Abstracts
Per il primo Wittgenstein etica ed estetica erano tutt’uno. Scopo del saggio è fornire un’interpretazione di questa concezione. Esaminando il modo in cui è proposta nel Tractatus e considerando alcune annotazioni dei Quaderni 1914-1916 si evidenzia che l’unità di etica ed estetica è in un modo di vedere il mondo per cui esso non appare come fonte di limitazione. L’etica è un’estensione al mondo - alla vita - della capacità di conferire significato che nell’arte si realizza nei riguardi di oggetti particolari. Affermando l’unità di etica ed estetica Wittgenstein attira l’attenzione sul fatto che la radice dell’etica è in un certo modo di vedere le cose, in un atteggiamento verso la vita. Si tratta della prospettiva di un valore non connesso a come il mondo è e che è evocato dalla meraviglia per l’esistenza del mondo.
Wittgenstein; estetica; etica; valore
The early Wittgenstein conceived of ethics and aesthetics as one and the same. This essay aims to provide an interpretation of this idea. It examines the way it is put forward in the Tractatus and in some remarks from the Tagebücher 1914-1916, and argues that the unity of ethics and aesthetics is for Wittgenstein a way of looking at the world in such a way that the world does not appear to set limits for human life. Ethics extends the ability to confer meaning that men and women use in the realm of art-making, dealing with particular objects, to the realm of life and of the world taken as a whole. Claiming that ethics and aesthetics are one Wittgenstein points out that at the roots of ethics there is a certain way of looking at the world, a certain disposition towards life. This point of view on the world does not attribute value to the world because of the way it is. The world is seen, instead, as a source of wonder, and it is this fact that makes it valuable.
Wittgenstein; ethics; aesthetics; value
"Etica ed Estetica sono tuttuno" Riflessioni su TLP 6.421
Gabriele Tomasi 1 1 Gabriele Tomasi è docente di Storia dellEstetica presso lUniversità degli Studi di Padova. Ha pubblicato diversi saggi su Leibniz, Kant e Wittgenstein in riviste e volumi. Tra i suoi lavori: La bellezza e la fabbrica del mondo. Estetica e metafisica in G.W. Leibniz (2002); Ineffabilità. Logica, etica, senso del mondo nel "Tractatus" di Wittgenstein (2006); Un bicchiere con Hume e Kant. Divertissement estetico-metafisico (2010).
Potevo essere me stessa - ma senza stupore, e ciò vorrebbe dire qualcuno di totalmente diverso. (W. Szymborska, Nella moltitudine)
RIASSUNTO
Per il primo Wittgenstein etica ed estetica erano tuttuno. Scopo del saggio è fornire uninterpretazione di questa concezione. Esaminando il modo in cui è proposta nel Tractatus e considerando alcune annotazioni dei Quaderni 1914-1916 si evidenzia che lunità di etica ed estetica è in un modo di vedere il mondo per cui esso non appare come fonte di limitazione. Letica è unestensione al mondo - alla vita - della capacità di conferire significato che nellarte si realizza nei riguardi di oggetti particolari. Affermando lunità di etica ed estetica Wittgenstein attira lattenzione sul fatto che la radice delletica è in un certo modo di vedere le cose, in un atteggiamento verso la vita. Si tratta della prospettiva di un valore non connesso a come il mondo è e che è evocato dalla meraviglia per lesistenza del mondo.
Parole chiavE: Wittgenstein, estetica, etica, valore
ABSTRACT
The early Wittgenstein conceived of ethics and aesthetics as one and the same. This essay aims to provide an interpretation of this idea. It examines the way it is put forward in the Tractatus and in some remarks from the Tagebücher 1914-1916, and argues that the unity of ethics and aesthetics is for Wittgenstein a way of looking at the world in such a way that the world does not appear to set limits for human life. Ethics extends the ability to confer meaning that men and women use in the realm of art-making, dealing with particular objects, to the realm of life and of the world taken as a whole. Claiming that ethics and aesthetics are one Wittgenstein points out that at the roots of ethics there is a certain way of looking at the world, a certain disposition towards life. This point of view on the world does not attribute value to the world because of the way it is. The world is seen, instead, as a source of wonder, and it is this fact that makes it valuable.
Keywords: Wittgenstein, ethics, aesthetics, value
In una proposizione della parte conclusiva del Tractatus logico-philosophicus (1921) Wittgenstein sostiene che "[...] etica ed estetica sono tuttuno" (TLP 6.421).2 2 Nel testo e nelle note le opere di Wittgenstein sono citate - nella traduzione italiana indicata - secondo le abbreviazioni di seguito elencate (nel caso del Tractatus si indica soltanto il numero della proposizione; nel caso delle annotazioni dai Quaderni, invece, la data dellentrata): BvF = WITTGENSTEIN, L. Briefe an Ludwig von Ficker. hrsg. von G. H. von Wright unter Mitarbeit von W. Methlagl. Salzburg: Otto Müller, 1969 (WITTGENSTEIN, L. Lettere a Ludwig von Ficker. Trad. it. di D. Antiseri. Roma: Armando, 1974); LE = "Wittgensteins Lecture on Ethics", The Philosophical Review, 74, p. 3-12, 1965 (WITTGENSTEIN, L. Lezioni e conversazioni sulletica, lestetica, la psicologia e la credenza religiosa, a cura di M. Ranchetti. Milano: Adelphi, 1967, p. 5-19); TB = Tagebücher 1914-1916, in: Ludwig Wittgenstein Werkausgabe, Band 1. Frankfurt am Main: Suhrkamp, 1984, p. 87-187 (Quaderni 1914-1916, in: WITTGENSTEIN, L. Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916. Trad. it. di A. G. Conte. Torino: Einaudi, 1998, p. 127-239); TLP = Tractatus logico-philosophicus, in: Ludwig Wittgenstein Werkausgabe, Band 1, Frankfurt am Main: Suhrkamp, 1984, p. 9-85 (WITTGENSTEIN, L. Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916. Trad. it. di A. G. Conte. Torino: Einaudi, 1998, p. 21-109); WWK = Wittgenstein und der Wiener Kreis, in: Ludwig Wittgenstein Werkausgabe, Band 3. Frankfurt am Main: Suhrkamp, 1984 (il numero di pagina della traduzione italiana è quello dei passi tradotti in WITTGENSTEIN, L. Lezioni e conversazioni sulletica, lestetica, la psicologia e la credenza religiosa, a cura di M. Ranchetti. Milano: Adelphi,1967, p. 21-27). Chiamerò lidea così formulata "Tesi dellUnità" e la indicherò con la sigla TU. Un pensiero simile a TU è formulato dal filosofo alcuni anni dopo, nella Conferenza sulletica (1929-1930). In essa egli afferma di intendere letica secondo la spiegazione del termine data da Moore nei Principia Ethica e cioè come "la ricerca generale su ciò che è bene", ma di usare però il termine in un senso "un poco più lato", ossia in un senso, di fatto, che include quella che egli ritiene la parte "[...] più essenziale di ciò che di solito viene chiamato estetica" (LE, 4/7). Lunità dei due domini sembra reinterpretata come unintersezione: a fare tuttuno con letica, intesa in un senso un po più lato di quello dato da Moore al termine, sarebbe la parte più essenziale dellestetica. Qual è il senso che Wittgenstein attribuisce a "etica" perché letica possa comprendere la parte più essenziale dellestetica?
Nel Tractatus TU è avanzata commentando alcune affermazioni relative alla nozione di valore. Nella Conferenza Wittgenstein spiega che, nel senso "un poco più lato" in cui egli intende letica, cioè la "ricerca su ciò che è bene", essa ha più o meno lo stesso significato di "ricerca su ciò che ha valore".3 3 Il passo continua indicando altre espressioni di significato simile. Wittgenstein sostiene che, invece di ricerca su ciò che è bene, egli avrebbe potuto dire "su ciò che è realmente importante, o sul significato della vita, o su ciò che fa la vita meritevole di essere vissuta, o sul modo giusto di vivere". Wittgenstein pensa che, guardando a queste frasi, si possa "avere unidea approssimativa di ciò di cui letica si occupa" (LE, 5/7). Si può ipotizzare che etica ed estetica siano tuttuno in quanto sono entrambe una ricerca su ciò che ha valore. Ma come va intesa questunità? Wittgenstein sta sostenendo che, per certi aspetti, i due ambiti coincidono? O intende forse dire che, almeno fino a un certo punto, esse hanno lo stesso oggetto? Inoltre, sta magari stabilendo una sorta di priorità delletica sullestetica o viceversa?
Sono queste le domande cui cercherò di rispondere nel saggio. Lo farò basandomi, per linterpretazione di TU, oltre che sul Tractatus e sulla Conferenza, sui Quaderni 1914-1916. In essi sono formulate alcune idee fondamentali per la comprensione di TU.4 4 Conseguentemente, quando parlerò della concezione di Wittgenstein è inteso che il riferimento è a idee formulate dal filosofo nel periodo di elaborazione del Tractatus o comunque riconducibili a posizioni sostenute in tale periodo. Come vedremo, il modo in cui Wittgenstein usa "etica" ed "estetica" è piuttosto diverso da quello corrente. Con "etica" non intende la disciplina normativa impegnata a indagare la fondazione o la validità dei principi e dei criteri dellagire morale, le ragioni dei comportamenti e delle valutazioni, ecc.; e con "estetica" non intende la ricerca filosofica sullarte, sulle esperienze che chiamiamo "estetiche", sulle proprietà estetiche delle cose, sulla natura dei giudizi in cui attribuiamo tali proprietà, ecc. Benché le sue riflessioni non siano prive di rilievo anche per queste ricerche, occorrerà tener conto del modo piuttosto singolare in cui Wittgenstein parla di etica ed estetica. Egli sembra concepirle come definite da un modo di vedere più che da ambiti di oggetti e attività. Consideriamo brevemente, prima di entrare nel merito di TU, come potrebbe essere concepita lunità di etica ed estetica. Qualche cenno alla storia della filosofia può essere daiuto per individuare alcune possibilità fondamentali.
1. Sullunità del bello e del buono
A prima vista lidea che etica ed estetica, o i loro domini, non siano separate risulta contro-intuitiva. Banalmente, persone apparentemente prive di sensibilità estetica spesso compiono con sicurezza il bene, mentre persone di gusto educato possono essere moralmente insensibili. Opere con un apprezzabile contenuto morale sono spesso esteticamente scadenti, mentre altre, che presentano aspetti riprovevoli, si lasciano nondimeno apprezzare per il loro valore artistico. E discutibile se ciò sia il segno di un mancato "allineamento" della sensibilità estetica individuale o collettiva a quella per il bene o se dipenda dal fatto che la natura del bene e quella del bello sono diverse. Benché la bellezza possa essere considerata un esempio di valore intrinseco come il bene morale, bellezza e bontà, così come le proprietà estetiche e quelle morali, sembrano concettualmente distinte. La bellezza può essere considerata un valore intrinseco se con "intrinseco" sintende non strumentale; non sembra tuttavia essere un valore di questo tipo, se "intrinseco" si definisce in relazione alla fonte del valore. La bellezza sembra essere un valore in relazione agli esseri umani senza avere perciò un mero valore strumentale. Il bene morale appare un valore intrinseco in quanto ha, per così dire, in sé il suo valore e non lo riceve da unaltra fonte.5 5 Adotto qui una distinzione proposta da KORSGAARD, 1983, p. 178. Distinta appare, inoltre, la normatività di cui le due nozioni sono portatrici.
A dispetto di queste differenze, anche una rapida occhiata alla tradizione filosofica è sufficiente per vedere come lidea di una fondamentale somiglianza dei due domini appartenga ai sui retaggi. Nel mondo greco essa ha un riflesso già a livello di vocabolario nel riferimento del termine che sta per "bello", to kalón, allidea del fare qualcosa in modo buono o giusto; soprattutto ha una giustificazione sul piano filosofico. Paradigmatica al riguardo è la concezione platonica. Da dialoghi come il Fedro e il Simposio emerge chiaramente che, per Platone, la "natura del bello" è strettamente correlata a quella del bene.6 6 Cf. ad esempio Fedro 250 a ss.; Simposio 210 a ss. Una versione di questa tesi si trova poi nella Summa Theologiae di S.Tommaso. Vi si legge che "il bello si identifica con il bene, salvo una semplice differenza di ragione".7 7 S. Th. I-II, q 27 a 1 (TOMMASO, 1996, vol. 2 p. 222-223). La bellezza e la bontà sono fondamentalmente identiche perché sono basate sulla stessa cosa, cioè sulla forma.
La tesi dellidentità di bello e buono è testimoniata anche in epoche successive. Shaftesbury, ad esempio, sostiene che la bellezza e il bene sono la stessa cosa in quanto sono costituiti dalla stessa proprietà e cioè larmonia. In forme variate (e spesso indebolite) lidea della connessione delle due nozioni, e dunque di etica ed estetica, circola diffusamente nel pensiero moderno. Kant, come è noto, ne fornirà una variante nella concezione della bellezza come simbolo del bene, formulata nel § 59 della Critica della capacità di giudizio. Schiller, muovendo da una revisione critica di elementi centrali della filosofia kantiana, oltre che da una diagnosi del tempo che coglieva acutamente il contrasto "[...] fra lodierna forma di umanità e [ ] quella greca", presenterà la bellezza come una "condizione necessaria dellumanità". La tesi che Schiller avanza è molto forte: "[...] è attraverso la bellezza che ci si incammina alla libertà".8 8 SCHILLER, 2005, p. 25; 45 (lettere II e X).
Questi pochi cenni mostrano che la tesi di Wittgenstein ha radici profonde e continuità storica. Inoltre, aiutano a comprendere la prima cosa che colpisce nella formulazione di TU, e cioè lapparente adozione di una comprensione al singolare dei termini "etica" ed "estetica". Wittgenstein sembra considerarli come nomi di due distinti e omogenei ambiti di valore.9 9 Devo losservazione a WILDE, 2004, p. 165. A dispetto della sua indifferenza al fatto se altri, prima di lui, avessero pensato ciò che egli aveva pensato (cf. TLP, Pref.), egli appare, su questo punto, lerede della tradizione appena evocata, per la quale lunità di bellezza e bontà è stata un tema costante. La sua lettura di Tolstoj e Schopenhauer ha senzaltro avuto un ruolo nel formare le sue idee al riguardo.
Gli esempi ricordati sono utili anche sotto un altro aspetto: essi aiutano a identificare almeno alcune delle forme in cui lidea dellunità di etica ed estetica può presentarsi. La schematizzazione che ora proporrò è in parte artificiosa perché non sempre con "etica" ed "estetica" si intendono le stesse cose; nondimeno essa può fornire una guida per interpretare la posizione di Wittgenstein. Almeno due possibilità sono facilmente intuibili: si può pensare (a) che la bellezza in qualche modo sia propedeutica al bene, oppure si può assumere (b) che il bene e la bellezza siano ontologicamente la stessa cosa, siano esemplificazioni della stessa cosa e dunque che le nozioni del bello e del bene non possano essere comprese isolandole luna dallaltra.10 10 Va da sé che le distinzioni andrebbero affinate. Ad esempio, la sovrapposizione metafisica di bellezza e bene può essere intesa come una relazione di identità oppure, secondo una linea kantiana, come una relazione simbolica. La schematizzazione è in termini di bellezza e bene (morale) e non di etica ed estetica. Ciò non ne pregiudica la validità. La bellezza e il bene sono i due tipi di eccellenza che rispettivamente le pratiche estetiche e quelle etiche cercano di riconoscere e/o realizzare.11 11 Ovviamente, quanto alla bellezza, il discorso dovrebbe essere circostanziato. Per molta arte recente essa non è più il valore da realizzare. Cf. DANTO, 2008.
Secondo linterpretazione che proporrò, la concezione di Wittgenstein è riconducibile alla seconda delle due forme individuate. Lidentità di bene e bellezza può però essere intesa in senso forte oppure in senso debole: nel primo caso ciò che si afferma è la coincidenza, sul piano metafisico, delle esemplificazioni del bene e del bello; nel secondo caso, invece, si sostiene semplicemente lesistenza di una correlazione significativa, a qualche livello, delle due nozioni.
La mia impressione è che in TU Wittgenstein mostri di propendere per una lettura forte dellidentità di bene e bellezza. Solo in senso piuttosto lato si può però dire che TU sia una tesi metafisica. La formulazione di TU corrisponde piuttosto al tentativo di suggerire la necessità di porre le nostre vite in un certo tipo di prospettiva: una prospettiva esterna al sé individuale e al mondo dei fatti. Potremmo definirla "la prospettiva del valore" o "la prospettiva del senso". Entriamo ora nel merito dellinterpretazione di TU, cominciando da una considerazione del modo in cui è introdotta nel Tractatus.
2. Logica ed etica. Il contesto di TU
TU è presentata nella forma tipograficamente singolare di unaggiunta parentetica a una proposizione che contiene altre due tesi assai importanti. Vale la pena di riportarla integralmente:
È chiaro che letica non può formularsi.
Letica è trascendentale.
(Etica ed estetica sono tuttuno) (TLP 6.421).
Per come si presenta, TU sembra una spiegazione dellaffermazione che letica è trascendentale. Se si guarda alle proposizioni che la precedono, laffermazione non risulta subito chiara. Il sistema di numerazione adottato nel Tractatus la colloca tra i commenti della proposizione 6.4; più precisamente, essa è un commento a un commento (la 6.42) della proposizione con cui si apre la parte del libro che - per quanto esprimersi così non sia del tutto appropriato - può essere considerata di argomento etico (6.4-6.522). Questa proposizione recita: "Tutte le proposizioni sono di pari valore" (TLP 6.4).
Che cosa intende dire Wittgenstein, affermando che le proposizioni hanno tutte lo stesso valore? E, soprattutto, perché introduce con questaffermazione il discorso sulletica?
La 6.4 può essere interpretata in (almeno) due modi. Luno non esclude laltro, anzi, come vedremo, nel commento di Wittgenstein si intrecciano. La prima interpretazione deriva direttamente dalla concezione della proposizione elaborata nel Tractatus. Secondo tale concezione ogni proposizione è una delle molte possibilità di un identico spazio ovvero rappresenta uno stato di cose sullo sfondo di alternative ugualmente possibili. Perciò non può rappresentare che qualcosa di accidentale. È sotto questaspetto che le proposizioni hanno lo stesso valore ossia sono sullo stesso livello come lo sono i fatti che esse raffigurano. La seconda interpretazione intende la 6.4 come una proposizione normativa ovvero come laffermazione che, nella prospettiva del valore, nessuna proposizione ovvero nessun stato di cose è migliore o peggiore di un altro. Si tratta di una tesi normativa piuttosto singolare. I commenti, in una trama complicata di concezioni metaetiche e di indicazioni sullatteggiamento da assumere di fronte alla vita, aiutano a capire il punto di Wittgenstein. Il primo, piuttosto elaborato, è il seguente:
Il senso del mondo devessere fuori di esso. Nel mondo tutto è come è, e tutto avviene come avviene; non vè in esso alcun valore - né, se vi fosse, avrebbe un valore.
Se un valore che abbia valore vè, esso devesser fuori dogni avvenire ed essere-così. Infatti, ogni avvenire ed essere-così è accidentale.
Ciò che li rende non-accidentali non può essere nel mondo, ché altrimenti sarebbe, a sua volta, accidentale.
Devessere fuori del mondo. (TLP 6.41).
Wittgenstein considera accidentale tutto ciò che è nel mondo ovvero "[...] ciò che accade" (TLP 1), i fatti, "[...] il sussistere di stati di cose" (cf. TLP 2). Laccidentalità dei fatti non contrasta con la possibilità di catturare le regolarità fra tipi di eventi attraverso leggi causali. Per Wittgenstein, "[...] solo connessioni conformi ad una legge sono pensabili" (TLP 6.361); "[...] ciò che la legge di causalità deve escludere non può neppure descriversi", non può accadere (TLP 6.362). Egli rifiuta, però, la necessità naturale: "[...] una necessità cogente, per la quale qualcosa debba avvenire poiché qualcosaltro è avvenuto, non vè. Vè solo una necessità logica" (TLP 6.37) e "[...] fuori della logica tutto è accidentale" (TLP 6.3). Le leggi causali caratterizzano, dunque, laccidentale, ciò che può avvenire.
Questa concezione del mondo fa da sfondo allintroduzione delle nozioni di valore e senso del mondo. Poiché, per Wittgenstein, "[...] il mondo e la vita sono tuttuno" (TLP 5.621), lespressione "senso del mondo" può essere considerata equivalente a "senso della vita". Wittgenstein sembra voler presentare la distinzione tra mondo e senso del mondo (o valore) nei termini di una distinzione tra ciò che è accidentale e il non-accidentale. Perché il valore dovrebbe essere non-accidentale? La tesi appare discutibile. Spesso accade che qualcosa abbia valore per ragioni del tutto contingenti - conservo dei sassolini colorati che per me hanno un grande valore perché mi ricordano la prima vacanza al mare con quella che allora era la mia fidanzata - o perché è connesso a qualcosaltro che si considera per sé di valore. Non sembra, tuttavia, che Wittgenstein stia fornendo un criterio per isolare oggetti o stati di cose per sé di valore ovvero non accidentalmente di valore. Egli sembra piuttosto guardare alla fonte del valore. La proposizione allude alla possibilità che qualcosa renda non accidentale l"avvenire ed essere-così". Essa sottolinea, però, che questo qualcosa dovrà essere fuori del mondo perché, se fosse nel mondo, sarebbe a sua volta accidentale. Ciò che Wittgenstein chiama "valore" o "senso del mondo" ha a che fare con questa fonte extra-mondana. Largomento di Wittgenstein potrebbe essere rafforzato, osservando che il valore deve essere fuori del mondo anche perché, se fosse nel mondo, sarebbe una parte di esso, ed è difficile immaginare che una parte possa conferire senso al tutto di cui è, appunto, una parte.12 12 Devo il punto a MULHALL, 2007, p. 225-226.
Quale che sia questa fonte, dal passo citato si evince che essa, e con essa il valore, non ha natura di fatto. Ora, poiché le proposizioni rappresentano "[...] il sussistere e non sussistere degli stati di cose" (TLP 4.1), ne consegue che non potranno esserci "proposizioni delletica". Questo è, appunto, quanto chiarisce il secondo commento alla 6.4: "Le proposizioni non possono esprimere nulla di ciò che è più alto" (TLP 6.42).
Appare sottinteso che letica ha a che fare con il valore o il senso del mondo, qui raccolti sotto lespressione "ciò che è più alto" a rimarcare, presumibilmente, il contrasto con quanto è nel mondo: il più alto non è esprimibile perché è "fuori" del mondo.13 13 In una proposizione successiva comparirà il termine "Dio": "Come il mondo è, è affatto indifferente per ciò che è più alto. Dio non rivela sé nel mondo" (TLP 6.432). TU è formulata nel commento a questultima proposizione. Prima di esaminarlo, è però opportuna qualche altra osservazione sul contesto di questi pensieri di Wittgenstein, allargando lo sguardo alla macrosezione cui le proposizioni di argomento etico appartengono.
2.1 Letica e i limiti del linguaggio
La proposizione principale della sezione cui TU appartiene è la 6. Si tratta della proposizione in cui Wittgenstein indica la forma generale della proposizione secondo la quale ogni proposizione è una funzione di verità di proposizioni elementari intese come immagini di stati di cose possibili. Rispetto a essa, il passaggio, nella serie dei suoi commenti, agli argomenti etici, coglie il lettore di sorpresa. Ciò che precede la 6.4 non sembra avere molto a che vedere con i temi del senso del mondo e del valore. Nei commenti alla 6 Wittgenstein discute la natura delle proposizioni della logica, delle proposizioni matematiche e quella delle leggi di natura e formula considerazioni generali sulla necessità ovvero discute proposizioni che non corrispondono al modello descrittivo indicato dalla forma generale della proposizione. Limpressione è che, giunto a un certo punto, egli inserisca nel testo questioni estranee ai problemi di cui stava trattando. Che cosa hanno a che fare il senso del mondo e il valore con la forma generale della proposizione?
In effetti, i due argomenti sono molto più collegati di quanto a prima vista possa sembrare. Prima di tutto perché anche le proposizioni sul valore configurano un dominio del linguaggio che diverge dalla forma paradigmatica individuata dalla 6. Indicando la forma generale della proposizione, Wittgenstein assolve il compito che si era posto nel Tractatus, di tracciare un limite allespressione dei pensieri (cf. TLP, Pref.). Lidea della limitazione sta o cade con lidea dellunità formale del linguaggio e dunque con lidea di una realtà unitaria.14 14 La forma generale della proposizione è lo strumento logico che consente una descrizione dallinterno, nellunico modo possibile, dello spazio logico, cioè di quello che, per Wittgenstein, è ad un tempo lo spazio del pensabile, lo spazio di mondo e linguaggio. Tale spazio è propriamente il luogo della conoscenza del mondo.
La proposizione 6 rende con mezzi simbolici una forma precedentemente individuata con lespressione "È così e così" (TLP 4.5). A dispetto del suo carattere informale, lespressione è molto precisa: essa corrisponde alla forma di ogni possibile situazione (Sachlage) ed è perciò la forma stessa della realtà,15 15 Cf. MAYER, 2001. "lessenza del mondo" (TLP 5.4711). Dato lisomorfismo di mondo e linguaggio sostenuto nel Tractatus, la forma proposizionale generale non può che corrispondere alla forma del mondo. Nelle intenzioni di Wittgenstein, con lindicazione della forma generale della proposizione si realizzava, però, anche quella "delimitazione" delletico, "per così dire, dallinterno" di cui parlerà nella celebre lettera scritta a Ludwig von Ficker presumibilmente alla fine di ottobre o agli inizi di novembre del 1919, alludendo a un "senso etico" del libro.16 16 "[ ] il senso del libro - scrive Wittgenstein a von Ficker - è un senso etico [ ] il mio lavoro consiste di due parti: di quello che ho scritto, ed inoltre di tutto quello che non ho scritto. E proprio questa seconda parte è quella più importante. Ad opera del mio libro, letico viene delimitato, per così dire, dallinterno; e sono convinto che letico è da delimitare rigorosamente solo in questo modo" (BvF, 32-34/72). Tracciando un limite allespressione dei pensieri, il libro delimita così anche il luogo in cui il valore non può essere ovvero il mondo dei fatti.
Che il valore non abbia natura di fatto è senzaltro una tesi metaetica. Ridurre a questo la concezione suggerita nella "parte etica" del Tractatus vorrebbe dire, tuttavia, cogliere solo un aspetto del discorso di Wittgenstein. Come dicevo, in esso concezioni metaetiche si intrecciano con la formulazione di un atteggiamento verso il mondo. Compiendo un passo indietro e poi uno avanti nel testo possiamo raggiungere questa prospettiva più ampia sul discorso di Wittgenstein. Da essa si scorge quella che credo sia la ragione in un certo senso più profonda della connessione fra la tematica logica e la questione del valore.
3. Dalla logica alletica
Cominciamo con il passo avanti. Nel Tractatus Wittgenstein individua lessenza della proposizione in una forma che consente la costruzione di ogni proposizione applicando unoperazione a proposizioni elementari (cf. TLP 6.001, 6.002). Il libro promuove così una visione per cui la pensabilità del mondo ci dà anche lunità e i limiti del mondo. Cogliere la forma che costituisce lunità del linguaggio, è accedere a una visione del mondo come totalità unitaria e delimitata di stati di cose e insieme cogliere il carattere accidentale del contenuto del mondo in quanto esso si dà nello spazio del possibile. Ciò permette di distinguere tra il che del mondo, la sua semplice presenza, la sua datità, e il come. Wittgenstein chiama questo "il Mistico":
Non come il mondo è, è il Mistico, ma che esso è. (TLP 6.44).
La visione del mondo sub specie aeterni è la visione del mondo come totalità - delimitata -.
Il sentimento del mondo come totalità delimitata è il sentimento mistico. (TLP 6.45).
A dispetto delletichetta "Mistico", ciò cui Wittgenstein pensa è strettamente connesso alla logica. Lo conferma un passo indietro nel testo. In una sezione precedente egli aveva sostenuto che lesperienza "che ci serve per la comprensione della logica" è "lesperienza che qualcosa è". Contestualmente aveva, però, sottolineato che "ciò non è unesperienza":
La logica è prima dogni esperienza - dogni esperienza che qualcosa è così.
Essa è prima del Come, non del Che cosa. (TLP 5.552).
Secondo Wittgenstein, le proposizioni della logica sono tautologie, sono dei casi-limite di proposizioni i cui elementi sono combinati in modo tale che ogni contenuto descrittivo è eliminato. Perciò sono considerate indicative dei limiti del mondo: esse non asseriscono nulla sul mondo, ma, "descrivendo" le proprietà logiche delle costanti, e dunque delle proposizioni, strutturano lo spazio logico, rappresentano la "armatura logica" (TLP 4.023 e 6.124) della realtà: "Che le proposizioni della logica siano tautologie mostra le proprietà formali - logiche - del linguaggio, del mondo" (TLP 6.12).
Larmatura rappresentata dalla logica fa tuttuno con le possibilità di configurazione di fatti e proposizioni; essa determina lo spazio logico (cf. TLP 3.42) ovvero lo spazio delle proposizioni, della rappresentazione dei fatti. Perciò Wittgenstein attribuisce alla logica un carattere "trascendentale" (TLP 6.13), vale a dire di condizione della raffigurazione. Lo spazio logico è però uno spazio di possibilità; collocati in esso, i fatti attuali sono solo alcuni degli stati di cose possibili. Vedere il mondo nel "grande specchio" (TLP 5.511) della logica è perciostesso vederlo nella sua radicale contingenza. Al carattere trascendentale della logica è così correlata la presenza del mondo, il suo semplice esserci, quello che poi verrà chiamato "il Mistico", linesprimibile "che è" del mondo.17 17 Questo non significa che vi sia da un lato un mondo "là fuori" e, dallaltro, un sistema di rappresentazione. Per Wittgenstein è nel linguaggio strutturato dalla logica ovvero nello spazio logico che il mondo ci è dato, che conosciamo il mondo. Cf. VOSSENKUHL, 1995, p. 111-115. Semplicemente, lesistenza del mondo non è un fatto;18 18 Ibidem, p. 112. lesistenza della totalità dei fatti non può essere una parte della totalità ossia un fatto; pertanto non possiamo formarci di ciò unimmagine logica.
La cosa curiosa è che Wittgenstein sembra collegare l"esperienza" di questo esser-dato e il punto di vista dal quale qualcosa come il valore o il senso si fanno presenti. Il collegamento è esplicito nella Conferenza sulletica. In essa lesperienza dellesistenza del mondo - propriamente la meraviglia per la sua esistenza ("I wonder at the existence of the world") - è evocata per veicolare lidea di un "[...] valore assoluto o etico" (LE, 8/12-13) ossia del tipo di valore che per il Tractatus è "fuori del mondo", cioè fuori "dogni avvenire ed essere-così". Letica ha a che fare con questo valore; perciò non possono esserci proposizioni delletica.
Cè una singolare corrispondenza tra etica e logica: come non abbiamo, in senso stretto, esperienza del "Che cosa" che è prima della logica, così non abbiamo esperienza del valore. E come lespressione del "che è" del mondo, del miracolo della sua esistenza, non è in qualche proposizione, bensì nellesistenza stessa di un linguaggio, cioè di nomi dotati di significato e di proposizioni che hanno senso,19 19 Questo è quanto Wittgenstein sostiene nella Conferenza: "[...] lespressione giusta nella lingua per il miracolo dellesistenza del mondo, benché non sia alcuna proposizione nella lingua, è lesistenza del linguaggio stesso" (LE, 11/17). così non abbiamo proposizioni etiche; letica è al più testimoniata nella tendenza ad "avventarsi contro i limiti del linguaggio" (LE, 11-12/18), nel tentativo di andare, con le proposizioni, al di là del linguaggio significante, cioè al di là del mondo, del "luogo" in cui il valore non può essere.
Come si è visto, sostenendo che "letica non può formularsi", Wittgenstein le attribuisce un carattere trascendentale. Alla luce della tesi avanzata nella 6.41 sul carattere extra-mondano del valore, può sembrare che "trascendente" sarebbe stata una qualificazione più appropriata. Così, del resto, egli qualificava letica in unentrata dei Quaderni (cf. TB 30.7.16). Tuttavia credo che quella del Tractatus non sia una svista.
3.1 Lessere del mondo e il "fuori del mondo"
Riassumiamo. Wittgenstein concepisce la logica come "trascendentale". Egli pensa che il mondo si dia in uno spazio di possibilità strutturato dalla logica. Questa concezione porta con sé lidea dellunità del mondo e insieme una visione della sua radicale contingenza. Wittgenstein esprime questa visione qualificando il darsi del mondo come "il Mistico". Usando questespressione egli sembra trasmettere quasi il senso dellemergenza dellessere, della creazione.20 20 In effetti, Wittgenstein stesso, in una conversazione con Waismann del dicembre 1930, si avvale della nozione di creazione per esprimere il senso dellassoluta datità del mondo: "I fatti per me non sono importanti. Ma a me sta a cuore quel che intendono gli uomini quando dicono che il mondo cè. Waismann domanda a Wittgenstein: Lesistenza del mondo è connessa con letico? Wittgenstein: Che si dia, qui, una connessione, gli uomini lhanno sentito e lhanno espresso così Il Padre ha creato il mondo, il Figlio (o la Parola, che da Dio procede) è lEtico"(WWK, 118/27). Come si è accennato, nella Conferenza sulletica Wittgenstein torna sul tema dellesistenza del mondo. Egli parla della sua meraviglia per lesistenza del mondo e la descrive come una meraviglia per qualcosa che tuttavia non si potrebbe concepire diversamente: non possiamo immaginare il mondo come non esistente (cf. LE, 13-14). Wittgenstein chiarisce però che loggetto della meraviglia è proprio il semplice esserci del mondo - il Che - e non lessere del mondo in un certo modo - il Come -, benché ci si possa certo meravigliare che il mondo intorno a noi sia così comè. Egli descrive lesperienza di meravigliarsi per lesistenza del mondo, dicendo: "[...] è lesperienza di vedere il mondo come un miracolo (as a miracle)" (LE, 11/17).
Lassociazione della meraviglia per lesistenza del mondo alla visione di tale esistenza come miracolo non è una semplice suggestione lessicale dovuta al fatto che linglese wonder - come il tedesco Wunder - può voler dire sia meraviglia sia miracolo. Essa ha un senso abbastanza preciso: Wittgenstein cerca di caratterizzare un modo di vedere le cose. La meraviglia che qualcosa esista non è esprimibile nella forma di una domanda e non può essere tolta da una risposta (cf. WWK, 68/23). Meravigliarsi di qualcosa non significa coglierlo come problematico, come un dato bisognoso di spiegazione. Le spiegazioni vanno al come non al che. Nella meraviglia per lesistenza del mondo il punto non è la sua inesplicabilità, bensì un modo di vedere il mondo. Similmente miracolo non è, se non in senso relativo, ciò che la scienza non ha ancora spiegato. In quello che, per Wittgenstein, è il senso assoluto del termine "miracoloso", nessun fatto è miracoloso in se stesso. Tale senso è correlato a un modo di guadare le cose radicalmente diverso da quello scientifico: "[...] il modo scientifico di guardare un fatto - scrive Wittgenstein - non è il modo di guardarlo come un miracolo" (cf. LE, 11/17). Qual è il significato di queste osservazioni per letica?
Mettiamo assieme alcuni dati. Come si ricorderà, per Wittgenstein, se cè un valore, esso devessere fuori dogni avvenire ed essere-così. Laccidentale avvenire ed essere così, cui è diretta la considerazione scientifica del mondo, è del tutto indifferente per il valore. La dimensione altra dal come del mondo è quella del che. È a questa dimensione che la Conferenza collega lidea di un valore assoluto o etico e precisamente alla meraviglia per lesistenza, per il "che è" del mondo. La meraviglia è un modo di vedere lesistenza del mondo: è il vederla come un miracolo e non come un problema da risolvere. Questo suggerisce che "fuori del mondo" non indichi tanto un luogo "esterno" al mondo - il mondo è tutto ciò che cè. La "dimensione" evocata con quellespressione forse non è un luogo; forse Wittgenstein vuol rinviare a qualcosa di connesso a un modo di vedere:21 21 Lidea di un "fuori del mondo" inevitabilmente veicola quella del mondo come limitazione. Come vedremo, secondo Wittgenstein non è però così che dovremmo considerare il mondo, bensì come un campo di possibilità per la volontà: tutto ciò che cè, avrebbe potuto essere diversamente senza che per questo vi sia nel come del mondo una differenza eticamente rilevante. meravigliarsi del mondo - della vita - vuol dire non coglierlo come problematico, accettare lavvenire ed essere-così per ciò che è, ossia qualcosa di accidentale, di contingente. Credo che con laffermazione del carattere trascendentale delletica Wittgenstein voglia suggerire proprio che nelletica abbiamo a che fare con qualcosa di profondamente diverso dalla ricerca di una risposta alla domanda sul significato, sul valore della vita (cf. TLP 6.521). Come vedremo subito, il fatto che TU sia formulata come un chiarimento dellaffermazione che letica è trascendentale non è casuale.
3.2 Lunità di etica ed estetica
I passi rilevanti per linterpretazione del punto in questione sono contenuti nei Quaderni. In particolare le tre entrate seguenti mi sembrano determinanti: "Lopera darte è loggetto visto sub specie aeternitatis; e la vita buona è il mondo visto sub specie aeternitatis. Questa è la connessione tra arte ed etica".
Il miracolo per larte (das künstlerische Wunder) è che il mondo vè. Che vè ciò che vè. (TB 7.10.16)
Lessenza del modo di vedere artistico è vedere il mondo con occhio felice? (TB 20.10.16).
Infatti cè pur qualcosa nella concezione che il bello sia il fine dellarte.
E il bello è appunto ciò che rende felice. (TB 21.10.16).
Il primo passo citato costituisce lincipit schopenhaueriano di unannotazione più lunga.22 22 Lespressione sub specie aeternitatis è spinoziana, ma la fonte diretta di Wittgenstein è verosimilmente Schopenhauer. Sullimportanza di questautore per Wittgenstein, cf. GLOCK, 1999. Esso suggerisce chiaramente che la connessione tra etica e arte sta essenzialmente in un modo di vedere. Possiamo supporre che nellappunto Wittgenstein attribuisca ad "arte" allincirca lo stesso significato che attribuisce a "estetica" nel Tractatus. Infatti, egli non sembra considerare lopera darte nel suo aspetto di artefatto; "arte" e "opera darte" sembrano indicare qualcosa come un modo di vedere e il suo risultato. Nella stessa entrata il modo di vedere artistico è contrapposto a quello "consueto" come un vedere le cose "dal di fuori" rispetto a un vederle "dal di dentro", nello spazio e nel tempo e dunque nella loro connessione ad altre cose, nel contesto di stati di cose (cf. TB 7.10.16). Vedere una cosa dal di fuori sembra voler dire coglierla come un tutto delimitato, "quale mondo" e non "quale cosa tra cose". È questo modo di vedere che la rende "significante" (TB 8.10.16).23 23 Cf. SCHOPENHAUER, 2002, § 36: "larte [ ] strappa loggetto della sua contemplazione dal flusso universale delle cose e se lo pone davanti isolato; e questo oggetto, che era in quel flusso una parte infinitamente piccola, diviene per essa qualcosa che rappresenta il tutto".
Larte (lestetica) è dunque qualcosa come uno sguardo trasformante. In parte si tratta naturalmente di una metafora. Come vedremo nel prossimo paragrafo, sembra corrispondere meglio a ciò che Wittgenstein vuol dire, pensare questo sguardo come un atteggiamento verso le cose piuttosto che come unattività di qualche tipo. Una prima conclusione che è possibile trarre dalle parole di Wittgenstein è allora la seguente: se laffermazione che etica e estetica sono tuttuno è effettivamente unesplicazione della tesi che letica è trascendentale, ciò che essa indica è che letica ha tale carattere in quanto è, come larte, un modo di vedere. Si tratterà di capire cosa ciò possa voler dire.
La seconda entrata citata contiene unindicazione importante circa ciò che, nella visione artistica, conferisce significato alloggetto. Il pensiero in essa espresso si chiarisce considerando lentrata successiva, la terza delle tre citate sopra. In essa Wittgenstein pare rispondere alla domanda, posta nella seconda entrata, se lessenza del modo di vedere artistico sia vedere il mondo con occhio felice. La domanda è intrigante perché larte ha spesso a che fare con realtà tragiche e dolorose. Ciò che Wittgenstein annota, e cioè che il bello è ciò che rende felice, aiuta a capire in che senso si possa rispondere affermativamente alla domanda.
Per lo più il bello nellarte non è in ciò che essa rappresenta, ma nel come lo rappresenta. Ciò si può intendere nel senso che larte, in accordo con certi principi formali, conferisce unità al contenuto rappresentato. Non può, tuttavia, essere questo senso di bellezza che Wittgenstein ha in mente.24 24 Cf. WILDE, 2004, p. 173-175 per un commento esteso dellannotazione. La prima entrata suggerisce che egli stia piuttosto pensando a qualcosa come una capacità dellarte di configurare un atteggiamento, un modo di dirigere lattenzione alle cose. Laffermazione che il bello è "ciò che rende felice", letta sullo sfondo di quanto sostenuto nella prima entrata, porta a congetturare che Wittgenstein consideri l(opera d)arte e la vita buona, cioè la vita felice, "esemplificazioni" della visione sub specie aeternitatis. Lannotazione del 20.10.16 - la nostra seconda entrata - aggiunge al quadro un elemento importante; essa suggerisce che ciò cui larte dirige lattenzione sia eminentemente il semplice esserci delle cose. Lo sguardo artistico "trasforma" in opera darte anche loggetto più insignificante perché lo lascia apparire sotto laspetto del miracolo. La bellezza cui larte tende sembra consistere in questo.
Per Wittgenstein, vedere "artisticamente" le cose vuol dire riceverle non come dati da spiegare o utilizzare a qualche scopo, bensì considerandole nella loro semplice datità. La visione artistica non è diretta all"avvenire ed essere-così", ma alla presenza delle cose. Vedere una cosa sub specie aeternitatis o come opera darte significa vederla "con tutto lo spazio logico" (TB 7.10.16) ovvero con la consapevolezza del possibile, delle sue possibilità di combinazione con altre cose. Ciò che per Wittgenstein desta meraviglia non è che i fatti siano in un modo particolare, ma che vi siano fatti, che vi siano le possibilità che ci sono.25 25 Così anche MORRIS, 2008, p. 326. È suggestivo pensare che ciò che Wittgenstein vede trasparire tra le maglie della rete logica sia quello stesso miracolo dellesserci che è rivelato dallarte. Ma perché questo sguardo sarebbe "felicitante"? E cosa rivela, in merito a ciò che Wittgenstein intende con "valore assoluto o etico", il collegamento del senso di questespressione allesperienza artistica di vedere il mondo come un miracolo? Che cosa suggerisce questo radicare letica nellesperienza del puro esserci del mondo?
La risposta più ovvia alla prima domanda è che lo sguardo artistico è felicitante perché vedere il mondo sub specie aeternitatis è vederlo in modo disinteressato, da una posizione di distanza, di distacco e dunque di "rinuncia" e Wittgenstein sembra aver pensato che la vita felice sia appunto la vita informata da questatteggiamento (cf. TB 13.8.16). Credo, tuttavia, che questa risposta sfiori soltanto il punto centrale della questione, al quale si arriva solo cercando di rispondere alla seconda domanda.
Wittgenstein presenta il collegamento dellidea di valore assoluto o etico alla meraviglia per lesistenza del mondo come "[...] una questione del tutto personale": questa è per lui lesperienza "per eccellenza"; altri potrebbero trovare esempi diversi (LE, 8/12). Con ciò non è inserito un elemento di arbitrarietà nel discorso. Wittgenstein vuole soltanto evidenziare il carattere personale delle cose che sta dicendo ovvero - così credo si debba intendere il punto - il loro essere espressione di un atteggiamento di base verso il mondo. Le osservazioni dai Quaderni citate sopra sembrano delineare unetica normativa riducibile allunico invito di vedere il mondo in un certo modo e cioè artisticamente, "con occhio felice".26 26 MORRIS, 2008, p. 326. Ciò che tale invito sottende è, però, un pensiero piuttosto complesso. Cerco di abbozzare unipotesi interpretativa.
4. Il portatore delletica
Come si è visto, Wittgenstein sembra attribuire alla visione artistica un potere di trasformazione in riferimento al significato delloggetto cui è diretta. Tale potere ha, però, effetti anche sul soggetto; esso produce, si potrebbe dire, un mutamento nel carattere dellautocoscienza o, forse meglio, nella definizione di se stessi, della propria "posizione" rispetto al mondo. Wittgenstein sembra pensare che, quando una cosa è vista "dal di fuori" ovvero sub specie aeternitatis, essa diventa il mondo dellosservatore. Questo modo desprimersi proietta sulla visione artistica il pensiero fondamentale del solipsismo: il mondo è il mio mondo; e la sua immediata conseguenza: rispetto al mondo lio si trova contratto a limite (cf. TLP 5.641 e TB 2.8.16); esso diventa il "punto inesteso" (TLP 5.64) cui è coordinata la realtà.27 27 Per lanaloga posizione in Schopenhauer, secondo il quale nella contemplazione estetica il soggetto diventa "lunico occhio del mondo", cf. SCHOPENHAUER, 2002, § 38. Il grande e complesso tema del solipsismo, che qui è appena sfiorato, costituisce per più aspetti lo sfondo delletica wittgensteiniana. Per la sua trattazione cf. SULLIVAN, 1996, MORRIS, 2008, p. 263-308; VOSSENKUHL, 2008, p. 89-118. Lo sguardo felicitante è dunque quello di un io che si è fatto puro limite del mondo? La "verità" (TLP 5.62) contenuta nel solipsismo e cioè che ogni esperienza è da un punto di vista, che il mondo è il mondo coordinato a un io, sembra avere un risvolto etico-estetico. Si tratta di capire quale sia. Che Wittgenstein riconosca tale risvolto pare attestato dal fatto che, nei Quaderni, lentrata che apre una serie di osservazioni dedicate a Dio e al senso della vita inizia con un chiaro riferimento al tema del solipsismo:
Che so di Dio e del fine della vita?
Io so che questo mondo è.
Che io sto in esso, come il mio occhio nel suo campo visivo. (TB 11.6.16).
Stare nel mondo come locchio nel suo campo visivo significa non stare nel mondo; nel campo visivo troviamo il contenuto dellesperienza visiva non locchio. Di questesperienza possono far parte anche le immagini riflesse dei nostri occhi. Ma in questo caso - osserva Michael Morris - locchio non ci è presentato come il nostro occhio è presentato a noi stessi quando guardiamo ad altre cose, cioè come il fuoco del campo visivo.28 28 Cf. MORRIS, 2008, p. 299. Limmagine usata da Wittgenstein suggerisce appunto che lio non appartiene al mondo, non è una sua parte (cf. TLP 5.631 e 5.632); è piuttosto il centro della prospettiva unitaria da cui il mondo è compreso. Questo fa del mondo il mio mondo (cf. TLP 5.62).29 29 "Mio" non definisce in questo caso una sfera privata. Dal fatto che il mondo è il mio mondo non consegue che ognuno ha il proprio mondo. Ciò che è personale nella relazione al mondo non appartiene ai fatti, non è una differenza che possa caratterizzare il contenuto del mondo. Cf. BELL, 1992. Lio per cui si può fare questaffermazione non è ovviamente lio psicologico; questultimo è uno dei fatti del mondo; è, invece, quello che Wittgenstein chiama "il soggetto metafisico" (TLP 5.641). Ora, il duplice modo in cui Wittgenstein si riferisce allio ha un parallelo sul piano pratico: "Della volontà quale portatore delletico non può parlarsi. E la volontà come fenomeno interessa solo la psicologia" (TLP 6.423).
Nei Quaderni vi sono parecchi riferimenti a una nozione non psicologica di volontà. In alcune osservazioni molto suggestive Wittgenstein collega tale nozione a quella del soggetto metafisico. Si legge, ad esempio, in unentrata: "Se la volontà non fosse, non vi sarebbe nemmeno quel centro del mondo che chiamiamo Io e che è il portatore delletica" (TB 5.8.16).
Cosè questa volontà e in che senso fa dellIo il portatore delletica? In unaltra entrata Wittgenstein annota: "Come la mia rappresentazione è il mondo, così la mia volontà è la volontà del mondo" (TB 17.10.16).
Non è semplice dare un senso a queste affermazioni.30 30 Per un esame delle numerose e intriganti osservazioni dei Quaderni dedicate alla volontà, cf. ISHIGURO, 1981. Mi limito a poche osservazioni. Il passo appena citato ci ricorda che il mondo di Wittgenstein, benché sia senza soggetto, nel senso che il soggetto non si dà come un elemento identificabile in esso, è un mondo soggettivo, è, cioè, un mondo coordinato a un Io. Esso sembra stabilire unanalogia: come la mia rappresentazione è il mondo, così la mia volontà è la volontà del mondo. Come si può intendere questa volontà?
È chiaro che, se lIo che vuole è il soggetto metafisico, esso non è nel mondo; di conseguenza la sua azione non può avere effetti nel mondo, non può modificare il mondo: "Il mondo è indipendente dalla mia volontà" (TLP 6.373).
Daltra parte, Wittgenstein sostiene anche che "bene e male non interviene che attraverso il soggetto" (TB 2.8.16). Ma come? Come può la volontà del mondo avere ad oggetto tutto ciò che accade, la totalità dei fatti?
Lazione della volontà, più che una modificazione del contenuto del mondo, sembra essere "[...] una presa di posizione del soggetto verso il mondo" (TB 4.11.16). La mia volontà è la volontà del mondo nel senso di un atteggiamento che assumo verso il mondo: "Se il volere buono o cattivo àltera il mondo, esso può alterare solo i limiti del mondo, non i fatti, non ciò che può essere espresso dal linguaggio" (TLP 6.423).
In virtù di questalterazione il mondo può divenire "un altro mondo" come "[...] il mondo del felice è un altro mondo che quello dellinfelice". Wittgenstein usa unimmagine che rinvia alle fasi lunari: "[...] esso deve, per così dire, decrescere o crescere in toto" TLP 6.43). Tutto ciò è assai difficile da decifrare.31 31 Per linterpretazione cf. SCHULTE, 2001 e, sullimmagine del crescere e decrescere, MULHALL, 2007. Un punto è comunque chiaro: se i limiti del mondo sono quelli del possibile, essi non possono essere alterati dalla volontà. Lunico cambiamento che la volontà può produrre in tali limiti è nel modo in cui, per così dire, il possibile ci tocca: la persona felice è quella che non patisce i limiti del mondo come limitazioni ma li accetta come condizioni per la possibilità del proprio volere.32 32 Cf. MULHALL, 2007, p. 234. Questa, credo, è la chiave per intendere perché lo sguardo artistico, in quanto sguardo "dal di fuori", sia felicitante e perché laffermazione che etica ed estetica sono tuttuno spieghi lattribuzione alletica di un carattere trascendentale.
4.1 Il carattere trascendentale delletica
Secondo Wittgnstein, come si è visto, bene e male intervengono, attraverso il soggetto: "Io voglio chiamare "volontà" soprattutto il portatore di buono e cattivo" (TB 21.7.16).
Ora, sembra che lazione della volontà buona sia lassunzione di un atteggiamento di accettazione del mondo che è il mio mondo, e che lazione della volontà cattiva sia un atteggiamento di rifiuto: "[...] per vivere felice - scrive Wittgenstein - devo essere in armonia con il mondo" (TB 8.7.16).33 33 Come si è ricordato, Wittgenstein sostiene che "il mondo e la vita sono tuttuno" (TLP 5.621). Poiché il mondo è la totalità dei fatti, il significato di "vita" in questaffermazione non può essere inteso in senso fisiologico o psicologico; sotto questi aspetti la mia vita non è che un insieme di fatti nel mondo. Che cosa si debba intendere per "vita" lo suggerisce forse laffermazione di Wittgenstein che "alla morte il mondo non si altera, ma termina" (TLP 6.431). "Vita" sembra indicare qualcosa come lapparire stesso (la rappresentazione) del mondo, del mio mondo. La differenza tra la persona felice e quella infelice è nel modo in cui accolgono il mondo: lidentico mondo dei fatti diventa in ciò, per luna e per laltra, un "altro" mondo. Lidea che Wittgenstein sembra faticosamente elaborare, collegando la volontà al soggetto metafisico, è che per la "volontà" intesa come portatore delletica ciò che conta non è il decidere di fare una cosa piuttosto che unaltra, non è ciò che si fa nel mondo, bensì latteggiamento verso il mondo. Felicità e infelicità non sono eventi: il mondo non diventa da felice infelice o viceversa; piuttosto cessa in toto di essere un mondo felice o infelice;34 34 Così ULE, VARGA von KIBÉD, 1998, p. 46. e questo per qualcosa come una differenza di Gestalt.
La prospettiva delineata offre un senso al tipo di riconciliazione con la vita cui Wittgenstein sembra tendere. Tale riconciliazione ha al centro una "rimozione" del soggetto morale - della volontà - dal mondo e dunque una presa di distanza dal mondo dei desideri e delle passioni. Possiamo collegare retrospettivamente questa mossa allidea di Wittgenstein che il valore non sia nel mondo. Essa è però, insieme, ciò che lo porta a sostenere che letica è trascendentale. La qualificazione "trascendentale" indica che letica è connessa al mondo, ma insieme avverte che il suo "contenuto" scompare, se si tenta di farlo rientrare nel mondo - in tal senso letica è anche "trascendente" (TB 30.7.16). Come la logica, letica non "rappresenta", non si occupa di una specie particolare di fatti, diversi da quelli di cui si occupano le scienze naturali. Piuttosto - proprio come la logica - essa ha natura di condizione del mondo (cf. TB 24.7.16): non della sua conoscenza, della sua costruzione logica, bensì del suo senso, del suo valore.
Attribuire alletica un carattere di condizione, vuol dire considerarla fondamentalmente un atteggiamento, un modo di vedere il mondo. Ed è appunto perché la concepisce in questo modo, che Wittgenstein può richiamare, in funzione esplicativa del carattere trascendentale delletica, la connessione di etica ed estetica ovvero di etica e arte. Semplificando: se il modo di vedere artistico è essenzialmente un vedere il mondo "con occhio felice", allora che un oggetto sia unopera darte non dipende tanto da come esso è, quanto dal modo in cui lo si guarda. Similmente con letica: a rendere la vita buona non sono tanto i suoi contenuti, quanto il modo in cui la si accoglie come la propria vita, il proprio mondo. Vedere il mondo con occhio felice è comprendere che il senso del mondo, il valore che può rendere "non-accidentale" ogni "avvenire ed essere-così" non ha a che fare con stati di cose nel mondo ma piuttosto con "[...] un atteggiamento o stile nellaccettazione di tutti i fatti".35 35 MURDOCH, 1993, p. 28. Tale atteggiamento non aggiunge né toglie qualcosa ai fatti, bensì "modella" ciò che abbiamo davanti come la situazione che si accetta. La mia volontà può diventare la volontà del mondo, la vita una vita felice, sensata, se al mondo guardo con locchio felice dellarte. Sembra essere questo, in ultima analisi, ciò cui Wittgenstein vuol renderci attenti, affermando lunità di etica ed estetica. Vorrei ora, conclusivamente, dire qualcosa a commento della prospettiva che egli suggerisce.
5. Osservazioni conclusive
La concezione di Wittgenstein colpisce per la sua profondità e insieme per gli aspetti di paradossalità che presenta. Molti di noi pensano che felicità e infelicità abbiano a che fare con situazioni di appagamento o frustrazione, soddisfazione o perdita, che bene e male siano proprietà di comportamenti, azioni, situazioni particolari, che attribuiamo secondo criteri spesso contestabili ma comunque definibili e non siano riducibili a un modo di vedere.36 36 Lo stesso si può dire dellarte. Si tende a pensare che un oggetto sia unopera darte perché ha certe proprietà (intrinseche o relazionali) e non semplicemente perché è visto in un certo modo. Se lo status di opera darte fosse conferito da una visione, tutto potrebbe diventare arte e non avrebbe più senso tentar di distinguere tra ciò che è arte è ciò che non lo è. Il significato che Wittgenstein attribuisce a "bene" e "male", così come il modo in cui intende larte, appaiono piuttosto particolari e lontani dal senso comune. Ciò che lo interessa non ha molto a che fare con ciò su cui vertono abitualmente le discussioni etiche o estetiche, eppure ha un rapporto con esse e le sue riflessioni risultano illuminanti riguardo a un aspetto cruciale.
Come si è visto, TU è formulata nel contesto di un argomento sul valore e la non formulabilità delletica, apparentemente con intento esplicativo in merito al carattere trascendentale delletica. Secondo linterpretazione proposta, in TU non è tanto in questione unidentità di ambiti, quanto una radice comune nellatteggiamento - esemplificato dallarte - che apre alla percezione del valore, del senso. Ciò che Wittgenstein suggerisce è una concezione normativa al cui centro sta un modo di vedere il mondo che è lo stesso dellarte. Egli lo descrive come un vedere il mondo come un miracolo. È chiaro che ciò non ha molto a che fare con la definizione di criteri dazione o di giudizio; contiene tuttavia unindicazione sulla fonte del valore:
Bene e male non interviene che attraverso il soggetto. Ed il soggetto non appartiene al mondo, ma è un limite del mondo. [ ] ad essere buono o cattivo è il soggetto che vuole. [ ] buono e cattivo sono predicati del soggetto, non proprietà del mondo. (TB 2.8.16).
Buono e cattivo è essenzialmente solo lIo, non il mondo. (TB 5.8.16).
Per Wittgenstein bene e male non sono proprietà dei fatti; la presenza di bene e male è subordinata allesistenza di un soggetto, di un Io che vuole.
Nella Conferenza egli mostra di considerare più o meno sinonime le espressioni "letica è la ricerca su ciò che è bene" e "letica è la ricerca su ciò che ha valore". La convinzione espressa nei due appunti citati può essere riformulata, dicendo che, per Wittgenstein, non cè un valore oggettivo, cioè un valore che sussiste indipendentemente dallesistenza di soggetti di volontà.37 37 È molto interessante, al riguardo, il seguente appunto di Waismann: "Schlick dice che nelletica teologica si danno due concezioni dellessenza del Bene: secondo linterpretazione più superficiale, il Bene è bene, perché Dio lo vuole; secondo linterpretazione più profonda, Dio vuole il bene perché è bene. Io penso che sia più profonda la prima concezione: Bene è ciò che Dio ordina. Infatti, taglia la strada a ogni possibile spiegazione del perché sia bene, mentre proprio la seconda concezione è superficiale, razionalistica, operando come se ciò che è bene potesse essere ulteriormente fondato. La prima concezione esprime chiaramente che lessenza del Bene non ha nulla a che fare con i fatti e quindi non può essere spiegata da nessuna proposizione. Se vi è una proposizione che esprime ciò che intendo, è: Bene è ciò che Dio ordina"(WWK, 115/24-25). La presenza del valore è subordinata allesistenza di un Io che vuole; è importante tener presente di quale valore sta parlando Wittgenstein.
Nella Conferenza egli formula una distinzione tra "senso corrente, o relativo" e "senso etico, o assoluto" di "buono", "valore", "importante", "giusto", ecc., e tra "giudizio assoluto di valore" e "giudizio relativo" e commenta:
Ogni giudizio di valore relativo è una pura asserzione di fatti e può quindi essere espresso in una forma tale da perdere del tutto laspetto di un giudizio di valore.
Lesempio fornito subito dopo è emblematico di ciò che Wittgenstein intende:
Invece di dire "Questa è la via giusta per Granchester", avrei potuto dire altrettanto bene "Questa è la via giusta che dovete percorrere se volete raggiungere Granchester nel più breve tempo possibile".
Wittgenstein sembra collegare la distinzione tra valore assoluto e valore relativo a quella tra imperativo categorico e imperativo ipotetico. Tradotto nella forma di un imperativo ipotetico, il giudizio di valore relativo risulta unattribuzione di valore relativa a un fine: esso diventa unasserzione su una relazione tra uno stato mentale e certi dati del mondo esterno, perdendo così laspetto di giudizio di valore. Secondo Wittgenstein, infatti, "[...] nessuna asserzione di fatti può mai essere, o implicare, un giudizio di valore assoluto" (LE, 5-6/8-9).
Egli pensa che lo stesso valga per i nostri stati mentali; anchessi, intesi come stati psicologici passibili di descrizione, non sono, in senso etico, né buoni né cattivi. Quando sostiene che "[...] bene e male non interviene che attraverso il soggetto", Wittgenstein non sta, dunque, dicendo che i fatti diventano buoni o cattivi a seconda delleffetto psicologico che hanno su di noi (cf. LE, 6/10). Questeffetto è ancora un fatto e letica, il valore in senso assoluto, appartiene a un ordine diverso da quello dei fatti.
Sembra tuttavia che anche il valore in senso assoluto risulti da una relativizzazione: non tanto a dei fini quanto al soggetto di fini, cioè alla volontà. La distinzione tra valore relativo (a un fine) e valore in senso assoluto sembra esprimibile richiamando lidea di una volontà incondizionata (cf. LE, 7/11-12). Cè forse uneco kantiana nelle osservazioni di Wittgenstein. Egli afferma che lesistenza di stati di cose corrispondenti al comando, o al giudizio di valore, espressi in un imperativo categorico "è una chimera". Nessuna situazione possiede quello che egli vorrebbe chiamare "[...] il potere coercitivo di un giudice assoluto" (LE, 7/12). Nessuna situazione, potremmo dire, ha lautorità della ragion pratica, della volontà pura kantiana. Che cosa si ha allora in mente, che cosa si cerca di esprimere, quando si usano espressioni come "bene assoluto" o "valore assoluto"?
Come si è visto, Wittgenstein richiama lesperienza di meraviglia per lesistenza del mondo appunto come uno dei casi - anzi il caso per eccellenza - in cui egli farebbe uso di queste espressioni. Suggerire che ladozione di una prospettiva etica - il riferimento al pensiero di un valore in senso assoluto - sia tuttuno con un atteggiamento di fondo verso il mondo di cui è parte la capacità di vedere "che i fatti del mondo non son poi tutto" (TB 8.7.16) è assai suggestivo. Nello stesso tempo appare, però, anche piuttosto singolare sia rispetto al modo in cui apprendiamo modi dagire morali, sia rispetto alle pratiche di giustificazione dei giudizi morali. Forse ciò che Wittgenstein vuol produrre è una sorta di riorientamento. In effetti, la sua affermazione dellunità di etica ed estetica ha leffetto di un richiamo a qualcosa che appare estremamente importante per la vita etica e cioè al fatto che la radice di tale vita non è nelle preoccupazioni teoriche sulla possibilità di una conoscenza del bene, sullesistenza di valori o sulla definizione del bene ovvero non è in quelle che Wittgenstein chiamava "le chiacchiere sulletica" (WWK, 69/24). Piuttosto, letica ha a che fare con l"esperienza" di un incondizionato quale si dà nella percezione del carattere miracoloso del mondo ovvero con una presa di posizione della volontà che mette la vita in relazione al valore assoluto. La vita buona è, nella sua radice, una forma di vita che fa posto a questa relazione. Detto in termini più concreti: letica non fa la sua comparsa nel momento della deliberazione, della scelta pratica; piuttosto, essa configura il modo in cui le situazioni sono comprese; si tratta di qualcosa come un atteggiamento che penetra il dire e il fare.38 38 Così anche WILDE, 2004, p. 181. Il senso del suo essere trascendentale è lo stesso per cui si può dire che essa concerne una forma soggettiva di vita.
Rispetto alletica così intesa, il ruolo dellarte - o dellestetica - sembra quello di un punto dentrata.39 39 Cf. MERSCH, 2009, p. 36. Larte è vista da Wittgenstein come il luogo dellesperienza dellesserci delle cose, o del mondo, come miracolo e dunque di unesperienza che per lui si collega al pensiero di un valore in senso assoluto, cioè di un valore non relativo a scopi o desideri contingenti. In tal senso essa equivale a un modo del tutto particolare di percepire le cose, ne configura lesperienza così come è proprio anche delletica.
Questa riconduzione delletica a una posizione soggettiva può suscitare perplessità. La concezione di Wittgenstein ha una coloratura soggettivistica con riguardo alla fonte del valore perché riporta limportanza etica delle cose alla volontà: "Significato le cose acquistano solo per il loro rapporto alla mia volontà" (TB 15.10.16).
Facendo della volontà la fonte del valore, Wittgenstein simpegna a sostenere che un mondo senza un soggetto metafisico ovvero senza esseri capaci di adottare la posizione di soggetto metafisico non contiene niente che sia di valore. Una separazione così radicale di fatti e valori appare discutibile. Forse, più che questa è però quella appena evocata lobiezione di fondo che potrebbe essere rivolta a Wittgenstein o, almeno, quella è lobiezione che qui prenderò in considerazione.
Le osservazioni di Wittgenstein non contengono giudizi di valore, imperativi, o indicazioni pratiche. Lunico imperativo implicito è forse quello di guardare il mondo nel modo esemplificato dallarte. Letica appare ristretta a una prospettiva personale, di prima persona, sul mondo. Potrebbe allora sembrare - questo il cuore dellobiezione - che il valore o il bene siano questione di scelta individuale, siano rimessi allarbitrio dei singoli. Lobiezione sembra tanto più legittima perché il carattere trascendentale delletica non è del tutto assimilabile a quello della logica. Pur considerandole dei casi-limite, Wittgenstein riconosce che vi sono proposizioni della logica e che esse, appunto perché sono genuine proposizioni, mostrano, rispecchiano la struttura del mondo. Per contro, egli sostiene che non vi sono proposizioni delletica - essendo non accidentale, il valore non può essere espresso in proposizioni bipolari -: letica non si esplica nella creazione di qualcosa di simile allo spazio logico. Il mondo della visione sub specie aeternitatis è un mondo personale, è il mondo visto da ciascuno con un significato che deriva dal suo modo di guardare, dallatteggiamento di fondo che egli ha verso il mondo.
Ora, è innegabile che, nella concezione di Wittgenstein, in un senso, ciò che chiamiamo "valore" è qualcosa che può essere compreso solo adottando una particolare prospettiva sulle cose. Letica e lestetica hanno unessenziale dimensione soggettiva; questo non significa, però, dipendenza da tratti individuali, da particolarità soggettive; significa, piuttosto, che nelletica, cioè, per Wittgenstein, rispetto a ciò che è realmente importante, che rende la vita sensata, meritevole di essere vissuta, il punto dappoggio non può che essere in quel "centro del mondo che chiamiamo lIo", cioè nella volontà. Si può certo dubitare che vi sia qualcosa come un punto di vista ultimo del valore; non credo, però, che dalla posizione di Wittgenstein consegua una connotazione soggettivista della nozione di valore perché la volontà da cui egli fa dipendere il valore non è la volontà come fenomeno psicologico, bensì la volontà che può costituire il solo bene intrinseco, incondizionato, cioè la volontà che è "il portatore delletica", che può rendere il mondo "felice".40 40 Resta tuttavia un dubbio. Linterpretazione proposta attribuisce valore intrinseco alla volontà ovvero a ciò che conferisce valore alle cose. Si potrebbe pensare che la volontà ha valore perché conferisce valore. In generale non pensiamo, però, che la fonte di qualcosa di valore debba essere per sé di valore. Come rilevano filosoficamente Rae Langton (cf. LANGTON, 2007, p. 176) e poeticamente Fabrizio De André (cf. Via del campo), dal letame nascono fiori splendidi, ma non gli attribuiamo un particolare valore (diversamente dai diamanti, dai quali però non nasce niente). Come stanno le cose con la volontà? Il suo valore è indipendente, oggettivo? Oppure è essa stessa a conferirsi valore? Come si può dire se il suo valore è intrinseco? Wittgenstein, come si è visto, parlando del bene assoluto accenna al comando di un giudice assoluto. È pensabile che il bene sia comandata da un tale potere, ma non abbia origine in esso. Anche il modo in cui egli risolve lalternativa di Schlick - evocativa di quella dellEutifrone platonico (cf. XII a) - lascia aperta questa possibilità: il bene che Dio ordina può essere un bene scoperto e non deciso da Dio. In altri termini, Dio può essere il legislatore, lautore dellobbligazione, senza essere il creatore del bene. Similmente, la volontà può avere un valore intrinseco, senza conferirsi da sé tale valore. Cè un indizio a favore di questipotesi e cioè la contrarietà di Wittgenstein al suicidio (cf. TB 10.1.17 che però si chiude in forma dubitativa). È come se qualcosa, per Wittgenstein, ponesse qui un limite invalicabile; ma che cosa può essere? È possibile che sia proprio il valore intrinseco della volontà. Si può pensare che la volontà non sia in grado di dar valore alle cose, alla vita, ma questo non vuol dire che essa sia priva di valore. Forse essa ha valore, anche se non si conferisce valore. Se così non fosse, non ci sarebbe nulla di sbagliato nel suicidio, quando - come capitava spesso al giovane Wittgenstein - ci si giudica privi di valore e la vita ci appare priva di significato. Ciò che Wittgenstein promuove non è una soggettivizzazione del valore, bensì la consapevolezza che letica è, nella sua radice più profonda, una questione personale, di atteggiamento verso il mondo. Affermando che etica ed estetica sono tuttuno, Wittgenstein mira probabilmente a mettere in luce questa realtà. Certo, per farlo egli poggia su una comprensione piuttosto particolare dellarte - dellestetica - in cui viene in primo piano il suo essere un modo di strutturare lattenzione alle cose.
Tomasi, Gabriele. "Etica ed Estetica sono tuttuno" Riflessioni su TLP 6.421. Trans/Form/Ação, (Marília); v.34, p.109-136, 2011, Edição Especial 2.
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Publication Dates
-
Publication in this collection
23 Sept 2011 -
Date of issue
2011