Acessibilidade / Reportar erro

TRANSLATION

Carta de Galileu a Ludovico Cardi de Cigoli em Roma

Tradutor: Carlos Arthur Ribeiro do Nascimento

Professor Assistente-Doutor do Departamento de Filosofia - Faculdade de Educação, Filosofia, Ciências Sociais e da Documentação - UNESP - 17500 - Marília - SP - Brasil

A presente tradução baseou-se no texto publicado por Antonio Fávaro na Edição Nacional das Obras de Galileu (1) que vai aqui também reproduzido. Este é precedido por uma nota introdutória de Fávaro em que diz ele tratar-se de uma cópia da segunda metade do século XVII conservada no Arquivo Masetti de Florença num códice com o título "Cartas de Galileu". Fávaro expressa também suas graves dúvidas a respeito de autenticidade desta carta com base no seu tema e estilo. Com efeito, este ultimo, nos próprios termos de Fávaro, "nem sempre tem sabor galileano". Quanto ao tema, não há dele nenhum eco nas numerosas cartas de Cigoli a Galileu e, ao contrário, dos muitos assuntos tratados por estas, há nesta carta apenas uma leve alusão, no fecho, a um só: a observação das manchas solares.

Estes argumentos foram, mais recentemente, contestados por E. Panofsky (5) que voltou ainda ao assunto em duas outras ocasiões (6) (7). A. Koyré (2) (4), numa resenha do ensaio de Panofsky1 1 Tivemos acesso à resenha de Koyré através de sua versão espanhola (4). , considera as demonstrações deste plenamente convincentes, além de sublinhar como o ilustre crítico mostra a perfeita coerência entre as atitudes estética e científica de Galileu, projetando uma nova luz sobre a debatida questão das relações pessoais e científicas do sábio florentino com Kepler.

Desejo expressar aqui meus agradecimentos ao Wilcon (Joia Pereira) pelas oportunas sugestões quanto à tradução. Na verdade, dizer isto é muito pouco. Esta é, na realidade, uma tradução a quatro mãos. Fica ele nos devendo, no entanto, uma nota sobre a estética de Galileu.

GALILEO A LODOVICO CARDI DA CIGOLI IN ROMA

Al Sr. Lod.º Cigoli

Roma.

Molt' III.re Sig. r P. ron mio Oss.mo

É tanto falso che la scultura sia più mirabile della pittura, per la ragione che quella abbia il rilevo e questa no, che per questa medesima ragione viene la pittura a superar di maraviglia la scultura: imperciocchè quel rilevo che si scorge nella scultura, non lo mostra come scultura, ma come pittura. Mi dichiaro. Intendesi per pittura quella facoltà che col chiaro e con lo scuro imita la natura. Ora le sculture tanto avranno rilevo, quanto saranno in una parte colórate di chiaro et in un'altra di scuro. E che ciò sia il vero, l'esperienza stessa ce lo dimostra; perché se esporremo ad un lume una figura di rilevo, et andere-mola in modo colorendo, col dar di scuro dove sia chiaro, sinché il colore sia tutto unito, questa rimarrà in tutto priva di rilevo. Anzi quanto è da stimarsi piú mirabile la pittura, se, non avendo ella rilevo alcuno, ci mostra rilevare quanto la scultura! Ma che dico io quanto la scultura? Mille volte piú; atteso che non le sara impossibi-le rappresentare nel medesimo piano non solo il rilevo d'una figura, che importa un braccio o due, ma ci rappresenterà la lontananza d'un paese, et una distesa di mare di molte e molte miglia. E quelli che ris-pondono che il tatto poi ne dimostrerebbe l'ingano, certo che e par ch' e' parlino da persone debili; quasi che le sculture e pit-ture sieno fatte per toccarsi non meno che per vedersi. In oltre, que' che stimano il rilevo delle statue, credo certo che ció facciano, credendo che con questo mezzo possano esse piú facilmente ingannarci e parerci naturali. Or notisi questo argumento. Di quel rilevo che inganna la vista, ne è cosi partecipe la pittura come la scultura, anzi piú; poiché nella pittura, oltre al chiaro et alio scuro, che sono, per cosi dirlo, il rilevo visibile della scultura, vi ha ella i colori naturalissimi, de' quali la scultura manca. Resta dunque che la scultura superi la pittura in quella parte di rilevo che è sottoposta al tatto. Ma semplici quelli che pensano che la scultura abbia ad ingannare il tatto piú che la pittura, intendendo noi per ingannare l'operar si che il senso da ingannarsi reputi quella cosa non quale ell'e, ma quella che imitar si volle! Ora chi crederà che uno, toccando una statua si creda, che quelta sia un uomo vivo? Certo nessuno: et è ben ridotto a cattivo partido quello scultore, che non avendo saputo ingannar la vista, ricorre a voler mostrare l'eccellenza sua col voler ingannare il tatto, non si acorgendo che non solamente è sottoposto a tal sentimento il rilevato e il depresso (che sono il rilevo della statua), ma ancora il molle e il duro, il caldo e l'l freddo, il dedicato e l'aspro, il grave e'l leggiero, tutt' indizi dell' inganno della statua.

Non ha la statua il rilevo per esser larga, lunga e profonda, ma per esser dove chiara e dove scura. Et avvertasi, per prova di ció, che delle tre dimensioni, due sole sono sottoposte all'occhio, cioè lunghezza e larghezza (che è la superficie, la quale da' Greci fu detta epifania, cioè periferia o cinconferenza), perché delle cose cheappariscono e si veggono, altro non si vede che la superficie, e la profondità non puó dall'occhio esser compresa, perché la vista nostra non penetra dentro a'corpi opachi. Vede dunque l'occhio solamente il lungo e'l largo, ma non già il profondo, cioè la grossezza non mai. Non essendo dunque la profondità esposta alia vista, non protemo d'una statua comprender altro che la lunghezza e la larghezza; donde è manifesto che noi ne vegghiano se non la superficie, la qual altro non è che larghezza e lunghezza, senza profondità. Conosciamo dunque la profondità, non come aggetto della vista per sé et assolutamente, ma per accidente e rispetto al chiaro et alio scuro. E tutto questo è nella pittura non meno che nella scultura, dico il chiaro, lo scuro, la lunghezza e la larghezza: ma alia scultura il chiaro e lo scuro lo dà da per sé la natura, ed alia pittura lo dà l'arte: adunque anche per questa ragione si rende piú ammirabile un' eccelente pittura di una eccelente scultura.

A quello poi che dicono gli scultori, che la natura fa gli uomini di scultura e non di pittura, rispondo che ella gli fa non meno dipinti che scolpiti, perché ella gli scolpe e gli colora, ma che questo è a loro imperfezione, e cosa che scema grandissimamente il pregio alia scultura: perciocchè quanto piú i mezzi, co' quali si imita, son lontani dalle cose da imitarsi, tanto piú l'imitazione é maravigliosa. Era anticamente molto piú stimata quella sorta d'istrioni che co' movimenti soli e co' cenni sapevano recitare una intera storia o favola, che quelli che con la viva voce l'esprimevano in tragedia o in comedia, per usar quelli um mezzo diversíssimo et un modo di rappresentare in tutto differente dalle azioni rappresentate. Non ammire-remmo noi un musico, il quale cantando e reppresentandoci le querele e le passioni d'un amante ci muovesse a compassionar-lo, molto piú che se piangendo ció faces-se? e questo, per essere il canto un mezzo non solo diverso, ma contrario ad espri-mere i dolori, e le lagrime et il pianto simi-lissimo. E molto piú l'ammireremmo, se tacendo, col solo strumento, con crudezze et accenti patetici musicali, ció facesse, per esser le inanimate corde meno atte a risvegliare gli affetti acculti dell' anima nostra, che la voce raccontandole. Per questa ragione dunque, di qual maraviglia saral'imitare la natura scultrice coli' istes-sa scultura, e rappresentare il rilevato coll'istesso rilevo? Di niuna certo, o di poca; et artificiosíssima imitazione sarà quella che rappresenta il rilevo nel suo contrario, che é il piano. Maravigliosa dunque, per tal rispetto, si rende piú la pittura che la scultura.

L'argomento poi dell'eternnità non val niente, perché non é la scultura che faceia eterni i marmi, ma i marmi fanno eteme le sculture; ma questo privilegio non è piú suo, che d'un ruvido sasso: benché e le sculture e le pitture sieno forse egualmente soggette a perire.

Soggiungo che la scultura imita piú il naturale tangibile, e la pittura piú il visible; perocché, oltre alla figura, che é comune con la scultura, la pittura aggiugne i colori, próprio aggetto della vista.

Finalmente, gli scultori copiano sempre, et i pittori no; e quelli imitano le cose com'elle sono, e questi com elle appariscono: ma perché le cose sono in un modo solo, et appariscono in infiniti, e' vien perció sommamente accresciuta la difficultà per giugnere dll' eccellenza della sua arte. Di qui é che sommamente piú ammirabile é l'eccellenza nella pittura, che nella scultura.

Tanto per ora mi sovviene poter ella rispondere alie ragioni di cotesti fautori della scultura, partecipatemi questa matti-na di ordine di V.S. dal Sr.ª Andrea nostro. Ma io pero la consiglierei a non s'inoltrar piú con essi in questa contesa, pa-rendomi ch'ella stia meglio per esercizio di spirito e d'ingegno fra quei che non professino né l' una né l'altra di queste due veramente ammirabili arti, quando in eccelenza sono praticate; poiché oramai. V.S. nella propria s' é resa cosí degna di gloria con le sue tele, quanto il nostro divino Michelagnolo co'suoi marmi.

E qui cordialissimamente le b.l.m., e la prego a continuarmi il suo amore, e l'osservazioni ancora delle marechie.

Di Firenze, 26 Giugno, 1612

Di V.S. molt'Ill. re

Obbl. mo Ser. re Aff. mo

Galileo Galilei

  • 1
    Tivemos acesso à resenha de Koyré através de sua versão espanhola (4).
  • Publication Dates

    • Publication in this collection
      06 Dec 2011
    • Date of issue
      Jan 1981
    Universidade Estadual Paulista, Departamento de Filosofia Av.Hygino Muzzi Filho, 737, 17525-900 Marília-São Paulo/Brasil, Tel.: 55 (14) 3402-1306, Fax: 55 (14) 3402-1302 - Marília - SP - Brazil
    E-mail: transformacao@marilia.unesp.br