militare del Teatro Oficina de José Celso, l’Antropofagia è divenuta onnipresente nella scena culturale brasiliana tanto da trasformare Oswald de Andrade in un autore più che consacrato nella storia letteraria brasiliana e, nello stesso tempo, in un simbolo contestatorio e trasgressore, un “autore contra-canonico del canone”, come lo definisce Aguilar (2021AGUILAR, Gonzalo. Os Herdeiros da Antropofagia. In: ANDRADE, Gênese (org.). Modernismos 1922-2022. São Paulo: Companhia das Letras, 2021. p. 723-753. ).

L’eredità antropofagica ha alimentato, incessantemente, diversi esperimenti letterari e culturali, dal Tropicalismo degli anni ’60 fino all’ Antropopfaghia di Beatriz Azevedo del 2014; dal Manifesto Coprofágico di Glauco Mattoso del 1977 al Manifesto da Antropofagia Periférica della Semana da Arte Moderna da Periferia del 2007; dalla performance RegurgitofiaMELAMED, Michel. Regurgitofagia. Rio de Janeiro: Objetiva, 2005. di Michel Melamed del 2004 fino al Digesto Antropofágico di Daniel Piza del 2011PIZA, Daniel. Digesto Antropófago . In: ROCHA, João Cesar de Castro; JORGE, Ruffinelli (org.). Antropofagia hoje? Oswald de Andrade em cena. São Paulo: É Realizações, 2011. p. 63-65..

Tuttavia, al di là dell’innegabile contaminazione artistica, è particolarmente interessante la svolta concettuale e teorica che l’Antropofagia ha prodotto nella storia del pensiero brasiliano. Nel 1975 Haroldo de Campos pubblica il saggio Da razão antropofágica: diálogo e diferença na cultura brasileiraCAMPOS, Haroldo. Da razão antropofágica: diálogo e diferença na cultura brasileira. In: CAMPOS, Haroldo. Metalinguagem e outras metas: Ensaio de teoria e critica Literária. São Paulo: Perspectiva, 1992. p. 231-256. e fa dell’Antropofagia uno strumento teorico capace di proporre una “transvalorizzazione” e un modo alternativo di pensare la periodizzazione e il metodo di definizione del canone, come globale, sincronico, sempre aperto e in costellazione. L’antropofagia dei concretisti era letta e utilizzata come attitudine di creazione trasgressiva e come decostruzione teorica - cammino che percorrerà anche Silviano Santiago - e non come semplice ontologia nazionalista o metafora culturale.

Tuttavia, nel corso del tempo, si sono moltiplicate le distorsioni e strumentalizzazioni nazionaliste del concetto, letto come capacità tipicamente brasiliana di incorporazione di ciò che è straniero (prestandosi a interpretazioni identitarie e ufaniste) o come semplice incorporazione culturale delle diversità (prestandosi ad appropriazioni neoliberiste), nonostante non appaia nessuna affermazione oswaldiana, nel Manifesto e in altre opere posteriori, che giustifichi tale semplificazione. Al contrario, in queste opere l’autore definisce l’Antropofagia come Welthanschaung, filosofia della divorazione, possibilità di “andata” verso l’“uomo naturale”, visione e costruzione di mondi alternativi e anticoloniali (la rivoluzione caraiba).

In tal senso, e soprattutto per cercare di proporre una riflessione critica che distruggesse tutte le interpretazioni problematiche e attualizzasse la discussione sull’Antropofagia, nel 2011 João Cesar de Castro Rocha e Jorge Ruffinelli curarono la pubblicazione di una delle più ampie e importanti raccolte di saggi sul tema (687 pagine e più di 50 autori): Antropofagia hoje: Oswald de Andrade em cena.ROCHA, João Cesar de Castro; JORGE, Ruffinelli. (org.). Antropofagia hoje? Oswald de Andrade em cena. São Paulo: É Realizações, 2011. Tuttavia, sono trascorsi più di dieci anni da questa pubblicazione e moltissime trasformazioni hanno investito la vita culturale e politica brasiliana. Se l’Antropofagia è felicemente (quasi) liberata dalla camicia di forza della brasilianità, come affermava João Cesar de Castro Rocha, quali sono le sue eredità oggi, nel 2022? Come è ancora utilizzata e compresa, culturalmente e teoricamente? Quali le nuove sfide, letture e critiche?

Nell’antologia citata, per esempio, non compaiono contributi di autori o autrici indigene, che cominciarono a occupare la scena letteraria e culturale legata all’Antropofagia in particolare grazie al lavoro artistico e critico di Jaider Esbell (l’importantissima Galeria Jaider Esbell de Arte Indígena Contemporânea venne inaugurata a Boa Vista nel 2013). I lavori artistici e teorici dei e delle indigene, insieme alle conquiste degli studi culturali in termini di coscienza della centralità dell’autore o autrice, della voce di chi parla, produce e scrive, permisero l’emersione di una sorta di disputa della parola in relazione all’Antropofagia. Se, come afferma Ettore Finazzi-Agrò ( 2001FINAZZI-AGRÒ, Ettore. O princípio em ausência: o lugar pré-liminar do índio na cultura brasileira. Scripta, v. 4, n. 8, p. 21-31, 2001. Disponível em: http://periodicos.pucminas.br/index.php/scripta/article/view/10391 . Acesso em: 11 nov. 2022.
http://periodicos.pucminas.br/index.php/...
), la figurazione dell’indio nella cultura brasiliana pone sempre in scena una “origem em ausência”, le elaborazioni teoriche, generate esclusivamente da un gruppo di privilegiati artisti e intellettuali dalla metropoli brasiliana sulla pratica indigena dell’Antropofagia, rendevano evidente la distanza che riproduceva sempre, costantemente, un’assenza e un silenziamento.

Per tale ragione, un gruppo di artisti indigeni, attraverso contributi letterari, artistici e teorici, ha promosso un movimento di riorientamento antropofagico e di revisione critica radicale rispetto agli effetti del modernismo nato dalla celebre Semana del 1922. In tal senso, un importante evento è stata la mostra Re-Antropofagia, organizzata nel Centro da Arte da Universidade Federal Fluminense (UFF) nel 2019. Tutti gli artisti invitati erano indigeni, di diverse etnie (tra loro Jaider Esbell, Daiara Tukano, Sueli Maxakali, Aredze Xukurú). Ciascuno di loro è stato invitato a scrivere un testo di presentazione del proprio lavoro e della propria traiettoria.

Uno dei due curatori, Denilson Baniwa, in una conferenza tenuta all’Universidade Federal de São Paulo, ha affermato che gli artisti indigeni contemporanei intendono associare l’Antropofagia degli Andrade con quella dei Tupinambá, realizzando riletture e appropriazioni ( GOLDSTEIN, 2019GOLDSTEIN, Ilana Seltzer. Da “representação das sobras” à “reantropofagia”: Povos indígenas e arte contemporânea no Brasil. MODOS: Revista de História da Arte, Campinas, v. 3, n. 3, p. 68-96, 2019. Disponível em: Disponível em: https://periodicos.sbu.unicamp.br/ojs/index.php/mod/article/view/8663183 . Acesso em: 11 nov. 2022.
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). Un esempio esplicativo di questa prospettiva sono proprio i suoi lavori sarcastici esposti nella mostra Vaievém, nel CCBB-SP, nel 2019: nella copia dell’acquerello Un savant travaillant dans son cabinet (1827) di Jean-Baptiste Debret, l’artista pone un indigeno seduto su un tronco che osserva l’europeo che scrive nel suo quaderno. In basso, sotto l’immagine, appare la provocazione e l’inversione di prospettive e ruoli: “o antropólogo moderno já nasceu antigo”.

Con lo stesso spirito critico, l’esposizione Re-Antropofagia si apre con una tela che è già una dichiarazione d’intenti: una testa mozzata, fusione di Mário de Andrade con Grande Otelo (attore che ha interpretato Macunaíma nell’omonimo film de Joaquim Pedro de Andrade). Insieme alla testa, appare il libro Macunaíma e un piccolo biglietto che rimanda alla poesia Re-antropofagia dello stesso autore: “Aqui jaz o simulacro Macunaíma, jazem juntos a ideia de povo brasileiro e a antropofagia temperada com bordeaux e pax mongólica. Que desta longa digestão renasça Makünaimî e a antropofagia originária que pertence a nós, indígenas” ( BANIWA, 2021BANIWA, Denilson. ReAntropofagia. New York: The Brooklyn Rail, 2021. Disponível em: Disponível em: https://brooklynrail.org/2021/02/criticspage/ReAntropofagia . Acesso em: 10 nov. 2022.
https://brooklynrail.org/2021/02/critics...
, s/p).

Il riferimento a Makünaimî (nome riconfigurato seguendo una strategia di riappropriazione delle parole secondo lingue e pronunce indigene) ci rinvia al lavoro letterario e teorico di Jaider Esbell, grande artista e scrittore indigena macuxi che si suicidò un anno fa, lasciando un enorme vuoto nella cultura contemporanea e nei percorsi di lotta e visibilizzazione delle popolazioni indigeni del Brasile. Nel 2018, Esbell scrisse un testo provocatorio, nella rivista Iluminuras, intitolato Makunaima, meu avó em mim. Presentandosi come suo discendente diretto, denunciava il sequestro di Makunaimî compiuto dall’etnologo tedesco Theodor Koch-Grunberg e da Mário de Andrade che lo usò come fonte, e si proponeva di restituire una dimensione indigena alla sua comprensione.

L’anno successivo, nel 2019, pubblicò, insieme a molte altre voci, un testo collettivo, Makunaima: o mito através do tempo,RENNO, Iara (org.). Makunaíma: o mito através do tempo. São Paulo: Editora Elefante, 2019. pensato come opera teatrale, da realizzare nella casa di Mário de Andrade, in cui si metteva in scena un dialogo tra il noto scrittore e diversi personaggi reali e fittizi, tra cui lui. E anche qui l’Antropofagia fa la sua comparsa provocatrice.

Attraverso queste opere, Esbell denunciava due fondamentali questioni. In primo luogo, criticava l’appropriazione culturale di cosmologie e saperi indigeni, sempre resi invisibili o strumentalizzati nella costruzione di una cultura nazionale. La sua lettura e quella di Baniwa vanno infatti nella direzione di considerare il riferimento all’Antropofagia e agli antropofagi un’operazione consentita a chi ha accesso a una specifica cultura, vissuta come spazio di appartenenza che, in quanto tale, come afferma Rodney William in un testo dedicato all’appropriazione culturale, non può essere dominio di tutti ( WILLIAM, 2019WILLIAM, Rodney. Apropriação cultural. São Paulo: Editora Polén, 2019.). Ma, oltre ciò, intendono soprattutto prendere parola e risignificare una pratica riguardo cui i diretti interessati non hanno avuto possibilità di ascolto: “Para além dessas leituras sobre a apropriação indevida da prática antropofágica, o que nós artistas e intelectuais nativos podemos dizer ou trazer para compor essas infindáveis discussões?” ( ESBELL, 2021ESBELL, Jaider. Uma história devolvida - notas sobre antropofagia. Das Questões, v. 11, n. 1, p. 287-290, 2021. Disponível em: https://periodicos.unb.br/index.php/dasquestoes/article/view/37252 . Acesso em: 11 nov. 2022.
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, p. 289)

La critica di Esbell fugge infatti dal paradigma vittimario e crea spazio di riappropriazione. Attraverso un dialogo letterario, Esbell mette in scena un processo di trasmissione della memoria in cui suo nonno Makunaimî appare come agente attivo - e non come vittima - di un processo di contro-appropriazione culturale (Re-antropofagia):

Assim me diz ele: Meu filho eu me grudei na capa daquele livro. Dizem que fui raptado, que fui lesado, roubado, injustiçado, que fui traído, enganado. Dizem que fui besta. Não! Fui eu mesmo que quis ir na capa daquele livro. Fui eu que quis acompanhar aqueles homens. Fui eu que quis ir fazer a nossa história. Vi ali todas as chances para a nossa eternidade. Vi ali toda a chance possível para que um dia vocês pudessem estar aqui junto com todos. Agora vocês estão juntos com todos eles e somos de fato uma carência de unidade. Vi vocês no futuro. Vi e me lancei. Me lancei dormente, do transe da força da decisão, da cegueira de lucidez, do coração explodido da grande paixão. Estive na margem de todas as margens, cheguei onde nunca antes nenhum de nós esteve. Não estive lá por acaso. Fui posto lá para nos trazer até aqui. ( ESBELL, 2018ESBELL, Jaider. Makunaima, o meu avô em mim. Iluminuras, Porto Alegre, v. 19, n. 46, p. 11-39, 2018. Disponível em: Disponível em: https://seer.ufrgs.br/iluminuras/article/view/85241 Acesso em: 11 nov. 2022.
https://seer.ufrgs.br/iluminuras/article...
, p. 6)

In secondo luogo, assumendo una discendenza diretta e viva, Esbell criticava la visione dell’indigeno come essere primitivo, imprigionato in un eterno passato ancestrale. Infatti, come afferma la scrittrice indigena Márcia Waina Kambeba in Saberes da floresta (2020KAMBEBA, Márcia Waina. Saberes da floresta. São Paulo: Editora Jandaíra, 2020.), esiste una radicata convinzione che porta a pensare che gli indigeni oggi vivano necessariamente nella foresta, senza indumenti, in capanne ecc. La stessa convinzione che alimenta narrazioni univoche che non consentono di dare spessore alla varietà e diversità di lingue, culture e popolazioni indigene esistenti oggi in Brasile.

Un esempio è piuttosto significativo per mostrare quanto sia urgente e profondo il lavoro da fare in termini di conoscenza. Nel 2018, nel numero 37 della rivista Select, venne pubblicato un articolo: Dos Tupinambá aos Huni Kuin: arte contemporânea brasileira em risco. Le due autrici, Ana Avelar e Ana Magalhães, riflettevano sulla cultura e arte contemporanea, menzionando anche l’Antropofagia. Tuttavia, in un determinato passaggio, si riferivano ai Tupinambá come estinti, nonostante siano invece vivi e attivi e nonostante reclamino, con evidente ragione, di essere vittime di un processo di invisibilizzazione. Nei commenti della pagina web della rivista appare infatti una voce inattesa, Anápuáka Muniz Tupinambá: “Eu morri? Meu povo morreu revista Select? Vocês acabaram de fazer o genocídio midiático dando uma falsa notícia ou é ignorância da revista e da equipe?” ( AVELAR; MAGALHÃES, 2018AVELAR, Ana; MAGALHÃES, Ana. Dos Tupinambá aos Huni Kuin: arte contemporânea brasileira em risco. Select, 2018. Disponível em: Disponível em: https://www.select.art.br/tupinamba-huni-kuin-arte-contemporanea-brasileira-risco/ Acesso em: 10 nov. 2022.
https://www.select.art.br/tupinamba-huni...
, n.p.). Molti altri commenti seguirono. Per scusarsi, la rivista pubblicò una breve nota intitolata “erramos” e affidò uno spazio di riflessione a un testo di Jaider Esbell.

La questione radicale che Esbell pone, e che questo esempio mostra, è proprio quella della possibilità di costruzione di veri processi decoloniali in connessione con l’interesse, l’ascolto, la conoscenza e lo studio diffuso di culture indigene e non occidentali. In altre parole, è necessario amplificare i processi di considerazione del proprio lugar de fala ( RIBEIRO, 2019RIBEIRO, Djamila. Lugar de fala. São Paulo: Editora Polén, 2019. ), ma è altrettanto necessario, soprattutto, moltiplicare i lugares de escuta:

O lugar da escuta é o lugar da des-autoria. Por isso, importa a prática de escrever no lugar da escuta, para não apenas reproduzir as falas de outrem, mas tentar deixar que outras falas falem por nosso corpo textual. Trata-se então de um movimento duplo e reverso: a autoria indígena desautorizando a autoria brasileira. O que a AIC [Arte Indígena Contemporânea] vem fazendo é mostrar que o que tem de ser alterado, transformado, transubstanciado, é o adjetivo-selo de propriedade “brasileira” - é um desfazer da autoridade - um desfazer pelas vozes e artes indígenas - que já não são “indígenas” genericamente, mas têm local, nome e etnia, e línguas outras que as línguas portuguesa e brasileira. Retomada, que põe em questão os artistas e pensadores modernistas e da Antropofagia, ou sua institucionalização representativa da “cultura brasileira” e das interpretações do Brasil, e dos estudos brasileiros, e das instituições artísticas, e dos manuais educacionais, e da história pátria. Ou as/os artistas-pensadores modernistas e da Antropofagia, em 1922, 1924, 1928, e depois, e os de hoje, atuais, são afiliados, parentes, pajés também, brothers and sisters da amerindianidade, ou não. Estamos presenciando uma virada epistêmica, que acentua a diferença entre indígenas e não indígenas, sem eliminar o diálogo entre as partes que manifestam interesses de devir em comum... ( LIBRANDI, 2021LIBRANDI, Marilia. Jaider Esbell, Makunaimã Manifesto e a cosmopolítica da arte. In: ANDRADE, Gênese (org.). Modernismos 1922-2022. São Paulo: Companhia das Letras, 2021. p. 779-807. , posizione 15295 e-book)

Le riflessioni di Librandi ci invitano a ripensare l’Antropofagia, oggi, a partire dal movimento contemporaneo di arte e di letterature indigene e proponendo diverse sfide: ri-descrivere artiste, artisti, autori e autrici della traduzione brasiliana come “traduttori”, transcriatori e trascriatrici, in modo da ripensare il ruolo delle e degli autori nazionali e risituarli come collaboratori e interlocutrici delle cosmogonie; mettere in evidenza il debito brasiliano e accentuare il dono indigeno, per esempio il debito modernista con i saperi indigeni. Tutte proposte che, a partire dalla consapevolezza di differenti luoghi di enunciazioni e di necessari luoghi di ascolto, sono volte a pensare nuove alleanze decoloniali, nuovi dialoghi trasformatori.

Infatti, lo stesso Esbell esplicita la necessità di questo dialogo e di questo divenire in comune, basati sulla disponibilità a rimettere in discussione letture consolidate rispetto a tradizioni culturali e sul (ri)conoscimento come possibilità di comprensione:

Um sentido para a existência da Pan-Amazônia e seus povos passa nas mãos de Macunaíma. Existe, onde me empenho em levar, um pleno sentido para além dos factoides sobre a preguiça e a falta de caráter do Makunaima. De fato nem quero falar destas questões, embora tenham sido elas que nos trouxeram para este ponto. Existe todo um entremeio não de explicação, mas de possibilidade de entendimento. Sem adentrar as portas das cosmovisões dos povos originários não há como discutir decolonização. Sem considerar as culturas mexidas e hoje abertas para a discussão com parte humana representada não há como discutir fronteira alguma. ( ESBELL, 2018ESBELL, Jaider. Makunaima, o meu avô em mim. Iluminuras, Porto Alegre, v. 19, n. 46, p. 11-39, 2018. Disponível em: Disponível em: https://seer.ufrgs.br/iluminuras/article/view/85241 Acesso em: 11 nov. 2022.
https://seer.ufrgs.br/iluminuras/article...
, p. 3).

Nonostante il giudizio di Esbell sugli antropofagi paulisti sia radicalmente critico, le sue riflessioni teoriche invitano a pensare come lavorare insieme per questo “entendimento decolonial”. In questa direzione, anche considerando i limiti legati al momento storico e allo specifico luogo di enunciazione di Oswald de Andrade, ritengo che il suo pensiero sia ancora visionario e possa ancora essere un prezioso strumento per accompagnare quella “virada epistémica” e quella necessaria rilettura dei debiti contratti con le culture indigene di cui parla Marília Librandi.

All’inizio del 2022ANDRADE, Oswald de. Diário Confessional. São Paulo: Companhia das Letras, 2022. è stato pubblicato Diário Confessional, una raccolta di testi inediti di Oswald de Andrade, conservati in quaderni che appartengono all’archivio della figlia Marília. Tra questi, un manoscritto (incompiuto) intitolato A antropofagia como visão do mundo. Nel frontespizio il testo riporta la data del 1930 ma alla fine del quaderno a lato di alcune frasi appaiono date posteriori, 1946 e 1950, testimonianza del lungo e continuo lavoro di sistematizzazione teorica del concetto. Questo testo, denso di formulazioni e concetti che non appaiono in altre opere oswaldiane, si alimenta del riferimento costante, e ben più insistente rispetto ad altri testi, all’“uomo naturale”. Di fatto, la visione del mondo antropofagica, matriarcale e collettivista è fondata sull’idea di un percorso di avvicinamento, di “andata” - e non di ritorno - all’“uomo naturale” e utilizza riferimenti a cosmogonie e pratiche indigene mescolate però con altri riferimenti teorici, politici e filosofici. Per esempio, come ci ricorda Eduardo Viveiros de Castro (2022CASTRO, Eduardo Viveiros de. A antropofagia contra o Estado: Oswald de Andrade e o matriarcado transcendental. Colóquio Internacional “Na semana que vem”. IEL Unicamp, 2022. 1 vídeo (89 min 59 seg). Disponível em: Disponível em: https://www.youtube.com/watch?v=_2E3BgHpm7o&list=PL28Xomry0aoeId03HtCjrK0JG_TAN-OAp&index=11&t=3142s . Acesso em: 11 nov. 2022.
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), le comunità Tupinambá non erano e non sono matriarcali. I concetti oswaldiani sono, evidentemente, concetti onto-filosofici e non esperienziali o etnografici, pensati per proiettare l’Antropofagia verso il futuro e verso un territorio utopico e mito-poetico (non a caso Benedito Nunes (2011NUNES, Benedito. Antropofagia ao alcance de todos. In: ANDRADE, Oswald de. A Utopia Antropofágica. São Paulo: Globo, 2011. p. 7-56.) sceglie di parlare di “utopia antropofagica” curando una delle principali raccolte di testi oswaldiani sull’Antropofagia).

Per comprendere meglio questo aspetto e per rispondere alle riconfigurazioni imposte dalla consapevolezza del proprio luogo di enunciazione, è importante comprendere cos’è l’“uomo naturale” di cui parla Oswald de Andrade. Una recente conferenza di Alexandre Nodari Filhos do sol e mãe dos viventes: os nos-outros do Manifesto Antropófago (2022NODARI, Alexandre. Filhos do sol, mãe dos viventes: os nós-outros do Manifesto Antropófago. Colóquio Internacional “Na semana que vem” - Mesa 6: Devoração Pura e Eterna. IEL Unicamp, 2022. 1 vídeo (128 min 19 seg). Disponível em: https://www.youtube.com/watch?v=cWmRobtM9Oo&list=PL28Xomry0aoeId03HtCjrK0JG_TAN-OAp&index=9&t=3874s . Acesso em: 11 nov. 2022.
https://www.youtube.com/watch?v=cWmRobtM...
) propone una riflessione interessante in questa direzione. Nel Manifesto il riferimento alla prima persona appare solo due volte. In tutti gli altri aforismi è invece utilizzata sempre la prima persona plurale. Qui è questo “nós” a cui peraltro non si riferisce solo il Manifesto ma molti testi posteriori, che non smettono di riprenderlo e citarlo? Un esempio è Mensagem ao Antropófago desconhecido del 1946:

Só o homem natural foi natural nos trópicos, onde não caminhou como as formigas de Esquilo na direção de Prometeu. É preciso ouvir o homem nu. “Queremos a revolução caraíba. A unificação de todas as revoltas eficazes na direção do homem. Sem nós, a Europa não teria sequer a sua pobre Declaração dos Direitos Humanos”. “Já tínhamos o comunismo. Já tínhamos a língua surrealista. A idade do Ouro” [...] Nós proclamávamos há vinte anos, em manifesto, a excelência da Antropofagia. Visão do mundo. “Contra as histórias do homem que começam no cabo Finisterra”. ( ANDRADE, 1991bANDRADE, Oswald de. Mensagem ao Antropófago desconhecido . In: ANDRADE, Oswald de. Estética e Política. São Paulo: Globo, 1991b. p. 285-286., p. 285)

Nodari mostra che il “noi” antropofago non è l’affermazione di un’identità indigena, ma “é a proposição de uma aliança político-ontológica com os povos ameríndios, uma frente ampla contra a colonização que toma a lógica ou ontológica da Antropofagia Tupinambá como exemplo-vanguarda de saída do conflito edípico-genealógico-patriarcal da tradição” ( NODARI, 2022NODARI, Alexandre. Filhos do sol, mãe dos viventes: os nós-outros do Manifesto Antropófago. Colóquio Internacional “Na semana que vem” - Mesa 6: Devoração Pura e Eterna. IEL Unicamp, 2022. 1 vídeo (128 min 19 seg). Disponível em: https://www.youtube.com/watch?v=cWmRobtM9Oo&list=PL28Xomry0aoeId03HtCjrK0JG_TAN-OAp&index=9&t=3874s . Acesso em: 11 nov. 2022.
https://www.youtube.com/watch?v=cWmRobtM...
, n.p.). Concordando com Nodari, è utile ricordare anche che nella Revista da Antropofagia Oswald de Andrade lascia intendere chiaramente che l’“uomo naturale”, sinonimo di antropofago, non è l’indigeno:

O homem natural que nós queremos pode tranquilamente ser branco, andar de casaca e de avião. Como também pode ser preto e até índio. Por isso o chamamos de ‘antropófago’ e não tolamente de ‘tupi’ ou ‘pareci. ( ANDRADE, 1975ANDRADE, Oswald de. Uma adesão que não queremos. Revista de Antropofagia, 1975. (Reedição fac-similada da 1ª e 2ª “dentições”1928- 1929). , s/p)

Non è l’origine fenotipica o etnica a determinare quello che Oswald de Andrade definisce come “uomo naturale”, ma la visione del mondo e la relazione che questo uomo - o questa donna o altro, occorrerebbe aggiungere - stabilisce con gli altri e le altre, con l’ambiente e con il mondo, rompendo logiche gerarchizzanti, coloniali, patriarcali e messianiche. Si tratta quindi di un’espressione che consolida l’idea di resto/resistenza della cultura antropofagica in Brasile, ovvero di una connessione resistente attraverso il suolo, la terra, i saperi indigeni:

Com toda a libidinagem da gente branca, não foi no entanto destruído o que melhor restava no natural das Américas. A sua cultura resistiu no fundo das florestas, como na recusa a toda força escravizante. ( ANDRADE, 1991aANDRADE, Oswald de. O Antropófago. In: ANDRADE, Oswald de. Estética e Política. São Paulo: Globo, 1991a. p. 233-284., p. 284)

L’antropofago è infatti l’immagine di una possibilità, di un modello alternativo di vita, politica e pensiero che implica tanto la connessione con una visione ancestrale, attraverso un rituale-simbolo dell’Antropofagia, quanto la visione di un altro futuro, in chiave utopica. E se l’immagine speculare del “barbaro tecnicizado”, più volte richiamata da Oswald de Andrade, risulta oggi eccessivamente intrisa di spirito modernizzatore e tecnofilo, il significato che contiene è invece ancora proficuo se inquadrato in quella configurazione di “futuro ancestrale” di cui parla anche Ailton Krenak (2022KRENAK, Ailton. Futuro Ancestral. São Paulo: Companhia das Letras, 2022. ).

È dunque fondamentale ricordare che l’Antropofagia è stata pensata - e deve essere pensata oggi - come concetto filosofico-politico per connettere indigeni e non indigeni nella ricerca di un divenire in comune - un divenire-indio - che riconosca le differenze, abbia coscienza dell’esempio che le visioni del mondo indigene rappresentano e cerchi di stabilire alleanze decoloniali e trasformatrici. E lo scrittore aveva grande coscienza dell’importanza che questo concetto, tema, riferimento di teoria e di prassi avrebbe assunto nel tempo:

Devido ao meu estado de saúde, não posso tornar mais longa esta comunicação que julgo essencial a uma revisão de conceitos sobre o homem da América. Faço pois um apelo a todos os estudiosos desse grande assunto para que tomem em consideração a grandeza do primitivo, o seu sólido conceito de vida como devoração e levem adiante toda uma filosofia que está para ser feita. ( ANDRADE, 1991cANDRADE, Oswald de. A reabilitação do primitivo. In: ANDRADE, Oswald de. Estética e Política. São Paulo: Globo, 1991c. p. 231-232., p. 232) 1 1 Comunicazione scritta per l’Incontri degli Intellettuali, realizzato a Rio de Janeiro, nel 1954, e inviata a Emiliano Di Cavalcandi per essere lettera (Conservata oggi nell’Università di Campinas).

Nonostante ciò, sono innegabili le premesse limitate del gesto di recupero dell’Antropofagia da parte di Oswald de Andrade. Esbell, nel suo libro di racconti Tardes de Agosto Manhãs de Setembro Noites de Outubro (2013ESBELL, Jaider. Tardes de Agosto Manhãs de Setembro Noites de Outubro. Boa Vista: Edição do Autor, 2013.) scriveva che non si può cercare in libri antichi ciò che il Vecchio Mondo non ha conosciuto. La ripresa concettuale delle pratiche antropofaghe che Oswald de Andrade proponeva si fondava, tuttavia, proprio e in grande parte, su conoscenze libresche e occidentali, non su un lavoro etnografico, empirico, di condivisione in connessione con voci indigene (tra i motivi per cui Esbell e altri autori e autrici indigeni la considerano una forma di appropriazione culturale). Tuttavia, nonostante i limiti in termini di luogo di enunciazione e conoscenza, il gesto culturale e teorico che lo scrittore paulista propone, nel suo divenire e nel suo fare dell’Antropofagia un paradigma di auto-critica, di messa in discussione del proprio mondo, delle proprie premesse epistemiche, occidentalocentriche e culturali, può diventare oggi, ripreso e riletto stabilendo quelle connessioni reali mancanti, un radicale gesto di ascolto.

Quell’“origem em ausência” di cui parla Finazzi-Agrò ( 2001FINAZZI-AGRÒ, Ettore. O princípio em ausência: o lugar pré-liminar do índio na cultura brasileira. Scripta, v. 4, n. 8, p. 21-31, 2001. Disponível em: http://periodicos.pucminas.br/index.php/scripta/article/view/10391 . Acesso em: 11 nov. 2022.
http://periodicos.pucminas.br/index.php/...
) può essere ripensata invertendo la lettura e facendo del concetto di assenza una forma di riappropriazione. Creare assenze è creare silenzio dove la parola altrui impediva l’ascolto. Rileggere e riscrivere significa ribaltare il luogo dell’assenza, significa “tornare” e fare vuoto dove la fantasia e l’inganno hanno scritto la storia degli altri e delle altre, per gli altri e per le altre:

As investidas em re-caracterizar o nosso herói exige matéria de tudo à nossa volta. Voltar é deslocar criando ausências onde já com o tempo e o vício a fantasia se vestia de verdade. ( ESBELL, 2019ESBELL, Jaider. Passo a passo Makunaima. Galeria Jaider Esbell, 2019 Disponível em: Disponível em: http://www.jaideresbell.com.br/site/2019/02/26/passo-a-passo-makunaima/ . Acesso em: 11 nov. 2022.
http://www.jaideresbell.com.br/site/2019...
, n.p.)

L’assenza è così associata alla possibilità del silenzio, condizione necessaria perché venga abbattuto il rumore che la parola e la presenza occidentale hanno prodotto rendendo impossibile il (ri)conoscimento e l’ascolto di chi era considerato come “altro”. Non a caso, la dimensione del silenzio assume una sacralità e importanza riscontrabile in moltissime narrazioni di scrittori e scrittrici indigene che, letta metaforicamente, diventa la premessa per un lavoro di decolonizzazione epistemica, immaginaria, culturale e politica. Fare silenzio è imparare ad ascoltare:

Saber que o silêncio é sagrado E só através dele a mata vem falar Aprender a ouvir com paciência [...] ( KAMBEBA, 2020KAMBEBA, Márcia Waina. Saberes da floresta. São Paulo: Editora Jandaíra, 2020., p. 95)

Partendo da queste riflessioni, la proposta che considero più interessante oggi è quella di rileggere l’Antropofagia in connessione con pratiche e teorie che invocano un divenire-indio e la creazione di connessioni di ascolto e trasformazione. In questo senso, l’Antropofagia può diventare un concetto utile per interpretare il lavoro letterario e culturale, ma anche giornalistico e politico, che stanno portando avanti molte e molti indigeni e non indigeni insieme, creando alleanze e reti, dando visibilità a culture e saperi indigeni storicamente marginalizzati nei vari progetti di costruzione della nazione e producendo (ri)conoscimento e processi di ascolto e des-autoria. Detto altrimenti, assumendo la visione del mondo antropofagica e antropofaga, non come identità etnica ma come prospettiva utopica di alleanza e trasformazione di mondi.

Vale la pena citare il lavoro di Rita Carelli, curatrice delle raccolte dei testi A vida não é útil ( 2020KRENAK, Ailton. A vida não é útil. São Paulo: Companhia das Letras, 2020. ) e Futuro Ancestral ( 2022KRENAK, Ailton. Futuro Ancestral. São Paulo: Companhia das Letras, 2022. ) del professore indigeno Ailton Krenak e autrice di un interessante romanzo, vincitore del premio di letteratura di São Paulo 2022, Terrapreta ( 2021CARELLI, Rita. Terrapreta. São Paulo: Editora 34 , 2021. ). Il testo è pensato per avvicinarci a vita e saperi indigeni, rompendo stereotipi dovuti all’ignoranza attraverso la messa in scena di un percorso di conoscenza e “trasformazione antropofagica” di una giovane ragazza che da São Paulo, forzata dagli eventi, passa a vivere in una comunità indigena dell’Amazzonia.

Un’altra fondamentale voce è quella di Eliane Brum, giornalista, scrittrice, instabile narratrice dei molti Brasili marginali che ha scelto di trasferirsi ad Altamira, in Amazzonia, per prestare ascolto a tutte le voci marginalizzate di queste terre. Brum è infatti, innanzitutto, una grande “escutadeira” dei “povos-florestas”, termini che lei stessa conia e utilizza per fornire radicali immagini di significato attraverso le definizioni. Nel suo ultimo prezioso testo Banzeiro-Okoto: uma viagem à Amazônia centro do mundo ( 2021BRUM, Eliane. Banzeiro-Okoto: uma viagem à Amazônia centro do mundo. São Paulo: Companhia das Letras, 2021. ) l’autrice riflette, in modo poetico, politico e autobiografico, sulla necessità dell’ascolto, sugli urgenti processi/pratiche di “sbiancamento” e di “amazzonizzazione” delle nostre esistenze e sulla capacità di imparare a vivere nell’“entremundos:

A tessitura deste livro, que é também uma convocação à amazonização do mundo, para muito além do território geográfico da Amazônia, tem uma proposta explícita: é tempo [...] de escutar aqueles que foram chamados de bárbaros, aqueles que foram relegados à condição de sub-humanidades no processo colonizador que ao longo dos séculos mudou de estética, mas não de ética. ( BRUM, 2021BRUM, Eliane. Banzeiro-Okoto: uma viagem à Amazônia centro do mundo. São Paulo: Companhia das Letras, 2021. , posizione 1211 e-book)

Queste opere e questi processi di scrittura ed elaborazione non solo derivano ma possono essere letti come forme di alleanze onto-politiche: da un lato situare la propria parola, parlare a partire dalla consapevolezza del privilegio del proprio luogo di enunciazione scomodo, “imparando a stare nel disagio” che questo implica ( BORGHI, 2020BORGHI, Rachele. Decolonialità e privilegio. Sesto San Giovanni: Mimesis, 2020., p. 23); dall’altro parlare a partire dalla connessione reale con percorsi, storie e vite indigene, parlare a partire da un radicale processo di trasformazione di sé e della propria scrittura attuato attraverso, prima di tutto, l’ascolto, fondamentale premessa decoloniale.

E già il Manifesto Antropófago, scritto nel lontano 1928, lanciava la sfida di trasformazione e decolonizzazione del mondo attraverso l’ascolto radicale.

Só podemos atender ao mundo orecular ( ANDRADE, 2011aANDRADE, Oswald de. Manifesto Antropófago . In: ANDRADE, Oswald de. A Utopia Antropofágica. São Paulo: Globo, 2011a. p. 67-74. , p. 69).

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    Comunicazione scritta per l’Incontri degli Intellettuali, realizzato a Rio de Janeiro, nel 1954, e inviata a Emiliano Di Cavalcandi per essere lettera (Conservata oggi nell’Università di Campinas).

Edited by

editor-chefe: Rachel Esteves Lima
editor executivo: Cássia Lopes Jorge Hernán Yerro

Publication Dates

  • Publication in this collection
    15 May 2023
  • Date of issue
    Jan-Apr 2023

History

  • Received
    11 Nov 2022
  • Accepted
    15 Jan 2023
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