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Aria de pixel: riprodutibilità aurática digitale

Pixel air: digital auratic reprodutibility

Ar de pixel: reprodutibilidade aurática digital

Abstracts

Il saggio parte dalla riflessione del testo Writing Culture di Clifford-Marcus. Dopo più di 20 anni, è possibile verificare come questa critica, anziché aprire verso il futuro, ha chiuso una fase della mono-scrittura etnografica basata sul concetto di retorica e autorità. Già nella metà degli anni '80 stavano nascendo forme compositive multi-linguistiche sperimentali che applicavano una "etnografia indisciplinata" a design, architettura, pubblicità, musica, cinema, web. Si apre la sfida per una università non solo basata su Facoltà territoriali. Diverse modalità di comunicare attraverso il digitale mescolano e sincretizzano le visioni dualistiche di Benjamin su aura e riproducibilità. La mia prospettiva finale è la riproducibilità auratica digitale.

etnografia; metropoli; comunicazione digitale; composizione multilinguistica


My essay starts from a reflection on Clifford-Marcus's Writing Culture. After more than 20 years, it is possible to verify that such a critique - instead of opening toward the future - was going to close to the traditional ethnographic writing based on rhetoric and authority. In the middle of the 80's, were spreading experimental compositive patterns, applying an "undisciplined ethnography" to design, architecture, advertising, music, cinema and web. The challenge toward a university based not only on territorial Faculty is open. Different forms of communication are digitally mixing and syncretizing the Benjamin visions on aura and reproducibility. My final perspective is the Digital Auratic Reproducibility.

ethnography; metropolis; digital communication; multilinguistic composition


Este artigo parte da reflexão sobre o texto Culture de.i Clifford-Marcus. Após 20 anos de sua publicação, é possível verificar como a crítica feita por este autor fecou uma fase da mono-escritura etnográfica baseana no conceito de retórica e autoridade. Já na metade dos anos 80 estavam nascendo formas compositivas multi-linguísticas experimentais que aplicavam um "etnografia indisciplinada" ao design, arquitetura, publicidade, música, cinema, web, abrindo uma via para universidades não somente baseadas sobre faculdades territoriais. Diversas modalidades de comunicação são digitalmente mixadas, sincretizando o dualimsno de Benjamin sobre aura e repordutibilidade. A minha perspectiva final é a reprodutibilidade aurática digital.

etnografia; metrópole; comunicação digital; composição multilinguistica


Aria de pixel: riprodutibilità aurática digitale

Pixel air: digital auratic reprodutibility

Ar de pixel: reprodutibilidade aurática digital

Mássimo Canevacci

Università di Roma La Sapienza, Roma, Italia

SINTESI

Il saggio parte dalla riflessione del testo Writing Culture di Clifford-Marcus. Dopo più di 20 anni, è possibile verificare come questa critica, anziché aprire verso il futuro, ha chiuso una fase della mono-scrittura etnografica basata sul concetto di retorica e autorità. Già nella metà degli anni '80 stavano nascendo forme compositive multi-linguistiche sperimentali che applicavano una "etnografia indisciplinata" a design, architettura, pubblicità, musica, cinema, web. Si apre la sfida per una università non solo basata su Facoltà territoriali. Diverse modalità di comunicare attraverso il digitale mescolano e sincretizzano le visioni dualistiche di Benjamin su aura e riproducibilità. La mia prospettiva finale è la riproducibilità auratica digitale.

Parole chiave: etnografia; metropoli; comunicazione digitale; composizione multilinguistica

ABSTRACT

My essay starts from a reflection on Clifford-Marcus's Writing Culture. After more than 20 years, it is possible to verify that such a critique - instead of opening toward the future - was going to close to the traditional ethnographic writing based on rhetoric and authority. In the middle of the 80's, were spreading experimental compositive patterns, applying an "undisciplined ethnography" to design, architecture, advertising, music, cinema and web. The challenge toward a university based not only on territorial Faculty is open. Different forms of communication are digitally mixing and syncretizing the Benjamin visions on aura and reproducibility. My final perspective is the Digital Auratic Reproducibility.

Keywords: ethnography; metropolis; digital communication; multilinguistic composition.

RESUMO

Este artigo parte da reflexão sobre o texto Culture de.i Clifford-Marcus. Após 20 anos de sua publicação, é possível verificar como a crítica feita por este autor fecou uma fase da mono-escritura etnográfica baseana no conceito de retórica e autoridade. Já na metade dos anos 80 estavam nascendo formas compositivas multi-linguísticas experimentais que aplicavam um "etnografia indisciplinada" ao design, arquitetura, publicidade, música, cinema, web, abrindo uma via para universidades não somente baseadas sobre faculdades territoriais. Diversas modalidades de comunicação são digitalmente mixadas, sincretizando o dualimsno de Benjamin sobre aura e repordutibilidade. A minha perspectiva final é a reprodutibilidade aurática digital.

Palavras-chave: etnografia; metrópole; comunicação digital; composição multilinguistica.

1. Oltre la scrittura etnografica

La pubblicazione di Writing Culture coinvolse l'Antropologia Culturale verso un rinnovamento della didattica e della ricerca, presentando un'alternativa alla museificazione precoce della disciplina nell'analizzare le forme retoriche e di potere della scrittura, tra l'indifferenza delle istituzioni accademiche e delle altre scienze sociali (Clifford & Marcus, 1986). Eppure quelle critiche erano già arretrate rispetto alle sfide culturali basate sul digitale che spingevano verso composizioni innovative non centrate solo sulla scrittura, quanto estese ai mix-media della comunicazione. Per questo, la radicale frattura di Writing Culture è destinata a chiudere un passato piuttosto che ad aprire un presente.

Anziché un'antropologia applicata verso orizzonti empirici diversi, si aprì una fase disciplinare immobile, tanto più stridente di fronte all'irrompere di scenari global-politici, ibrido-culturali, tecno-comunicazionali. Paradossalmente, quelle ansie verso un rinnovamento linguistico furono accolte e praticate da architetti, designer, artisti, stilisti, musicisti e persino pubblicitari. Da qui l'esigenza di ripensare i limiti del gruppo e la sfida del presente che per me si basa sui seguenti punti:

- Reificazione della forma-scrittura

- Congelamento delle avanguardie

- Indifferenza alla comunicazione digitale

- Assenza della critica politico-economica

- Composizione processuale mix-mediale

- Polifonie narrative tra i diversi soggetti della ricerca

Questi punti di un'etnografia autonoma dall'appartenenza disciplinare offrono le possibilità di attraversare, incrociare e snodare i fili del mutamento culturale e comunicazionale senza definire la matassa.

1.1. Reificazione della forma-scrittura

Writing Culture conclude un ciclo anziché aprirne uno nuovo. La critica della scrittura è affrontata quando sta iniziando la comunicazione digitale articolata in una pluralità diversificata e simultanea di trame narrative. La stessa scrittura non è più solo alfabetica, ma una composizione ideogrammatica di suoni, icone e lettere. Tale concetto di composizione offre il senso del mutamento narrativo oltre la semplice forma-scrittura: un morphing fluido di codici diversi e di polifonie loopate verso mutazioni percettive. L'aria-di-pixel dissolve il monologismo scritturale e dilata concettuali sensoriali.

La riflessione sulle retoriche della scrittura etnografica, iniziata da Geertz, si estende sul concetto di autorità solo verso il passato. E altri autori sviluppavano qualcosa di più complesso della pura scrittura. Il seminario di Santa Fé è dell'84 e Writing Culture esce nel '86: già nel 1983 Cronenberg filma Videodrome e Gibson scrive Neuromance: canadesi influenzati da Mac Luhan, entrambi sperimentano visioni narrative e logiche compositive influenzate dal digitale nascente.

Si afferma la pervasività della comunicazione che esprime un salto qualitativo dal precedente monologismo scritturale attraverso un libro e un film. Quindi, per gli autori Writing Culture la scrittura coincide con la letteratura accademica e per questo cyberpunk o videocarne sono assenti dal loro orizzonte. L'incapacità di avvertire la nascente web-cultura o le mutazioni delle arti visuali è il limite del gruppo, che pur ha sfidato le sclerosi della disciplina. Tale limite non favorisce scelte orientate verso il presente-futuro: e così la pur giusta critica culturale si volge contro l'autorità di accademie ossificate, senza la forza visionaria di partire da uno specifico ambito retorico (la scrittura etnografica) per attraversarlo e farne una chiave di lettura critica per narrazioni diversificate. L'indifferenza per la comunicazione digitale blocca il gruppo e si rovescia in critica storicistica. A distanza di qualche decennio è possibile affermare che Writing Culture appare più come l'ala radicale di Geertz (la scrittura-fiction come fieldwork), senza riuscire a vedere i fili di tessiture narrative altre. Il risultato è la reificazione della forma-scrittura, che si presenta come ordine logico esclusivo attraverso cui dare conto dell'esperienza etnografica.

1.2. Congelamento delle avanguardie.

Connessa a tale ambito è l'assenza delle arti contemporanee, nonostante che The Predicament of Culture (Clifford, 1988) abbia uno dei capitoli più belli proprio sul rapporto etnografia e surrealismo. Mi aspettavo un'attenzione verso quello che stava accadendo nei tanti artisti che in quel tempo stavano mutando il nesso corpo-identità-digitale. Invece diventò sempre più chiaro che la prospettiva era solo storicista. Per Clifford, le avanguardie possono intrecciarsi con l'antropologia, ma solo nel ciclo fatale degli anni 20-30. Tale storicismo appare ancor più singolare poichè negli '80 vi è un rinnovamento della body art che, intrecciando corpo digitale e identità ibrida, sviluppa inedite applicazioni sensoriali estetiche e antropologiche. Diversi e notissimi artisti/e - tra cui Orlal, Stelarc, Lygia Clark, Marce.lì Antunes Rocha - si affacciano utilizzando nuove metodologie di ricerca. Sophie Calle attraverso "banali" fotografie e dolorose scritture diaristiche compone una delle avventure artistiche più significative, basata su una inquietante etnografia del sé: e ci emoziona con i suoi nessi compositivi tra esposizione biografica ed esplorazioni linguistiche. Infine, è da sottolineare l'altra assenza di un'architettura post-euclidea che stava cambiando lo scenario urbano dalla città moderna alla metropoli comunicazionale. La relazione tra metropoli e comunicazione è una delle scelte metodologiche fondamentali di Benjamin, autore ben presente in questi autori, che pur tuttavia trascurano o ignorano tale relazione compositiva dei linguaggi emergenti.

1.3. Indifferenza alla comunicazione digitale

Come accennavo, la cultura digitale ha una storia intrecciata con l'antropologia con Gregory Bateson. Nell' intervista realizzata da Steward Brand insieme a Mead dal titolo Per l'amor di dio, Margaret! (2001), Gregory presenta la scelta di collaborare con Wiener tra il 1946 e 1953 abbandonando la "disciplina" ed estendendo l'antropologia alla cibernetica. Scelta radicale che Marcus, acuto interprete di Bateson, ignora (1988): forse un pregiudizio diffuso - che riproduce la cosiddetta dicotomia tra le due culturee - causa indifferenza verso la nascente tecnologia digitale che stava modificando esperienze quotidiane, economie globali, stili culturali.

Bateson aveva elaborato il termine di schismogenesi durante le sue prime ricerche etnografiche: nei processi di interazione ci sono meccanismi di autocorrezione che frenano le relazioni conflittuali; il modello di retroazione o feedback è elaborato da Wiener attraverso altri itinerari e finirà per intrecciarsi e quindi a coinvolgere Gregory. Ed entrambi - Bateson e Wiener - fin dall'inizio criticano quei cibernetici che isolano l'input-output. Dice Bateson:

La cibernetica di Wiener era la scienza dell'intero circuito ... Non interessa l'input-output, quanto ciò che accade all'interno del circuito più ampio e tu sei parte del circuito più ampio ... L'ingegnere è fuori della scatola e Wiener è dentro la scatola ... io sono dentro la scatola (Brand, 2001, p. 135).

In questa citazione vi è ancora una sfida per le scienze umane: gli etnografi in senso lato stanno dentro la scatola e dovrebbero di allearsi con i cibernetici per elaborare un modello web 3.0 che vada oltre la logica binaria degli attuali software (es. i verticismi economico-culturali presenti nel web 2.0), coinvolgendo ogni navigante nei processi creativi multi-logici e multi-sensoriali della cultura digitale. Dice von Foerster: "ciò che ci serve adesso è una descrizione del 'descrittore'; o, in altre parole, abbiamo bisogno di una teoria dell'osservato" (citado por Brand, 2001, p. 152). Esattamente come ancora oggi... Intrecci tra tra etnografia e web hanno il compito delle mutazioni possibili di Internet. La "descrizione-del-descrittore" è compito della ripresa innovativa delle scienze sociali o esatte che siano.

1.4. Assenza della critica politico-economica

Rileggendo i testi pubblicati dal gruppo, un'ulteriore problema emerge: l'assenza a riferimenti circa la critica politico-economica. Il culturale assorbe l'intero universo antropologico, per cui è giusta la critica di culturalismo. L'economia appare come qualcosa di altro, meno "poetico" e certamente alieno alle scritture retoriche. Tale assenza è ancora più grave in quanto si stava per entrare nella svolta epocale della globalizzazione. Sono altri ricercatori, specie antropologi post-coloniali, che getteranno le basi per un riflessione critica su quella che si chiamava struttura e che Appadurai delinea secondo i cinque flussi panoramatici, che mettono in discussione la obsoleta dialettica struttura-sovrastruttura (1986). In Writing Culture ogni riferimento al marxismo vecchio e nuovo è eliminato. Non è possibile sviluppare una critica all'antropologia solo sulle forme retoriche della scrittura senza penetrare nei poteri neocoloniali, che Fanon affrontò nelle dimensioni psichiatriche e militanti (1971). E Franz Fanon emerge come critico applicato alle complesse penetrazioni psichiche e politiche dell'autoritarismo coloniale francese. L'autorità non è riassunta dalla scrittura e Fanon apre al corpo razzializzato segnato da altre forme di dominio, i cui problemi irrisolti stanno esplodendo non solo nelle periferie metropolitane.

Il mercato muta insieme a tecnologie, arti, identità: e a queste accelerazioni disordinanti il gruppo rimane indifferente. Saranno ricercatori che vivono le diaspore post-coloniali a penetrare nei processi materiali/immateriali dei panorami economico-politici. Bhabha, Mbembe, Sen connettono il politico con l'etnografia, non trascurano il potere del linguaggio, ma neanche rimuovono l'istanza della trasformazione politica dello stato di cose. Il recente collasso della speculazione finanziaria dovrebbe trovare etnografi in grado di decifrare sia la corruzione dei flussi di capitale fittizio, sia quei comportamenti di cittadini che hanno immaginato di entrare dentro queste bolle finanziarie per modificare stili e status.

2. Digital Auratic Reproducibility

In tali scenari, le anticipazioni cibernetiche di Bateson si possono incontrare con le riflessioni riproducibili di Benjamin (1955). L'insuperabile storyteller delle città si incontra - in un montaggio metodologico - con il maestro dell'ecologia della mente e del doppio vincolo esplorati nei villaggi balinesi. Come è noto, Benjamin elabora una delle sue opere più famose sulle potenzialità della riproducibilità tecnica di entrare in conflitto con l'aura, affinchè la classe operaia e proletaria possa sfidare le classi aristocratico-borghesi nell'esperienza estetica. Poiché la tecnologia è parte costitutiva dell'arte, essa - diventando riproducibile - può imprimere a una svolta rivoluzionaria nella elaborazione, produzione e fruizione delle arti.

Successivamente, Andy Warhol affronta la serialità in un modo tanto affine dalla riproducibilità di Benjamin quanto diversa dalla massificazione di Adorno. La pop art entra nel corpo seriale delle merci, seleziona le icone più "simboliche" diffuse dai mass media, le disloca e le svuota del loro potere simbolico attraverso serialità, riproducibilità, massificazione. Warhol unifica Adorno e Benjamin sotto il suo segno neo-dandy, ludico ed erotico.

Tra i due amici francofortesi vi fu tensione politica e teorica: Adorno rispose al saggio di Benjamin con un libro sulla reificazione dell'ascolto (1958) in cui mostrava uno scenario in cui le tecnologie massificate - anziché liberazione sotto il segno delle riproducibilità - aumentavano a dismisura i processi di reificazione. Tali divergenti visioni su tecnologia e cultura di massa non si risolsero mai a causa del loro sistema filosofico: la dialettica hegelo-marxiana. Grazie all'ignorare tale metodo, Warhol riesce non a sintetizzare, ma a sincretizzare nella serialità pop i due amici sciogliendo la dialettica riproducibile/massificato. La sua arte svuota il potere dei simboli e - assimilando Mao, Marylin e Campbell - neutralizza il loro potere politico, sessuato, mercificato per diffonderli come segni impuri. Dopo di lui, auratico o massificato non hanno più senso.

Riproducibilità, massificazione e serializzazione si intrecciano, confliggono e si riproducono a una condizione: l'esistenza della cultura di massa da cui dipende Warhol. Senza mass-media non esiste pop-art. La comunicazione digitale, invece, espande potenzialità compositive autonome dai media anzi sono altro dai mass media. Internet sottrae l'iniziale mass ai media, è un media oltre le masse massificate, riproducibili o serializzabili: il web afferma "il media", un media singolare-plurale che incorpora una serie di operazionalità che prima erano differenziate e che ora si unificano in uno strumento unico. Tale media singolare-plurale si connette alle potenzialità esperienziali, emotive, compositive del soggetto multividuo.

Dai pixel dei mass media generalisti emerge il concetto di Fake che già nel cinema classico si era presentato come visione politica altra: fake non significa non-vero, bensì un oltre l'opposizione dualista vero-falso. Se è proprio dell'arte fuoriuscire da questa trappola, certamente l'arte dal digitale offre tale potenzialità. Orson Welles anticipa tutto questo in uno degli ultimi film - F or Fake (1975) - ed ora le prospettive di un fake-being auraticamente riproducibile espanso dal digitale configura identità fluide oltre la dicotomia falso-vero.

Quello che conta è uno scenario altro che emerge intrecciando cibernetica e digitale con prospettive diversificate. Una generazione di artisti, designer, performer, architetti, sound-designer inizia a plasmare opere prima della produzione-consumo dei mass-media generalisti. E allora anziché opposizione dialettica e classista tra aura e riproducibilità, le articolazioni digitali mescolano queste due prospettive che - da dicotomiche - si dissolvono nell'aria di pixel e diventano sincretiche, polifoniche, diaporiche. Emerge una comunicazione auratica riproducibile che il digitale scioglie oltre il dualismo delle tecnologie (e filosofie) analogiche. Ogni tratto immesso nel web - musicale, letterario, artistico o social network - può rimanere nella sua forza espressiva "auratica" e/o essere disponibile a infinite "riproducibilità" decentrate. Anziché arte collettiva, sono artisti connettivi che si affermano. Da qui la crisi del copyright che sta diventando elemento politico-economico, cultural-comunicazionale, giuridico-tecnologico caratterizzante il conflitto contemporaneo insieme ai principi di una cittadinanza transitiva.

In questa "alleanza" tra Bateson e Benjamin, i meccanismi autocorrettivi della cibernetica transitano nel digitale e nella web-comunicazione, auto-regolano i circuiti di trasmissione delle informazioni, spingono verso scenari di una riproducibilità auratica digitale, oltre la dialettica, le dinamiche di classi, la logica binaria: D.A.R. I processi liberazionisti non possono rimanere rinchiusi dentro modelli di software che incorniciano i soggetti interconnessi riaffermando economie e valori tradizionali. In questo senso, gli itinerari dell'industria culturale - discussi con passione anticipata da Benjamin e Adorno - e poi della comunicazione digitale favoriranno questa tendenza insospettata: la cultura digitale incrocia auratico e riproducibile.

Anziché un oppositivo dualismo tra aura borghese e riproducibilità operaia (tra reificazione e immedesimazione), il digitale sincretizza riproducibilità e aura. Tale aura riproducibile - che è una aporia per il pensiero dialettico - esprime tendenze liberazioniste verso una comunicazione digitale mobile e diversificate composizioni etnografiche. Tale mix decentrabile di tecnologie e soggettività rende qualsiasi prodotto visuale consumabile quanto modificabile in ogni spazio-tempo.

La comunicazione digitale è nello stesso tempo irriproducibile e riproducibile. Questo transito dissolve i legami con le classi sociali che ancora Benjamin individuava con certezza: borghese-aristocratica nel primo caso; operaia-proletaria nel secondo. Quella forza estetica che si coagulava nel concetto di aura - la fruibilità dell'opera d'arte in uno spazio-tempo dato (l' hic et nunc) - ora si innesta tra le innovazioni digitali praticabili nell'esperienza ubiqua di ogni teen-ager glocal.

Il digitale è auraticamente riproducibile.

Questo potenziale mix innovativo - auratico-riproducibile - è un indicatore decisivo per intendere cosa sta cambiando nelle arti contemporanee. Esso è un salto paradigmatico ed espressivo netto rispetto al passato. La relazione sociologica tra consumo e media analogici divideva dicotomicamente i soggetti sociali in chi produceva e in chi consumava: da un lato, il lavoratore portatore di politica o l'artista esentato dal lavoro; dall'altro, il consumer assoggettato in una passività indotta dall'appiattimento omologante e dall'indifferenza dei significati.

Ne consegue una crescente frattura dai mass-media classici ai post-media digitali, che causa un lento canto funebre per i primi: i mass-media stanno morendo perché il referente non è più il concetto sociologico di massa, bensì il concetto comunicazionale di multividuo. La comunicazione digitale post-media favorisce l'emergere di una soggettività che non ha più una identità stabile, fissa, compatta basata su un unico lavoro, un solo territorio, una famiglia eterna; bensì fluide identità mutanti fatte di "ii".

La comunicazione visuale è sempre più centrale non solo per i nuovi media e per la cultura digitale, ma anche per quella che si chiamava politica. Infatti, tale concetto si riferiva alla polis, a quella idea di città e di cittadinanza connessa con un certo modello urbano e quindi anche sociale. La piazza, i partiti, la sfera pubblica, la produzione, la dialettica erano determinazioni pratiche di questa visione simbolica della politica (Canevacci, 1996, 2008).

Tutto questo sta svanendo nell'aria dei pixel: la comunicazione digitale è diventata il concetto materiale/immateriale che subentra allo storicamente determinato concetto di società. La svolta determinante è che la società è un concetto astratto che non riesce più a dare un senso a quanto sta avvenendo: è troppo storico. Di conseguenza, una politica che non stia criticamente dentro la comunicazione è inesistente e i lamenti contro tale mutazione non fanno altro che aumentare la distanza tra una politica comunicazionale e una "critica" ancorata alla tradizione.

Questo non significa affermare una transizione "from society to communication", che nel linguaggio anglosassone caratterizza tanti titoli e persino modalità del pensare a mio avviso entrambi inadeguati. Tale tipologia sottintende una concezione del mondo cripto-evoluzionista, secondo cui si passa da un concetto centrale ma datato (la società in questo caso), ad uno emergente che subentra all'altro: la comunicazione. Questa logica dualista ed evolutiva è profondamente diversa dal mio modo di focalizzare i processi del mutamento, determinati da disgiunzioni parziali, tensioni conflittuali, coesistenze sincretiche, fratture compositive.

Nel corpo della società è sedimentata quella dimensione storica che proprio "lei" - "società civile" - rivendicava quando emerse contrapponendosi allo Stato, nel cui nome sono stati compiuti straordinari processi rivoluzionari ed emancipatori delle classi lavoratrici a partire dall'inizio dell'800 fino al secondo dopoguerra. La sedimentazione dialettica tra società e Stato (cioè la politica) era legata a un tipo di formazione giuridica e filosofica a sua volta connessa con quei sistemi produttivi di tipo industriale. In tale quadro, le scienze sociali si sono affermate fino a perdere le tensioni critiche. All'interno di tale sistema politico si inquadravano le dinamiche delle classi con i conflitti sociali da esse emergenti, l'affermarsi dei partiti in chiave universalistica (proletari, borghesi, religiosi), la dialettica come strumento logico che ordina i conflitti antitetici in prospettive di sintesi, il dualismo come "braccio armato" agli ordini delle visioni universalistiche. Queste ultime continuano a usare una forza dicotomica "poliziesca" dalle potenti connotazioni emotive e regressive, funzionali alla diffusione di uno schema pulsionale semplificato che oppone amico-nemico, noi-loro, bene-male, ordine-anomia, maschio-femmina, organico-inorganico, natura-cultura ecc...

Una diversa visione non evolutiva bensì processuale cerca di svolgere concetti non più dicotomici, secondo cui prima ci sarebbe la società e adesso la comunicazione. La processualità è obliqua e disordinata, è come un attrattore che si muove su un piano inclinato su diverse angolature, per cui va avanti e a volte indietro, si blocca in attesa di raccogliere frammenti significativi che si connettono, mescolano, distinguono secondo logiche differenziate, nè sintetiche nè universalistiche. Questo transito verso molteplicità decentrate accende tensioni, coesistenze, conflitti ben oltre un paradigma dualista funzionale all'universale.

Le conseguenze sono trasparenti: gli spazi comunicazionali dei panorami visuali contengono una importanza affine a quella che, nell'era industriale, era espressa dai tempi produttivi applicati alle classi sociali. Per cui gli interstizi delle aree metropolitane vanno affrontati con la stessa serietà con sui si faceva l'inchiesta operaia per mutare le condizioni del lavoro. La mia ipotesi è che il nuovo contesto urbano - che con un concetto provvisorio definisco metropoli comunicazionale - emerge dentro e fuori lo stato-nazione; che la globalizzazione espande queste aree metropolitane come enclavi reticolari e flessibili tra loro connesse più significative delle forme statuali irrigidite.

Per indagare nel corpo di questo processo è necessario modificare le metodologie di ricerca e le modalità delle narrazioni. Trans-disciplinarietà e trans-urbanesimo delineano dimensioni transitive di identità, culture, soggettività, dove i concetti emersi negli ultimi decenni - sincretismo digitale, feticismo visuale, polifonie diaporiche - vanno applicati e risolti secondo compositizioni adeguate agli scenari sperimentali da tempo affermatisi. Una etnografia applicata ai panorami sonici, ai bodyscape/location, al design emozionale o all'architettura post-euclidea diventa decisiva: e la scrittura - modificata nelle sue logiche e soggettività compositive - è solo una delle componenti narrative possibili.

3. Metropoli comunicazionale

La trasformazione della tradizionale città verso una fluttuante metropoli è il contesto all'interno del quale collocare lo sguardo etnografico. Le pratiche delle culture digitali su siti-web, design, architetture, musiche, moda, pubblicità; la fine del lavoro fisso e l'affermazione di identità fluide; le soggettività performative nel consumo e nelle estetiche; le individualità diasporiche che attraversano e incrociano luoghi, spazi, zone, interstizi; i processi di ibridazione tra frammenti glocal espansivi; l'accelerazione politica della comunicazione visuale: tutto questo delinea la transizione in atto dalla città industriale alla metropoli comunicazionale.

Tale metropoli dissolve la società con la sua dialettica dualista e la centralità del lavoro industriale; frantuma la cultura nel suo significato omogeneo in miscelazioni sincretiche; dilata la comunicazione, determinante per penetrare e modificare "tutto quello che è solido" che svanisce nell'aria-dei-pixel. Anziché usare terminologie che si sono rivelate inadeguate (post-moderno su tutte), le esplorazioni più interessanti - intrecciando antropologia e architettura - individuano nel transurbanesimo il contesto fluido dove si pratica un tale mix di corpi e spazi (Koohlaas, 2001; Oosterhuis, 2003; Mulder, 2002). Tale trasformazione si basa sull'innovazione di panorami corporei e urbani tra le zone metropolitane, e sulle possibilità per un nuovo soggetto ("multividuo") di transitare negli interstizi, produrre comunicazione e quindi metropoli con identità altrettanto transitive. In altre parole, più che il lavoro è il nesso architetture/urbanesimo che crea identità e si relaziona con un sentire metropolitano esteso oltre i confini materiali della città. La metropoli comunicazionale è materialimmateriale.

I nessi tra tecnologie digitali e stili corporei liberano potenziali identità diasporiche, sincretismi tecnologici, paesaggi sonori, immaginazioni visuali, oralità iconiche. Questa pulsante metropoli accende mescolanze tra pubblico-privato, natura-cultura, organico-inorganico, familiare-straniero che oltrepassano le semplificazioni binarie, gli universalismi filosofico-religiosi, gli strutturalismi antropologici, le neutralità interpretativiste. Nelle pratiche processuali transurbane, il mutamento - il transito - trasforma la città in metropoli. Non è la produzione industriale il centro economico-politico che definisce e inquadra la società civile: il trittico cultura-consumo-comunicazione dissolve il tradizionale concetto di società, sincretizza stili e visioni-del-mondo, fluidifica territori, matrimoni, lavori, sessi, generazioni, etnicità. Transitare significa attraversare, incrociare e assemblare spazi, zone, selves, identità.

Trans-urbanesimo altera le condizioni del vedere prospettive, scorci, ritmi. Da qui l'attenzione etnografica per ogni dettaglio che ha come indicatori privilegiati la relazione tra bodyscape e location: cioè le attrazioni dialogiche tra corpi panoramatici e luoghi-spazi-zone-interstizi.

Le aree di ricerca empirica per un'antropologia della metropoli confluiscono e defluiscono tra correnti che connettono architetture ubique, elaborate e costruite dal digitale; urbanistica, oltre l'idea moderna del "progetto", la metropoli si produce per frammenti o macchie individualizzanti; comunicazione visuale, l'espansione del design nel suo significato più esteso include location per film, pubblicità, documentari, sound-design; paesaggi corporei, moda, stili, performance, comportamenti, manifestazioni; connettività digitali, codici e logiche influenzano le precedenti scene, insieme al no-copright e al web 3.0.

Nell'ipotesi di ricerca, le identità si costruiscono, modificano, pluralizzano all'interno di tale processo connettivo, dove i nessi tra corpo e architettura delineano potenziali identità. Le metodologie etnografiche transdisciplinari focalizzano sul farsi-vedere, un training per osservare e osservarsi tramite il proprio sguardo attento a selezionare attrattori: indicatori qualitativi di codici visuali ad alto valore feticista che assorbono l'attenzione e fissano lo sguardo; l'attrattore incorpora una semiotica feticizzata col potere di incollare l'occhio e di decifrare la crescente proliferazione di mini-simboli fetish. Etnografia della metropoli sposta il campo di ricerca dalle periferie ai flussi interstiziali, dove si manifestano tendenze di minoranze-non-minoritarie: anticipazioni di piccole minoranze, caratterizzate in senso comunicazionale e non sociologico, che possono diventare "temporanee maggioranze" per i rispettivi ambiti culturali.

L'excursus etnografico seleziona tre architetture londinesi come indicatori empirici del processo di mutazione dalle aree industriali dismesse (e relativa logica dialettica) alla metropoli comunicazionale.

a. Questa prima immagine è una classica fabbrica, la cui architettura industriale configura il controllo dello spazio e delle persone che vi lavorano. Li inquadra come classe, come soggetto collettivo per determinarne tempi e metodi, corpi e desideri. È un

flyer

che prefigura la fase successiva postindustriale, opera di alcuni musicisti che sono riusciti a

sentire

il mutamento prima di politici o scienziati sociali. Da una scheggia del punk britannico nascono i

Throbbing Gristle

che, a partire dagli '80, individuano nella fabbrica morta lo spazio compositivo per la musica

industrial

. Strumenti e luoghi lavoristi si trasformano in panorami musicali. Una sensibilità acustica e "politica" dissonante esce da queste esperienze informando un tipo di soggettività radicale. Una musica multisensoriale ingloba spazi e strumenti atipici, si

sente

con un corpo che persegue la bellezza transitiva di muri scrostati, pavimenti polverosi, macchine abbandonate, da cui emettere pulsioni soniche eXtreme e disordinanti. Il lavoro non è più il centro che ordina e dà senso a tutto il resto (musica, arte, amore, religione...); le distinzioni tra centro e periferia saltano muovendosi a macchie di leopardo. Istanze performatiche spingono un soggetto irrequieto a un tipo di

attivismo

che invade i luoghi del "tempo di lavoro" e li trasforma in interstizi temporanei del desiderio.

b. Nella seconda immagine, la fabbrica è morta, la

gentrification

della centrale elettrica al centro di Londra diventa

Tate Modern

, il più significativo spazio espositivo dell'arte contemporanea.

Tate Modern

accompagna la metamorfosi dalla città industriale alla metropoli comunicazionale:

la produce

. L'arte - come ogni soggettività - necessità di ampi spazi su cui vivere le proprie opere, che diventano performatiche come i luoghi del consumo. La

Tate

non ha finestre come uno shopping center: l'osservazione deve essere indirizzata all'interno e non al suo esterno. Dalla foto si può notare che la struttura architettonica è quella classica, design industrialista, prospettiva geometrica squadrata come quella dell'operaio che ci lavora dentro o del cittadino che la vede da fuori. È percepibile l'affinità tra architetture e soggettività: la fabbrica richiede un'identità fissa, ripetitiva, omogenea. In poco tempo, Tate Modern - con la pesante struttura architettonica esterna e il mutante design interno - diventa insufficiente. Così gli architetti che disegnarono la ristrutturazione - Herzog e de Meuron - progettano la

Tate2

: le loro scelte architettoniche sono tra le più politiche per possano attestare la transizione dall'era industriale alla metropoli comunicazionale.

c. Osservando il progetto

Tate-Modern2

, il processo transitivo è avviato ed è chiaro che i

vari post

(industriale o moderno) diventano obsoleti: si innalza un edificio

comunicazionale

- sincretico, polifonico, metamorfico - dalle sfaccettature irregolari, diagonali, dissonanti. Ogni piano è diverso non solo dagli altri, ma al suo stesso livello si configurano diversificate identità contigue, sovrapponibili e transitabili. Emerge l'

oltre

la geometria euclidea, la prospettiva rinascimentale, la società industrialista, l'identità lavorista. Già Marx (che studiava Londra e non le favelas, in quanto queste erano prodotte da quella) distingueva

werke

da

arbeit

: il primo ripetitivo e alienato, il secondo creativo e libero, ma entrambi all'interno della struttura industriale. È tempo di nuovi concetti per designare attività lavorazionali mutanti (

opus

) come le identità del soggetto. Il desiderio di auto-espressività cresce con l'estensione di spazi concettuali diagonali e di tecno-sincretismi digitali, in conflitto con le rigidità professionali e i curricula universitari. Il soggetto è sospinto a cercare composizioni identitarie altrettanto multi-sfaccetate, fluide, irriducibili alle geometrie politiche classiche. Il digitale è non solo tecnologia: è anche potenzialità logico-espressiva che induce flussi di soggettività che emergono e si disperdono lasciando detriti di pixel nel transitare.

Le identità esprimono il processo più conflittuale per tali transiti. A lungo il concetto di identità è stato fondato su radici precise e inamovibili: identità connessa per tutta la vita a un lavoro fisso, a un matrimonio indissolubile, a un territorio conosciuto, una sessualità definita, a una classe-di-età esatta. Lavoro-amore-territorio-generazione inquadravano l'identità dentro una cornice stabile. Ora tutto questo si diluisce in una costante mutazione identitaria che favorisce la possibilità di vivere molteplicità lavorative, sessuali, spaziali, generazionali. Il multividuo - traduzione latina dal greco atomon, l'indivisibile nucleo del sociale - è un soggetto comunicazionale che coabita con grappoli inquieti di "ii" in conflitto con gli schemi tradizionali del politico.

La Tate Modern Due è un multividuo architettonico, auratico-riproducibile, affine alle identità fluttuanti di un soggetto transurbano. Entrambi producono una metropoli compositiva tra spazi comunicazionali.

Osservando in sequenza i diversi soggetti-architettonici, essi mutano le relazioni tra politica e partito, lavoro e desiderio, comunicazione e società. La frontalità industrialista e mono-prospettica della vecchia Tate è il sintomo di una sinistra e di una scienza sociale rinchiuse in una fabbrica svuotata tanto delle macchine tayloriste o toyotiste quanto delle metodologie nate dal suo corpo. Dalla nuova sta emergendo una multi-spazialità dalle prospettive oblique, diagonali, inquiete che intessono montaggi simultanei di codici asimmetrici e sincretici. Soggettività architettoniche e umane potranno dialogare attraverso polifonie dissonanti e temporenee. Entrambe producono metropoli e comunicazione - non merci e tantomeno società. Da tali flussi transurbani si possono sentire rumori e paesaggi, estetiche e stili, performance e design: composizioni multi-linguistiche per concetti sensoriali.

4. Dirty secret

Il segreto è di non rifiutarsi di guardare

le parole scritte, anzi, bisogna guardarle

intensamente fino a che scompaiono

Calvino (1994:55)

La crisi delle università. Mark C. Taylor in un articolo sul "New York Times" intitolato End the University as we know it (2009) individua alcuni elementi che dovrebbero essere sotto gli occhi di tutti coloro che hanno a che fare con l'università. Il sistema disciplinare e i curricula degli studenti si avvolgono in un nodo di ferro arrugginito che impedisce il dispiegamento delle energie intellettuali e espressive degli stessi studenti e quindi dei professori; a questo si aggiunge un diffuso sistema di cooptazione che spinge i dottorandi ad adeguarsi ai docenti piuttosto che a cercare le proprie vie di ricerca. La rigidità dei curricula, spiegabile solo con la volontà di controllo politico da parte della Facoltà, è entrato da tempo in aperta contraddizione epistemologica con le estese potenzialità cognitive e comunicazionali offerte dalle tecno-culture digitali. Da tempo la micro-specializzazione rinchiude il sapere nella sua riproduzione o al massimo in innovazioni settorialistiche. Le possibilità di uno studente o di un ricercatore di connettere saperi diversificati è praticamente impossibile, mentre i confini tra le scienze o le facoltà cedono. Potrei raccontare tanti episodi in cui il nesso professori-facoltà-curriculum congela le aspirazioni verso saperi innovativi transdisciplinari da parte di giovani ricercatori. L'organizzazione scientifica del lavoro universitario - articolato territorialmente per facoltà disciplinate - gestisce concorsi e curricula secondo un sistema peer to peer (cioè prof to prof) per soli professori ordinari da cui sono esclusi studenti e docenti "subalterni".

The emphasis on narrow scholarship also encourages an educational system that has become a process of cloning. Faculty members cultivate those students whose futures they envision as identical to their own pasts, even though their tenures will stand in the way of these students having futures as full professors ... The

dirty secret

of higher education is that without underpaid graduate students to help in laboratories and with teaching, universities couldn't conduct research or even instruct their growing undergraduate populations (Taylor, 2009, p. A23).

Tale dirty secret è sotto gli occhi di tutti e ignorarlo significa compartecipare all'involuzione universitaria e quindi riprodurre lo sporco segreto. Il progetto di abolire i dipartimenti permanenti e creare "problem-focused programs" significherebbe rovesciare il problema (la logica) della ricerca: a partire da una didattica in cui lo studente può avere la massima disponibilità a incorciare ambiti disciplinari che costituiscono il suo specifico - non-omogeneo né omogenizzabile - percorso universitario. Nel fare una tesi sul corpo, ad es., uno studente dovrebbe avere la massima apertura didattica per svolgere un suo personale itinerario connettendo eventualmente medicina, arte, filosofia, antropologia e altre materie che un docente tutor aperto possa suggerire. I curricula si devono adeguare allo studente e non il contrario. Nello stesso tempo si dovrebbero incoraggiare l'elaborazione di tesi iper-testuali, in quanto la loro presentazione "classica" su carta stampata non riesce più a esprimere le potenziali tensioni plurilogiche e multi-linguistiche. La scrittura è diventata mono-scrittura. Essa si è rinchiusa dentro recinti affini a quelli dell'università: per questo la critica alle retoriche trascritte nei testi delle scienze sociali è rivolta al passato e per farla stra-volgere verso il presente significa procedere sull'oltre, dove la composizione dei tanti linguaggi possa esprimere il senso della ricerca attuale.

Infine, un'altra dimensione presente da tempo è estremamente semplice: l'università non può rimanere rinchiusa dentro le mura della stessa università. Uscire dai campus dovrebbe appartenere alla prassi consolidata per unire didattica e ricerca, in particolare per le scienze umane. Portare gli studenti dove si elaborano moduli comunicazionali interstiziali o produttivi è parte costitutiva dell'esperienza universitaria. Uscire all'aperto, camminare e dialogare nei quartieri a recente immigrazione, costituisce un esempio per aprirsi alle problematiche emergenti; partecipare a eventi performatici è altrettanto significativo per estendere le propri frontiere musicali o teatrali; entrare negli studios cinematografici, nelle gallerie d'arte, nei laboratori di moda o informatici, fare esperienze per quanto limitate nei contesti indigeni con l'attiva partecipazione didattica di quest'ultimi: tutto questo spalanca le mura universitarie verso quanto di più innovativo, forse minoritario, spesso perturbativo, certamente applicato e vissuto sul campo possa esistere. I saperi non nascono solo nelle università o nelle aziende: ma anche nei tanti fieldwork cui è fondamentale partecipare fin dai primi anni dei corsi per sentire la complessità delle innovazioni e delle differenze. Come la filosofia sta fuori della filosofia, così l'antropologia sta fuori della storia dell'antropologia culturale... forse tra le opere di una artista itinerante.

5. Front-page e home-page

International news from a global perspective

Vorrei svolgere alcuni appunti per una ricerca futura sulla transizione dal giornale di carta come lo abbiamo conosciuto e i giornali online, finalizzata a sottolineare i versanti aperti da tempo su questo terreno non solo informazionale che spinge quello che era un lettore - ora diventato anche ascoltatore, spettatore, surfer, buyer, informatore, twitter - oltre la scrittura monologica. A tal fine seleziono come indicatori empirici le differenze comunicazionali tra front-page e home-page.

Premetto che per anni ho tagliato, ripiegato e archiviato diligentemente ritagli di giornali per me importanti, da non perdere o non dimenticare, che poi rimanevano nelle cartelle predisposte dalle improbabili consultazioni. I ritagli di foto o articoli diventavano col tempo ingialliti, pieni di strati sottili di polveri allergiche, spesso deprivati di quel contenuto che mi aveva coinvolto. Insomma feticci di carta. Feticci stampati da cui era difficile separarsi e che conservarli mi dava la sensazione di un continuo e prolungato contatto, come è nel potere del feticismo. In genere dopo un certo tempo, mi decidevo a buttare quelli che ormai erano troppo datati e continuavo a conservarne alcuni in attesa della prossima selezione.

Col passar del tempo, quello che era il "giornalaio" cominciò a mutare di professione diventando un mini-shopping stracarico di merci visuali sulla strada, come un albero della cuccagna da cui pendono infiniti doni quasi gratuiti da poter afferrare per poi rinserrarsi nel proprio spazio privato a consumarli avidamente. Leccornie di carta e non solo. Era alquanto normale commentare un articolo particolarmente significativo o provocatorio: questi giornali hanno prodotto società e la dialettica pubblico-privato. Le foto accompagnavano il testo (all'inizio una sola foto centrale), una sorta di spiegazione aggiuntiva la cui autonomia espressiva era parziale in quanto determinata dalla scrittura. Il periodo dalla mia infanzia fino alle prime lotte politiche era caratterizzato dagli "strilloni", persone che gridavano le notizie delle edizioni speciali per strada con un accento romano dialettale, veri artisti dello strillo, una specie di canto urlato con un inizio fortissimo e un finale strascicato: in tal modo si lasciava intendere che era accaduta una cosa terribile ma che a causa del finale debole non si capiva bene del tutto. Un'arte operistica dello strillo che dice e non dice in una sorta di cantilena ripetuta agitando una copia come se non fosse possibile resistere all'afferrarla. A Roma il "Paese Sera", giornale popolare di sinistra, era specializzato a fare almeno tre edizioni al giorno in cui il titolo a caratteri cubitali in prima pagina riassumeva la notizia terribile (1 1 Il cinema americano dedicò film memorabili alla front page, in quanto la relazione tra i due media (cinema e giornali) è costitutiva dell'industria culturale nascente e delle relative spettacolarizzazioni: oltre al celebre Citizen Kane di Orson Welles (1941), Billy Wilder da Ass in the Hole (1951) a The Front Page (1971) ).

Per aumentare l'appeal, il quotidiano ha una sua identità giornaliera, appunto, che offre servizi specifici (salute, viaggi, moda, cinema e spettacoli ecc.); per cui la mitica prima pagina cerca di offrire non più il pezzo principale, poi quello di spalla e infine quelli secondari o di costume, bensì un plot di notizie ordinate secondo la linea politico-culturale del direttore. E infine, last but not least, ha un prezzo...

Ora tutta sta cambiando "quotidianamente". La homepage dello stesso giornale online già si configura potenzialmente come un ipertesto. Vi è sempre la notizia più importante, meno "strillata" e non sempre "politica", ancora una volta sulla sinistra dello screen, mentre le altre scritte si succedono secondo una gerarchia instabile, che muta nel corso della giornata diverse volte, in quanto le informazioni-flash (24 ore su 24) sono più caratterizzanti dei commenti, destinati a specifici link. Sulla destra oppure disseminate secondo un mutante design emozionale (e il design della home page è sempre più news mutanti) grappoli di foto, video, musiche, pubblicità, dizionari che rinviano a una quantità enorme offerta che nel giornale di carta è semplicemente inimmaginabile. Le sequenze spesso hanno a che fare con celebrities, dilatando pettegolezzi globali su persone in genere poco conosciute, oppure su nudi il cui numero crescente al limite del soft-porn è indicativo di creare un appeal erotico a un lettore-spettatore-voyer.

Le immagini, sia come foto giornalistiche o come riproduzioni di opere d'arte, hanno una resa visiva incomparabile con quella di giornale di carta; le posso salvare facilmente collocandole in cartelle già predisposte e che posso utilizzare con estrema facilità o inviare in tempo reale ad amici in tutto il mondo. I servizi sono anche in video, in genere brevi e focalizzati. Diversi link mi connettono rapidamente a film, concerti, musei, esposizioni, dibattiti. Posso avere sia info aggiornate costantemente (come era la "edizione speciale") sia leggere saggi impegnativi anche di giorni passati senza dover andare nelle emeroteche. Ho preso una abitudine che prima mi potevo permettere rare volte: nel mio segnalibri, ho memorizzati sei giornali globali realizzando finalmente il mio sogno di avere accesso gratuito nel chiosco del giornalaio. Tutto questo a costo zero. Così ho quotidianamente una panoramica globale in inglese, spagnolo, portoghese e italiano. L'inglese mi consente di essere informato anche su altri paesi (es, Cina). Insomma il transito dalla front-page e home-page è comunicazionalmente enorme. La home-page di un quotidiano sta unificando tutta una serie di media che prima erano separati. Un processo affine ai cellulari. Entrambi stanno diventando "un media", ovvero unificano nella loro singolarità (un) la pluralità (media): sono singolari-plurali. Si espande a dismisura l'offerta di notizie ipertestuali globali e decresce il tempo riflessivo dato a una singola decisiva news. Forse, più che accompagnare l'articolo di fondo per crearsi la propria opinione, il lettore-informatore si auto-afferma e contribuisce alla diffusione di notizie e commenti attraverso i social network assorbiti nelle home-page.

È interessante accennare che il diffondersi in tanti paesi di giornali ancora una volta gratuiti (tipo Metro) è simmetrico a questa mutazione comunicazionale: essi coprono un pubblico analogico-popolare restio a comprare giornali di carta e che non ha l'abitudine di connettersi per leggere i giornali online. Una stratificazione di consumatori di news influenzata dai TG che legge con diffidenza e che si adegua a questi giornali gratuiti dagli articoli brevi e dalla semplice scrittura. Quindi non in competizione con i giornali elettronici, ma a coprire segmenti di persone escluse sia dai giornali venduti a prezzi di mercato che di quelli gratuiti online.

Allora i giornali-di-carta si articolano tra un'adeguazione a un pubblico popolare non-digitale e una crescente diffusione (almeno per ora gratuita) di giornali-di-pixel orientata verso soggetti differenziati e digitalizzati, che si muovono su scenari globali dove si parlano diverse lingue (cfr. El Paìs.com. Ediciòn Global). Si sperimenta una diversa visione della pubblicità, che contribuisce in maniera determinante alla stabilità finanziaria dei quotidiani, trasformando quello che era il target sociologicamente inteso per aree omogenee di consumatori da colpire con avvisi di consumo ben definiti, in un target fortemente individualizzato, il cui obiettivo tende a coincidere con una singola persona. Questa l'enorme sfida di pubblicità e comunicazione. Il target si è individualizzato. Il target del soggetto digitale è esploso in una miriade si frammenti individuali sui quali possono transitare temporanei lettori differenziati.

La pubblicità si fa sempre più stile di vita o evento emozionale che accompagna le scelte con le stesse strategie di una recensione teatrale o filmica. Si veda la raffinatezza di una pubblicità online sul NYT-Global Edition:

"Turn this page in a show room"... "click to vies 360°" ... "engineering aficionados, design mavens, adrenaline junkies: your new car is here. This is Mercedes Benz".

È un linguaggio adeguato per chi è abituato a utilizzare web-pidgin, sincretismo linguistico digitale che transita tra linguaggi locali (aficionados), mainstream (engineering) o giovanilistici (junkies). E allora la nuova scintillante Mercedes si posiziona sulla stessa homepage del NYT che diventa un'inclinata autostrada-di-pixel, che solleva la macchina come in un tappeto volante sullo scenario dei grattacieli notturni di New York. La forza persuasiva dell'immagine è chiara: la Mercedes è il Times di New York, una Mercedes-Benz "clearly visible in the prominent grill mounted star. This is performance in a pure view". Non casualmente i simboli della casa automobilistica si collocano a destra (come icona) e a sinistra (in lettere) del titolo storico frontale NYT (cfr. la citazione iniziale). La pubblicità dice il vero: la homepage si fa performatica e la sua potenza comunicazionale è di gran lunga non solo maggiore, quanto altra. È probabile che questa strategia comunicazionale digitale trasformi in breve questo medium - che ha accompagnato la nascita stessa della modernità con l'affermazione dicotomica tra sfera pubblica e sfera privata, la cui dialettica senza il giornale sarebbe difficile da immaginare - in qualcosa di ancora non visto. E forse il tempo dell'accesso gratuito sta per finire: forse accompagnerà il simmetrico decadere del prezzo del giornale di carta. Quando questo sarà del tutto morto, allora l'altro - quello digitale - avrà il suo prezzo. E ai vari Metro resteranno le briciole di mercato residuo popolare, comunicazionalmente conservativo quanto sempre più importante dal punto di vista politico-elettorale.

Attraverso la home page, osservo un flusso dove c'è di tutto, su cui il cliccare ha sostituito il svoltare le pagine e dove si unifica tutto quello che prima era separato. È possibile sostenere che i giornali online sono il prolungamento della rivoluzione iniziata da Victor Gruen con i mall (1950): l'architetto unificò nello spazio quello che prima era separato in tanti singoli negozi, applicando al consumo quel metodo che Taylor e Ford avevano inventato per il lavoro. E ora il Gruen-style entra nella comunicazione, si estende nel giornale e tutti quei media che erano separati tra loro sono ora unificati dalla homepage.

Produzione, consumo e comunicazione hanno finalmente la stessa epistemologia organizzativa.

Per tornare alla citazione calviniana, vedere scomparire le parole scritte non va "letto" non nel senso di abolire le scritture, ma di aprirsi verso molteplici linguaggi: e che l'arte di fissare le parole fino alla loro scomparsa può favorire la crescita di generi narrativi tra loro diversi. L'arte poetica-politica del fissare le parole scritte che ricadono nel corpo attesta l'inizio di un viaggio diasporico. Si fissa una pagina ormai imbiancata, da dove possano fuoriuscire flussi di parole ideogrammatiche, concetti sensoriali, codici visuali, icone alfabetiche, glifi immaginari, dattili coreografici, tastiere instabili...

Note

Filmografia

Recebido em: 02/07/2009

Revisão em: 23/11/2009

Aceite final em: 13/12/2009

Mássimo Canevacci é Professor de Antropologia Cultural e Arte e Cultura Digital na Università di Roma La Sapienza. Professor visitante CAPES na Universidade Federal de Santa Catarina/PPG Psicologia, em 2010. Email: maxx.canevacci@gmail.com

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    Citizen Kane di Orson Welles (1941), Billy Wilder da
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    The Front Page (1971)
  • Publication Dates

    • Publication in this collection
      09 Aug 2010
    • Date of issue
      Apr 2010

    History

    • Reviewed
      23 Nov 2009
    • Received
      02 July 2009
    • Accepted
      13 Dec 2009
    Associação Brasileira de Psicologia Social Programa de Pós-graduação em Psicologia, Universidade Federal de Pernambuco, Centro de Filosofia e Ciências Humanas (CFCH), Av. da Arquitetura S/N - 7º Andar - Cidade Universitária, Recife - PE - CEP: 50740-550 - Belo Horizonte - MG - Brazil
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