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Il concetto di volontà collettiva in Gramsci

Abstracts

L'articolo discute il ruolo centrale della volontà nella costruzione di un ordine sociale e politico nel pensiero di Antonio Gramsci. Presenta le riflessioni del pensatore italiano tanto negli scritti pre-carcerari quanto nei Quaderni del carcere, sottolineando le approssimazioni tra il suo concetto di "volontà collettiva" e quello di "volonta generale" di Rousseau. Si occupa dell'enfasi conferita da Gramsci alla volontà collettiva come "elemento" della democrazia. Conclude indicando che il concetto di "volontà collettiva" elaborato da Gramsci nei Quaderni è strettamente legato a quello di "riforma intellettuale e morale", ossia alla questione dell'egemonia.

Volontà collettiva; volontà generale; egemonia


O artigo discute o papel central da vontade na construção de uma ordem social e política no pensamento de Antonio Gramsci. Apresenta as reflexões do pensador italiano tanto nos escritos pré-carcerários quanto nos Cadernos do cárcere, evidenciando as aproximações entre o seu conceito de "vontade coletiva" e o de "vontade geral" de Rousseau. Aborda a ênfase conferida por Gramsci à vontade coletiva como "elemento" da democracia. Conclui, indicando que o conceito de "vontade coletiva", elaborado por Gramsci nos Cadernos, está estritamente ligado ao de "reforma intelectual e moral", ou seja, à questão da hegemonia.

vontade coletiva; vontade geral; hegemonia


This article discusses the central role of will in the construction of a social and political order in the thinking of Antonio Gramsci. It presents the analysis of this Italian thinker both in his pre-prison writings as well as in his Prison Notebooks, revealing the approximations between his concept of "collective will" and Rousseau's "general will". It treats the emphasis given by Gramsci to collective will as an "element" of democracy. It concludes by indicating that the concept of "collective will", developed by Gramsci in The Prison Notebooks is closely linked to that of "intellectual and moral reform", or that is, to the question hegemony.

collective will; general will; hegemony


ARTIGO

Il concetto di volontà collettiva in Gramsci1

The concept of the collective will in Gramsci

Carlos Nelson Coutinho

Universidade Federal do Rio de Janeiro (UFRJ)

RIASSUNTO

L'articolo discute il ruolo centrale della volontà nella costruzione di un ordine sociale e politico nel pensiero di Antonio Gramsci. Presenta le riflessioni del pensatore italiano tanto negli scritti pre-carcerari quanto nei Quaderni del carcere, sottolineando le approssimazioni tra il suo concetto di "volontà collettiva" e quello di "volonta generale" di Rousseau. Si occupa dell'enfasi conferita da Gramsci alla volontà collettiva come "elemento" della democrazia. Conclude indicando che il concetto di "volontà collettiva" elaborato da Gramsci nei Quaderni è strettamente legato a quello di "riforma intellettuale e morale", ossia alla questione dell'egemonia.

Parole-chiave: Volontà collettiva, volontà generale, egemonia.

ABSTRACT

This article discusses the central role of will in the construction of a social and political order in the thinking of Antonio Gramsci. It presents the analysis of this Italian thinker both in his pre-prison writings as well as in his Prison Notebooks, revealing the approximations between his concept of "collective will" and Rousseau's "general will". It treats the emphasis given by Gramsci to collective will as an "element" of democracy. It concludes by indicating that the concept of "collective will", developed by Gramsci in The Prison Notebooks is closely linked to that of "intellectual and moral reform", or that is, to the question hegemony.

Key words: collective will, general will, hegemony.

I punti di vicinanza tra la 'volontà collettiva'

di Gramsci e la 'volontà generale' di

Rousseau.

Gramsci propone nei Quaderni una

posizione che supera

dialetticamente sia il soggettivismo di

Rousseau che l'oggettivismo di Hegel.

La 'volontà collettiva' e la democrazia.

Fin dagli anni giovanili, Gramsci sottolineò il ruolo centrale della volontà nella costruzione di un ordine sociale e politico. Come tutti ricordano, in un celebre articolo scritto nel dicembre 1917, dopo aver definito la rivoluzione soviettica come una "rivoluzione contro Il capitale", affermando che i bolscevichi avrebbero superato le "incrostazioni positivische e naturalistiche" che sarebbero state presenti nello stesso Marx, Gramsci (1982, p. 514) scrive:

[I] massimi fattori di storia [non] sono i fatti economici, bruti, ma l'uomo, ma le società degli uomini, degli uomini che si accostano fra di loro, sviluppano attraverso questi contatti (civiltà) una volontà sociale, collettiva, e comprendono i fatti economici, e li giudicano, e li adeguono alla loro volontà, finché questa diventa la motrice dell'economia, la plasmatrice della realtà oggettiva, che vive e si muove, e acquista carattere di materia tellurica in ebullizione, che può essere incanalata dove alla volontà piace, come alla volontà piace.

Questa idea di una "volontà sociale, collettiva" che risulta dai contatti tra gli uomini e che ha un ruolo determinante nella creazione della realtà sociale, sebbene sia direttamente influenzata dal neoidealismo di Croce e soprattuto di Gentile, somiglia molto al contrattualismo rousseauniano. Bisogna ricordare che, anche nel Rousseau del Contratto sociale (1964, p. 320) - un autore al quale Gramsci si riferisce non molte volte, sia negli scritti pre carcerari sia nei Quaderni -, si può trovare, del resto in una posizione centrale nell'insieme del suo pensiero, il concetto di "volonté générale", ossia, di volontà generale.

Non posso qui sviluppare l'argomento, ma certamente questo concetto emerge in Rousseau, come nel giovane Gramsci, con una forte connotazione idealistica, cioè come affermazione di un dover essere ético contrapposto alla "materialità" degli interessi particolari, i quali sarebbero capaci di generare soltanto la "volontà di tutti" e non la volontà generale. Non è casuale che Kant abbia tanto valorizzato questa formulazione di Rousseau. Ma è da ricordare che una critica a queste posizioni rousseauniane appare chiaramente già nel giovane Marx, nel suo scritto del 1844 sulla Questione ebraica, dove è respinta la divisione tra citoyen e bourgeois, presente sia in Rousseau come nei suoi discepoli giacobini (MARX, 1974, p. 45-88).

È vero però - e occorre ricordarlo sempre - che con tale posizione volontaristica il giovane Gramsci reagiva alle "incrostazioni positivistiche e naturalistiche" che contrassegnavano non il pensiero di Marx, come egli allora supponeva, ma certamente il cosiddetto marxismo della Seconda Internazionale.

Se Gramsci si fosse però mantenuto fedele a questa "onnipotenza" della volontà, non sarebbe andato non solo oltre Rousseau, ma nemmeno oltre ieoidealismo di Croce e Gentile, debitore quest'ultimo non tanto della dialettica oggettiva di Hegel, ma di quella soggettiva di Fichte. Nel suo pensiero maturo, nei Quaderni, Gramsci completa la sua assimilazione del materialismo storico, che chiamerà più tardi "filosofia della praxis".

Come conseguenza di tale conquista teorica, Gramsci sarà in grado di trattare il concetto di volontà collettiva - che rimane centrale nelle sue riflessioni - a un altro livello di concretezza. Ora il momento teleológico dell'azione umana appare organicamente articolato con il momento causale-genetico. La volontà collettiva continua ad avere un ruolo importante nella costruzione dell'ordine sociale, ma non più come "plasmatrice" della realtà, bensì come un momento decisivo che si articola con le determinazioni che provengono dalla realtà oggettiva, in particolare dai rapporti sociali di produzione.

Per questo superamento dialettico, Gramsci certamente si è valso non solo di una più approfondita lettura di Marx, ma anche di una migliore conoscenza del pensiero di Hegel. In effetti, il concetto di volontà generale o universale ha anche un ruolo importante nella riflessione hegeliana, ma qui con una sottolineatura opposta a quella di Rousseau. Mentre per il pensatore ginevrino la volontà generale risulta dallo sforzo etico dei cittadini permettere l'interesse generale al di sopra di quello particolare, in Hegel ciò che egli chiama "die objektive Wille" è il risultato un po' fatalistico dello stesso movimento dello spirito, tanto che Hegel ci dice che "la volontà oggettiva è il razionale in sé nel suo concetto, sia esso riconosciuto o meno dalla volontà singola, e sia, o non, voluto dal suo volere" (HEGEL, 1995, § 258, p. 402).

Penso che Gramsci proponga nei Quaderni una posizione che supera dialetticamente sia il soggettivismo di Rousseau che l'oggettivismo di Hegel

Volontà collettiva

Il concetto di volontà collettiva (spesso riqualificata come "volontà collettiva nazionale-popolare") trova il suo più esteso trattamento nel lungo Q 13, 1(un Testo C che riprende, senza alterazioni sostantive, Q 8, 21)

Da una parte, egli ribadisce il ruolo attivo della volontà, allontandosi così da chi, in un certo senso sulle orme di Hegel, intende la volontà collettiva come qualcosa che si impone oggettivamente, "spontaneamente". Mi sembra risieda proprio qui il nocciolo della sua critica a Sorel e alla sua concezione del "mito". In effetti, dice Gramsci:

È vero che per il Sorel il mito non trovava la sua espressione maggiore nel sindacato, come organizzazione di una volontà collettiva, ma nell'azione pratica del sindacato e di una volontà collettiva già operante, azione pratica, la cui realizzazione massima avrebbe dovuto essere lo sciopero generale, cioè un'attività passiva per così dire, di carattere cioè negativo e preliminare [...] di una attività che non prevede una própria fase attiva e costruttiva [...]. La soluzione era abbandonata all'impulso dell'irrazionale, dell'arbitrario' (nel senso bergsoniano di impulso vitale) ossia della spontaneità [...]. In questo caso si vede che si suppone dietro la spontaneità un puro meccanicismo, dietro la libertà (arbitrio - slancio vitale) un massimo di determinismo, dietro l'idealismo un materialismo assoluto (Q 1, 1, 1556-1558).

Il ruolo del "moderno Principe" è invece quello di "costruire in un modo attivo" una nuova volontà colletiva. Qui è fortemente sottolineato proprio il momento della direzione cosciente, in opposizione alla mera spontaneità. In conseguenza, Gramsci critica non solo Sorel, ma tutti quelli che non vedono

[...] che una volontà collettiva sia da creare 'ex novo', originalmente e da indirizzare verso mete concrete sì e razionali, ma di una concretezza e razionalità non ancora verificate e criticate da una esperienza storica effettuale e universalmente conosciuta (Q 1, 1, 1558).

Ma, dall'altra parte, già in questo brano Gramsci avverte che le mete della volontà devono essere "concrete" e "razionali", devono cioè essere teleologicamente progettate a partire e tenendo conto delle condizioni causali poste oggetivamente dalla realtà storica. È cio che mi sembra risultare dal seguente brano:

Il moderno Principe deve avere una parte dedicata al giacobinismo (nel significato integrale che questa nozione ha avuto storicamente e deve avere concettualmente), come esemplificazione di come si sia formata in concreto e abbia operato una volontà collettiva che almeno per alcuni aspetti fu creazione ex novo, originale. E occorre che sia definita la volontà collettiva e la volontà politica in generale nel senso moderno, la volontà come coscienza operosa della necessita storica, come protagonista di un reale ed effettuale dramma storico (Q 1, 1, 1559).

Dunque solo "per alcuni aspetti" la volontà collettiva è "creazione ex novo", giacché essa è anche, e allo stesso tempo, "coscienza operosa della 'necessità' storica." Abbiamo qui l'articolazione dialettica tra teleologia e causalità, tra i momenti soggettivi e oggettivi della práxis umana, della quale la volontà è momento ineliminabile. La volontà collettiva che diventa "protagonista di un reale e effetuale dramma storico" - ossia, che diventa un momento ontologicamente costitutivo della realtà sociale - è quella contrassegnata da questa doppia determinazione. È proprio qui che Gramsci mi sembra superare dialetticamente - nel senso di conservare, ma anche di portare a un livello superiore - le concezione di volontà generale o universale sia di Rousseau che di Hegel. Non posso dimostrare "qui" - ma sarebbe facile farlo - che questo superamento prende le mosse dall'assimilazione gramsciana del lascito di Marx.

Volontà collettiva e democrazia

Questa concezione della volontà, adesso formulata a un livello più prettamente filosofico, appare in un modo ancora più chiaro inunaltro contesto, nel quale Gramsci si sofferma su "cosa è la filosofia". Dice Gramsci:

Per sfuggire al solipsismo e nello stesso tempo alle concezioni meccanicistiche che sono implicite nella concezione del pensiero come attività ricettiva e ordinatrice, occorre porre la quistione storicisticamente e nello stesso tempo porre a base della filosofia la volontà (in ultima analisi l'attività pratica o politica), ma una volontà razionale, non arbitraria, che si realizza in quanto corrisponde a necessità obbiettive storiche, cioè in quanto è la stessa storia universale nel momento della sua attuazione progressiva; se questa volontà è rappresentata inizialmente da un singolo individuo, la sua razionalità è documentata da ciò che essa viene accolta dal gran numero, e accolta permanentemente, cioè diventa una cultura, un buon senso, una concezione del mondo, con una etica conforme alla sua struttura (Q 1, 1, § 59, p. 1485).

Gramsci propone qui una concezione della volontà, altresì identificata "in ultima analisi" con la prassi politica, capace di superare sia l'idealismo solipsistico sia il volgare materialismo meccanicistico, i quali vedono soltanto, rispettivamente, o la determinazione soggettiva o quella oggettiva della volontà.

È da segnalare che, nella cornice comune data da questa articolazione dialettica di teleologia e causalità, Gramsci concepisce diverse manifestazioni storiche della "volontà collettiva". Quella sulla quale Gramsci più insiste è la manifestazione della volontà collettiva come "elemento" della democrazia. Parlando della differenziazione tra l'evoluzione storica dell'Italia e della Francia, in un brano dove per la prima volta usa il termine "volontà collettiva" nei Quaderni, Gramsci osserva:

L'origine della differenziazione storica tra Italia e Francia si può trovare testimoniata nel giuramento di Strasburgo (verso l'841), cioè nel fatto che il popolo partecipa attivamente alla storia (il popolo-esercito) diventando il garante dell'osservanza dei trattati tra i discendenti di Carlo Magno; il popolo-esercito garantisce giurando in volgare, cioè introduce nella storia nazionale la sua lingua, assumendo una funzione politica di primo piano, presentandosi come volontà collettiva, come elemento di una democrazia nazionale (Q 5, 126, 655).

Il lato negativo di questo rapporto tra volontà collettiva e democrazia è che, secondo Gramsci, l'assenza di una tale volontà porta a un dispotismo burocratico. Con

[...] l'assenza di una democrazia reale, di una reale volontà collettiva nazionale e quindi, in questa passività dei singoli, [si manifesta] la necessità di un dispo-tismo più o meno larvato della burocrazia.La collettività deve essere intesa come prodotto di una elaborazione di volontà e pensiero collettivo raggiunto attraverso lo sforzo individuale concreto, e non per un processo fatale estraneo ai singoli: quindi obbligo della disciplina interiore e non solo di quella esterna e meccanica (Q 6, 79, p. 750-751).

Ma la formazione di una volontà collettiva può anche avere origine dall'azione di un capo carismatico. In questo caso, però, tale volontà collettiva - se si può affermare la sua esistenza - è fragile. Criticando la teoria del capo carismatico in Weber e, soprattutto in Michels, Gramsci scrive:

Ma nel passato esisteva o no l'uomo-collettivo? Esisteva sotto forma della direzione carismatica, per dirla con Michels: cioè si otteneva una volontà collettiva sotto l'impulso e la suggestione immediata di un eroe, di un uomo rappresentativo; ma questa volontà collettiva era dovuta a fattori estrinseci e si componeva e scomponeva continuamente (Q 7, 12, 862).

In altre parole: questa apparenza di volontà collettiva suscitata dal capo carismatico si doveva alla spontaneità e non alla direzione cosciente. Quest'ultima risulta dall'azione del "Principe moderno". Questa posizione è ribadita da Gramsci quando, commentando Machiavelli, afferma che, nelle società moderne, l'attore politico non è più il singolo, ma il partito politico.

È da ricordare ancora che volontà collettiva in Gramsci appare anche identificata con il tradizionale concetto di sovranità o, più precisamente, è posta come base dell'azione del legislatore. In effetti, dopo aver affermato

1) che il legislatore individuale (e legislatore individuale deve intendersi non solo nel caso ristretto dell'attività parlamentare-statale, ma anche in ogni altra attività 'individuale' che cerchi, in sfere più o meno larghe di vita sociale, di modificare la realtà secondo certe linee direttive) non puòmai svolgere azioni 'arbitrarie', antistoriche, perché il suo atto d'iniziativa, una volta avvenuto, opera come una forza a sé nella cerchia sociale determinata, provocando azioni e reazioni che sono intrinseche a questa cerchia oltre che all'atto in sé;

2) che ogni atto legislativo, o di volontà direttiva e normativa, deve anche e specialmente essere valutato obbiettivamente, per le conseguenze effettuali che potrà avere.

Dopo aver affermato questo, Gramsci conclude

3) che ogni legislatore non può essere che astrattamente e per comodità di linguaggio considerato come individuo, perché in realtà esprime una determinata volontà collettiva disposta a rendere effettuale la sua volontà, che è volontà solo perché la collettività è disposta a darle effettualità; 4) che pertanto ogni individuo che prescinda da una volontà collettiva e non cerchi di crearla, suscitarla, estenderla, rafforzarla, organizzarla, è semplicemente una mosca cocchiera, un profeta disarmato, un fuoco fatuo (Q14, 9, 166).

Per concludere, si deve ricordare che il concetto di "volontà collettiva" è in Gramsci strettamente legato a quello di "riforma intellettuale e morale", ossia, alla questione dell'egemonia. In effetti, un importante compito del "moderno Principe" è appunto

[...] essere il banditore di una riforma intellettuale e morale, che è il terreno per un ulteriore sviluppo della volontà collettiva nazionale popolare nel terreno di una forma compiuta e totale di civiltà moderna. Realmente il moderno Principe dovrebbe limitarsi a questi due punti fondamentali: formazione di una volontà collettiva nazionale popolare di cui il moderno Principe è appunto espressione attiva e operante, e riforma intellettuale e morale (Q 8, 21, 95).

Referências

  • GRAMSCI, A. Cadernos do cárcere Tradução de Carlos Nelson Coutinho com a colaboração de Luiz Sergio Henriques e Marco Aurélio Nogueira. Rio de Janeiro: Editora Civilização Brasileira, 1999. v. 1.
  • ______. Cadernos do cárcere Tradução de Carlos Nelson Coutinho com a colaboração de Luiz Sergio Henriques e Marco Aurélio Nogueira. Rio de Janeiro: Editora Civilização Brasileira, 2000a. v. 3.
  • ______. Cadernos do cárcere Tradução de Carlos Nelson Coutinho com a colaboração de Luiz Sergio Henriques e Marco Aurélio Nogueira. Rio de Janeiro: Editora Civilização Brasileira, 2000b. v. 2.
  • ______. Cadernos do cárcere Tradução de Carlos Nelson Coutinho com a colaboração de Luiz Sergio Henriques e Marco Aurélio Nogueira. Rio de Janeiro: Editora Civilização Brasileira, 2002. v. 5.
  • 2
    . Vediamo qualche brano che conferma questa mia ipotesi.
  • 3
    . Analizzandovi il ruolo del "moderno Principe" (cioè del partito politico rivoluzionario) nella costruzione della "volontà collettiva nazionale-popolare", ossia di una nuova egemonia, Gramsci sottolinea - come non aveva fatto in gioventù - la doppia determinazione della volontà.
  • Publication Dates

    • Publication in this collection
      23 June 2009
    • Date of issue
      June 2009

    History

    • Accepted
      28 Nov 2008
    • Received
      31 Oct 2008
    Programa de Pós-Graduação em Serviço Social e Curso de Graduação em Serviço Social da Universidade Federal de Santa Catarina Universidade Federal de Santa Catarina , Centro Socioeconômico , Curso de Graduação em Serviço Social , Programa de Pós-Graduação em Serviço Social, Campus Universitário Reitor João David Ferreira Lima, 88040-900 - Florianópolis - Santa Catarina - Brasil, Tel. +55 48 3721 6524 - Florianópolis - SC - Brazil
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