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Come “statue di bronzo”: i luoghi socratici del silenzio

Like “bronze statues”: on the role of silence in Socratic dialogues

Riassunto:

Obiettivo del presente contributo è un esame dei riferimenti al tema del silenzio in alcuni “luoghi” della letteratura socratica. Più particolarmente, l’analisi si concentra sull’importanza riconosciuta alla virtù del σιωπᾶν in due specifici ambiti: 1) l’educazione dei giovani e 2) lo scambio dialogico. Il primo aspetto è indagato soprattutto a partire dal Milziade di Eschine di Sfetto, che presenta positivamente la capacità di tacere nei giovani (Stob. 2.31, 23; Plu. De recta rat. aud. 4 p. 39b-c) e che permette di istituire, a questo riguardo, alcuni paralleli con opere non socratiche (in particolare X. Lac. 3.5 e Isoc. Bus. 28-29). Il secondo aspetto, non privo di connessioni con il primo, è invece approfondito soprattutto a partire da un riferimento al ruolo del silenzio nel Protagora platonico (329b), che consente di indagarne la funzione più specificamente anti-sofistica.

Parole-chiave:
silenzio; paideia; dialogo socratico; Eschine; Platone

Abstract:

The paper aims to examine some references to the theme of silence within Socratic dialogues. More particularly, the analysis focuses on the importance recognized to the virtue of σιωπᾶν in two specific fields: 1) the education of youth and 2) the dialogical exchange. The first aspect is investigated mainly through the exam of Aeschines’ Miltiades, which depicts positively the ability in young people to remain silent (Stob. 2.31, 23; Plu. De recta rat. aud. 4 p. 39b-c) and presents close parallels, in this regard, with some non-Socratic works (especially X. Lac. 3.5 and Isoc. Bus. 28-29). The second aspect, not unrelated to the former, is dealt with by taking into account a reference to the role of silence in Plato’s Protagoras (329b), which sheds light on its anti-Sophistic overtone.

Keywords:
silence; paideia; Socratic dialogue; Aeschines; Plato

Introduzione

Il presente contributo richiama (e modifica) intenzionalmente, nella seconda parte del titolo, un lavoro di Fausto Moriani sui “luoghi platonici del silenzio” (Moriani, 1988MORIANI, F. (1988). ΣΕΜΝΩΣ ΠΑΝΥ ΣΙΓΑΙ (Fedro 257 D 6): i luoghi platonici del silenzio. Annali dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici 10, p. 27-64.) che, a partire da un noto passo del Fedro (275d6), delinea il complesso quadro dei riferimenti al tema del silenzio nei dialoghi di Platone.

Il motivo risulta infatti connesso con alcuni aspetti fondamentali della dottrina platonica, in funzione dei quali la σιγή assume ruoli molteplici e diversificati. Moriani indaga con particolare attenzione quello legato alla svalutazione dell’attività artistica e della scrittura, il cui “minimo comune denominatore” è individuato precisamente nel silenzio (Moriani, 1988, p. 29-30).1 1 Nel citato passo del Fedro (275d), i “prodotti” della pittura e della scultura sono detti presentare lo stesso “inconveniente”: interrogati, essi “tacciono in modo davvero solenne (σεμνῶς πάνυ σιγᾷ)” (trad. Bonazzi, 2011). Nel seguito dell’Introduzione, si farà riferimento allo studio di Moriani (1988) con la sola indicazione tra parentesi dei numeri di pagina. Analizzando la questione della “silenziosità” delle arti visive2 2 Nel Gorgia (450c) Platone annovera pittura e scrittura tra le arti che operano “attraverso il silenzio” (διὰ σιγῆς). e la sua traduzione in un giudizio di valore sullo statuto epistemico dell’arte e della scrittura, lo studioso non manca inoltre di approfondire il legame tra il silenzio e la δόξα (p. 31-34), nonché il suo ruolo nel dialogo (p. 34-40). A tal riguardo, l’indagine si sofferma tuttavia sui giudizi negativi di Platone e dunque, principalmente, sulla “condanna” del silenzio, come inibizione del processo dialogico (ad es. in Tht. 146a5: τί σιγᾶτε)3 3 Degno di nota, in tal senso, è il giudizio negativo espresso nello pseudoplatonico Anterastai, in cui il silenzio è legato alla scelta da parte di un (potenziale) interlocutore di non innescare il processo dialogico (134a5). o come tempo sottratto alla ricerca del vero (ad es. in Cri. 43b1: σιγή παρακάθησαι).4 4 In questa accezione negativa il motivo del silenzio compare anche nel Protagora con riferimento al Sofista (360d6: ἐσίγα). Così, i silenzi di Liside (Ly. 222a4) e di Cratilo (Cra. 435b4) sono interpretati, almeno in parte, come segno della sconfitta di Socrate e della sua fiducia nella capacità degli uomini “di ragionare e capire” (p. 38).

In primo luogo, a differenza del lavoro di Moriani, il presente contributo intende rintracciare ed esaminare la presenza - all’interno della stessa letteratura socratica - di una diversa, positiva valutazione della σιγή: ampliando l’analisi ai luoghi socratici del silenzio, si intende anzitutto indagare il valore riconosciuto al σιωπᾶν/σιγᾶν e dunque l’importanza attribuita, per alcuni ambiti e in specifiche circostanze, alla capacità di tacere.

In secondo luogo, tra i molteplici contesti in cui compare il motivo del silenzio e le diverse accezioni che in essi la σιγή assume, l’analisi sarà concentrata su due specifici ambiti, non privi di connessioni reciproche: la formazione dei giovani e lo scambio dialogico. Il ruolo del silenzio nell’educazione,5 5 Anche Moriani (1988) affronta la questione in alcune pagine dedicate al ruolo del silenzio nel processo educativo e nel rapporto maestro-allievo (p. 41-44). Di grande interesse sono inoltre le sezioni in cui lo studioso esamina le occorrenze del termine connesse al tema della legislazione scritta (p. 50-53) e della morte (p. 53-56). cui è dedicata la prima parte del contributo, sarà indagato soprattutto attraverso alcune testimonianze sul Milziade di Eschine di Sfetto (Stob. 2.31, 23; Plu. De recta rat. aud. 4 p. 39b-c), che presentano positivamente la capacità di tacere nei giovani e che permettono di istituire interessanti paralleli con alcune opere non socratiche, particolarmente con la Costituzione degli Spartani di Senofonte (3.5) e con il Busiride di Isocrate (28-29).

Il ruolo del silenzio nello scambio dialogico, su cui si sofferma la seconda parte del contributo, sarà invece esaminato a partire da alcuni passaggi del Protagora platonico (spec. 329b), attraverso cui verrà discussa e approfondita la possibile connotazione anti-sofistica di tale motivo.6 6 Su questo aspetto, e più specificamente sulla possibile presenza di una polemica anti-eristica nel Milziade di Eschine, ho avuto modo di soffermarmi altrove (Pentassuglio, 2020) attraverso un più diretto confronto tra la testimonianza di Plutarco e Pl. Prt. 329b. Nella sezione conclusiva, infine, sarà brevemente preso ad esame, con un rimando “circolare” al problema dell’educazione dei giovani, il ruolo del silenzio all’interno del rapporto maestro-allievo.

Il silenzio nell’educazione dei giovani: il Milziade di Eschine

Un “elogio” del silenzio, o più precisamente della virtù del σιωπᾶν, doveva senz’altro figurare tra i temi discussi nel Milziade, dialogo perduto di Eschine di Sfetto i cui contenuti siamo in grado di ricostruire solo parzialmente, attraverso alcune testimonianze indirette e tre frammenti papiracei (VI A 76-81 SSR = 116-123 P.).7 7 La doppia numerazione fa riferimento alla raccolta di Giannantoni (1990) e all’edizione Eschine di Sfetto. Tutte le testimonianze (Pentassuglio, 2017). Benché esigue, le testimonianze pervenute lasciano supporre che lo scritto, dominato dalla figura di Socrate, contenesse l’ἔπαινος di un certo Milziade, che da ragazzo si distingueva negli esercizi ginnici e nei giochi olimpici.8 8 Per il problema dell’identificazione del personaggio e per un’ipotesi di ricostruzione della struttura e dei contenuti del dialogo, mi permetto di rimandare a Pentassuglio (2017, p. 184-205). Sullo scritto eschineo si veda almeno Merkelbach (1972); Patzer (1974); Slings (1975); Rossetti & Lausdei (1979a; 1979b; 1981).

Per collocare opportunamente nel contesto del dialogo le testimonianze di Stobeo e di Plutarco, che qui interessano, converrà far riferimento almeno a un frammento papiraceo (POxy. 2889 = VI A 76 SSR = 116 P.) che con ogni probabilità restituisce l’incipit dell’opera: “Si teneva allora una processione delle Grandi Panatenee e sedevamo nel portico di Zeus Eleutherios io, Agnone il padre di Teramene e il poeta Euripide; Milziade passò quindi vicino a noi […]”.

Oltre a far menzione dei tre personaggi che dividono la scena con Socrate e che dunque figuravano, verosimilmente, tra gli interlocutori del dialogo, il frammento permette di ipotizzare - se combinato con la testimonianza di Stobeo di cui si dirà a breve - che Milziade si trovasse all’inizio del dialogo nelle vicinanze di Socrate, probabilmente intento in esercizi ginnici,9 9 Hermann (1850, p. 11, n. 29) ricorda in merito l’εὐανδρίας ἀγών di Mem. 3.3, 12. e che questi ne abbia tratto spunto per intraprendere una conversazione con un μειράκιον in un ginnasio.10 10 La scena richiamerebbe da vicino, pertanto, quella dell’inizio del Lachete (178a-180c). Un parallelo si trova inoltre in un passo iniziale del Carmide, in cui Socrate prende a conversare con il giovane Carmide nella palestra di Taurea (155e ss.). In un momento successivo del discorso, Socrate può aver richiamato l’attenzione proprio su Milziade e aver iniziato a narrare di lui.

Un simile sviluppo sembra almeno suggerito da una testimonianza di Stobeo (2.31 = VI A 77 SSR = 118 P.), che permette di ricostruire alcuni elementi di tale (possibile) conversazione e, soprattutto, di entrare nel merito del tema del valore della σιωπή per i giovani:

Di Eschine Socratico:

Costui è Milziade il figlio di Stesagora, che da ragazzo si allenava per i giochi olimpici ed era più forte lui a sopportare gli sforzi (τοὺς πόνους πονῶν) che il maestro di ginnastica a dar comandi; lì vinse su ragazzi più alti e più grandi di lui e suo malgrado fu portato dall’allenatore a competere per la corona. Inoltre risultò che i suoi tutori non avevano né la stessa maturità né la sua stessa indole; ed era obbediente in ogni cosa. Il suo pedagogo non lo seguiva affatto con serietà e non gli si oppose mai su nulla. A tali attività si è dunque dedicato quando era fanciullo; quando poi entrò nell’adolescenza ritenne che era bello tacere (σιωπᾶν καλὸν ἡγήσατο εἶναι) e se ne è stato in silenzio più delle statue di bronzo (σεσιώπηται αὐτῷ μᾶλλον ἢ τοῖς χαλκοῖς ἀνδριᾶσι). E gli sembrava una cosa bella curare il corpo (τοῦ σώματος αὐτῷ καλὸν ἐδόκει εἶναι ἐπιμελεῖσθαι), così ha avuto cura del suo, tanto che ancora oggi possiede tra i suoi coetanei il corpo migliore.

Tale ritratto è molto probabilmente fornito da Socrate,11 11 Così Dittmar (1912, p. 181). L’ipotesi di Hermann (1850, p. 11), secondo cui con queste parole Milziade veniva presentato a Socrate da una terza persona, pare invece meno convincente. che - come suggerisce l’osservazione finale - pare alludere a un Milziade già avanti negli anni.12 12 Sugli esercizi ginnici degli anziani cfr. X. Smp. 2.18 e Pl. R. 5.425b. Oltre all’insistenza sulla φιλοτιμία e sulla cura del corpo, si può notare come l’educazione qui descritta presenti i tratti della παίδευσις spartana (cfr. Rossetti, 1989ROSSETTI, L. (1989). Corpus dei papiri filosofici greci e latini. Vol. I.1: Autori noti. Firenze, Olschki, p. 123-128; 135-136; 140-142., p. 138): a questa rimandano infatti la ginnastica intesa come addestramento alla καρτερία, l’obbedienza incondizionata ai tutori (ἐπίτροποι) e al παιδαγωγός - a cui, nonostante la mancanza di serietà,13 13 Cfr. Alc. 1 122b: σοὶ δ᾽, ὦ Ἀλκιβιάδη, Περικλῆς ἐπέστησε παιδαγωγὸν τῶν οἰκετῶν τὸν ἀχρειότατον ὑπὸ γήρως. Sull’obbedienza che gli allievi devono ai pedagoghi cfr. Pl. Ly. 208c. Sui loro metodi e le brutali modalità di controllo dei giovani si veda inoltre la chiusa del dialogo (223a-b). Milziade non si oppose mai - e infine l’osservanza del σιωπᾶν, che spinse il giovane a starsene in silenzio “più delle statue di bronzo”.

In tale contesto, è possibile che Milziade abbia rappresentato un esempio concreto su cui Socrate ha richiamato l’attenzione nella sua discussione con il giovane adolescente, e che l’atletica, in particolare, abbia costituito il punto di partenza della conversazione da cui è tratto il frammento. Di lì, Socrate può aver condotto il discorso su problemi etici, che erano discussi e quindi illustrati attraverso il carattere di Milziade da παῖς e poi da μειράκιον.14 14 Come tema generale dello scritto si può ipotizzare, con Dittmar (1912, p. 181), il confronto tra un giovane privo di senso dell’autorità (cfr. Alc. 1 122b) e un uomo che incarna il modello dell’educazione ginnica. Per una conclusione simile si veda già Hermann (1850, p. 12); di diverso avviso è invece Hirzel (1895, p. 134), che ha ipotizzato una discussione sul valore della σωφροσύνη. Questi esibiva infatti, verosimilmente, le qualità etiche di cui Socrate aveva precedentemente trattato (rivelando, ad esempio, la persistenza dei benefici dell’ἐπιμέλεια τοῦ σώματος anche in vecchiaia).15 15 Non si può escludere che Socrate abbia istituito una contrapposizione tra ἐπιμέλεια τοῦ σώματος ed ἐπιμέλεια τῆς ψυχῆς, e che dunque due modelli alternativi di παιδεία siano stati messi a confronto. Tale contrapposizione è tra l’altro tipica della letteratura protrettica: cfr. Pl. Ap. 30a8-b2; Clit. 407e5-8; Alc. 1 132c1-5.

Se tale ricostruzione è corretta, è possibile ipotizzare che Socrate - il quale mette in rilievo, tra le qualità di Milziade, la capacità di tacere - abbia precedentemente trattato a scopo pedagogico della virtù del σιωπᾶν.

È una testimonianza di Plutarco (De recta rat. aud. 4 p. 39b-c = VI A 78 SSR = 119 P.) a fornirci maggiori informazioni in merito, citando un’espressione di Eschine che appartiene a una discussione su questo tema:

Il silenzio (ἡ σιωπή), dunque, è per il giovane un sicuro ornamento (κόσμος ἀσφαλής) in ogni caso e specialmente quando, ascoltando un altro parlare, non si agita e non urla ad ogni parola, ma, anche se il discorso non è proprio eccellente, si trattiene e aspetta che l’interlocutore abbia finito di parlare; poi, una volta che questi ha terminato, non gli lancia subito contro un’obiezione, ma - come dice Eschine - lascia passare un intervallo di tempo, nel caso in cui chi ha parlato voglia sia aggiungere qualcosa a quanto detto, sia rettificare e ritrattare qualcosa.

Il passo mette in risalto, anzitutto, l’importanza della σιωπή riconoscendone - anche in questo caso - il particolare valore per i giovani. Esso fornisce inoltre due indicazioni in merito al comportamento da tenere nelle discussioni, che risultano particolarmente indicative ai fini della nostra analisi.

La prima regola cui attenersi è lasciar parlare l’interlocutore senza intervenire a ogni affermazione e, anche se non si approva il suo discorso, attendere finché non abbia terminato di parlare. In secondo luogo, una volta che l’interlocutore abbia concluso il suo intervento, non si deve immediatamente replicare o sollevare obiezioni, bensì aspettare un certo tempo nel caso quello voglia aggiungere, cambiare o ritrattare qualcosa. Il secondo di questi insegnamenti viene attribuito esplicitamente a Eschine - motivo per cui il passo è stato allegato già da Heinrich Krauss (1911KRAUSS, H. (1911). Aeschinis Socratici Reliquiae. Lipsiae, B. G. Teubner., p. 59) alle testimonianze sul Socratico (n. XXIII) - benché senza la menzione di una specifica fonte. Il metodo con cui Plutarco cita, in generale, non permette purtroppo di tracciare in modo preciso i limiti della citazione, né di stabilire con certezza quale fosse il dialogo di riferimento.16 16 Ad avviso di Krauss (1911, p. 59) non è verosimile che la citazione di Plutarco si limiti, come potrebbe sembrare a prima vista, all’espressione διαλείπῃ χρόνον, in quanto non si tratta di una locuzione rara; si può pertanto ritenere che anche la frase successiva risalga a un dialogo di Eschine. Lo studioso non esclude, inoltre, che sia tratta direttamente da Eschine anche la prima parte del passo (πανταχοῦ-ἀντίρρησιν), per quanto ὡς Αἰσχίνης si troverebbe, in questo caso, in una posizione anomala. Sulla questione delle citazioni nei testi antichi si veda Most (1988). Che, tuttavia, il tema del σιωπᾶν fosse caro a Eschine è mostrato da un aneddoto riportato da Stobeo (2.34, 10 = 120 P.), che non figura nelle SSR:

Eschine il Socratico, rimproverato perché - nonostante fosse adirato con Socrate - taceva, rispose: “non appresi da Socrate, infatti, soltanto a parlare, ma anche a tacere” (οὐ γὰρ μόνον λέγειν ἔμαθον παρὰ Σωκράτει, ἀλλὰ καὶ σιωπᾶν).

La testimonianza presenta un’evidente analogia di contenuto con le altre fonti prese ad esame: il valore del silenzio e l’importanza della capacità di tacere, che sono qui ricondotti allo stesso insegnamento socratico, dovevano essere dei motivi trattati nei dialoghi eschinei, presumibilmente - stando alle testimonianze - nel Milziade. Non si può escludere, infatti, che proprio la ripercussione di tale aspetto dell’insegnamento di Socrate nelle opere eschinee sia tra le ragioni che spinsero Stobeo a far menzione di tale aneddoto della biografia di Eschine, e che anche Plutarco abbia dunque trovato tale tema trattato in più di una fonte.

Ora, il tema dell’importanza del silenzio nell’educazione dei giovani permette di stabilire, come anticipato, diversi collegamenti con altri scritti non socratici. Tornando, in particolare, alla prima testimonianza di Stobeo, è possibile istituire alcuni paralleli testuali e tematici che conducono molto al di dà del dialogo eschineo.

Un primo raffronto può essere stabilito con un passo della Costituzione degli Spartani di Senofonte (3.5), in cui ricorre addirittura lo stesso paragone con le statue.

Nella sezione dedicata all’educazione (i capitoli 2-4 dell’opera), vengono contrapposti frontalmente - come è noto - i costumi degli Spartani e quelli degli altri Greci, secondo una dialettica che attraversa l’intera operetta. Nel terzo capitolo il discorso si concentra, in particolare, sull’educazione “nel tempo in cui i ragazzi escono dalla fanciullezza per passare all’adolescenza” (ὅταν γε μὴν ἐκ παίδων εἰς τὸ μειρακιοῦσθαι ἐκβαίνωσι): al contrario degli altri Greci, che a questo punto allontanano gli adolescenti dai pedagoghi e dai maestri, Licurgo stabilì di rafforzare il controllo sui giovani proprio in questa età, in cui possono svilupparsi al massimo grado orgoglio e prepotenza (3.1-2). Per radicare in loro, in particolare, il senso del pudore (τὸ αἰδεῖσθαι) comandò “di tenere le mani nel mantello anche nel percorrere una strada, di camminare in silenzio, di non rivolgere lo sguardo attorno a sé in nessuna direzione, guardando invece esattamente quello che avessero davanti ai piedi” (3.4). Di conseguenza - commenta Senofonte - “sarebbe più difficile sentire la voce di quei ragazzi che la voce di statue di pietra, più difficile farne voltare gli occhi che di statue di bronzo” (3.5: ἐκείνων γοῦν ἧττον μὲν ἂν φωνὴν ἀκούσαις ἢ τῶν λιθίνων, ἧττον δ᾽ ἂν ὄμματα μεταστρέψαις ἢ τῶν χαλκῶν; trad. D’Alessandro, 2009).

È degno di nota che, oltre a descrivere il silenzio imposto ai giovani con la stessa immagine delle statue impiegata da Stobeo, il testo senofonteo confermi come il dovere del silenzio fosse un aspetto particolarmente presente nell’educazione spartana.

Il modello spartano di παίδευσις non è tuttavia l’unico a prevedere esplicitamente questa componente nell’educazione dei giovani. Il dovere del silenzio rimanda infatti in modo altrettanto diretto alla tradizione pitagorica, e già nella sua prima attestazione (Isoc. Bus. 28-29) esso appare legato al tema della formazione dei discepoli.

Presentato come esempio emblematico di molti aspetti straordinari della religione egiziana, nonché come “iniziatore” della filosofia presso i Greci, Pitagora raggiunse una stima tale - si legge nel Busiride (29) - che non solo tutti i giovani chiesero di diventare suoi discepoli, ma gli anziani preferirono vedere i propri figli insieme a lui piuttosto che preoccupati dei loro stessi averi. È a questo punto che si fa chiara allusione al ruolo della σιγή: “anche adesso”, commenta Isocrate, “si ammirano coloro che sostengono di essere suoi discepoli a motivo del loro silenzio, più di quelli che godono di grandissima fama per il loro parlare” (ἔτι γὰρ καὶ νῦν τοὺς προσποιουμένους ἐκείνου μαθητὰς εἶναι μᾶλλον σιγῶντας θαυμάζουσιν ἢ τοὺς ἐπὶ τῷ λέγειν μεγίστην δόξαν ἔχοντας; 29).17 17 Sulle possibili implicazioni politiche di questa testimonianza di Isocrate si veda Horky (2013, p. 90-96); cfr. Zhmud (2012, p. 48-50).

Il dovere di osservare il silenzio, per cui i Pitagorici furono celebri anche più tardi (Riedwieg, 2007, p. 118-119), è attestato da diverse fonti sul Pitagorismo antico. In una testimonianza di Giamblico sulle “prove di idoneità” per accedere alla setta, si legge che l’ammissione era seguita da un lungo periodo di prova durante il quale veniva verificata, tra l’altro, la capacità del silenzio (Iamb. VP 72). Più avanti nella stessa opera, il completo silenzio è presentato, insieme al rispetto della segretezza, come un esercizio di temperanza, “perché il dominio della lingua è più difficile di tutti gli altri sforzi di auto-dominio” (VP 195; cfr. 188 e 225).

Benché la descrizione di Giamblico non sia esente da esagerazioni, il silenzio pluriennale doveva risalire a un nocciolo autentico dell’insegnamento pitagorico (Riedwieg, 2007, p. 169), e nell’antichità divenne senz’altro uno dei caratteri distintivi di questa tradizione.18 18 Dicearco, introducendo la dottrina dell’anima, afferma che “ciò che egli [scil. Pitagora] diceva a quelli che lo frequentavano, nessuno può dirlo con certezza: ed infatti c’era presso di essi un silenzio non comune” (fr. 40 Mirhady = Porph. VP 19). Indicativo è inoltre un frammento del poeta Alessi, che deride i “Pitagoristi” - spesso oggetto di scherno da parte della Commedia di mezzo - il cui stile di vita era caratterizzato da “scarso cibo, sudiciume, freddo, silenzio, tristezza, non lavarsi” (fr. 201 K.-A.). Già uno degli antichi “detti orali”, infatti, ha come tema il silenzio (Iamb. Protr. 21.6: γλώσσης πρὸ τῶν ἄλλων κράτει), e lo stesso motivo compare in un verso tramandato da Eraclide Lembo sotto il nome di Pitagora, che potrebbe essere altrettanto antico (Hieros logos in Hexametern, 2 Thesleff).19 19 Secondo la ricostruzione di Riedweg (2007, p. 108), il verso in esametro potrebbe essere ispirato dai “discorsi sacri” (hieroi logoi) orfici e risalire a un poema didattico-religioso del maestro.

La pratica del silenzio era dunque non solo legata, per i Pitagorici, all’autodominio ascetico, ma anche intesa come allenamento al dovere della segretezza, e in questa misura resa parte integrante della formazione dei discepoli.

I rimandi e i possibili paralleli potrebbero naturalmente essere moltiplicati: riferimenti al silenzio come virtù femminile, ad esempio, si ritrovano nella letteratura tragica (S. Aj. 291-292; A. Th. 230-231; cfr. Plaut. Rud. 4.4, 70), ma anche in una testimonianza di Stobeo su Democrito (74.38 = fr. 68 B 274 D.-K.). Nell’accezione di “non pronunciarsi”, “prender tempo” e dunque sospendere il giudizio, il tema del silenzio compare poi come risposta del saggio stoico ad alcuni sofismi, ricorrendo in particolare nelle testimonianze su Crisippo e con riferimento all’argomento del sorite (SVF 2. 91).20 20 Cfr. S.E. P. 2.253; M. 7. 416. Il suggerimento di “prendere tempo” è attribuito a Crisippo anche da Cicerone (quiescere: Acad. Pr. 2.93) con riferimento alle “interrogazioni graduali”. Il motivo è inoltre presente nella letteratura paremiografica, particolarmente in un proverbio trasmesso da Zenobio21 21 3.100 CPG (= 74 Bühler): Εἴποις τὰ τρία παρὰ τῇ αὐλῇ κτλ.; cfr. 6.11 CPG. e in due proverbi della raccolta di Diogeniano.22 22 3.43 CPG: Βάκχης τρόπον˙ ἐπὶ τῶν σιωπηλῶν. Παρόσον αἱ Βάκχαι σιγῶσι (cfr. Apostol. 5.35 e Arsen. 136); 3.61 CPG: Βοῦς ἐπέβη˙ ἐπὶ τῶν ἐξαίφνης σιωπώντων κτλ. (cfr. Zen. 2.70). Estendendo l’analisi a sempre diverse declinazioni del tema del silenzio, tuttavia, i paralleli perdono inevitabilmente in puntualità. Nella presente sezione l’esame è stato pertanto limitato ai testi in cui il motivo della σιγή si trova esplicitamente legato - come nelle testimonianze di Stobeo e Plutarco sul Milziade - all’ambito dell’educazione dei giovani.

A questo va ora aggiunto il secondo aspetto menzionato in sede introduttiva: il ruolo del silenzio nello scambio dialogico, cui è possibile rivolgere l’attenzione concentrando l’analisi sul Protagora di Platone.

Il silenzio e il dialogo: il Protagora di Platone

Il ruolo della σιγή nelle discussioni, cui si lega la sua possibile lettura in chiave anti-sofistica, può essere indagato a partire dalla sezione del dialogo immediatamente successiva al lungo intervento di Protagora: poco dopo l’arrivo di Socrate e Ippocrate in casa di Callia, il “sofista” - così definito sin dalle prime pagine dello scritto (311e; cfr. Euthd. 271b) - pronuncia, come è noto, un amplissimo discorso sul tema portante dell’opera: l’insegnabilità della virtù (320c-328d).

Al termine del suo intervento, metà “mito” (μῦθος) e metà “ragionamento” (λόγος) per riconoscimento dello stesso Protagora (320c), Socrate tesse ironicamente le lodi del discorso appena ascoltato, affermando addirittura di essersi “svegliato a fatica” dall’incanto procurato dalla lunga ἐπίδειξις del Sofista23 23 Per Giannantoni (2005, p. 47), d’altra parte, il filo conduttore del dialogo è precisamente la matrice psicagogica dell’oratoria sofistica. (328d-e). Subito dopo, tuttavia, espone una “piccola difficoltà” e, con un’immagine che richiama da vicino la pagina del Fedro sul discorso scritto (275d-e), sottolinea i limiti cui incorrono spesso gli oratori che parlano in pubblico:

Se, difatti, qualcuno discorresse di questi stessi argomenti con qualcuno degli oratori che parlano in pubblico, forse potrebbe udire discorsi come questo o da un Pericle o da qualche altro abile oratore; se invece li interrogassimo su qualche altro punto particolare, costoro, come libri, non saprebbero né rispondere né a loro volta porre domande, ma, interrogati su qualche passo, anche piccolo, da loro pronunciato, come bronzi percossi risuonerebbero a lungo e vibrerebbero finchè venissero toccati; così i retori, a chieder loro una pur piccola spiegazione, fanno un interminabile discorso (328e-329a).24 24 La traduzione di tutti i passi del Protagora citati è a cura di F. Adorno (1996).

La frase conclusiva allude chiaramente alla nota contrapposizione tra “brachilogia” (βραχυλογία o κατὰ βραχὺ διαλέγεσθαι) e “macrologia” (μακρολογία o μακρὸς λόγος) in cui Gabriele Giannatoni (2005, p. 48) ha lucidamente individuato uno dei modi più caratteristici in cui nei dialoghi giovanili Platone mette a confronto Socrate e i Sofisti. L’opposizione tra le due forme di comunicazione - entrambe praticate al tempo di Socrate25 25 Giannantoni (2005, p. 48, n. 28) rimanda a questo proposito al passo di Tucidide (5.85-86) che apre il dialogo tra gli Ateniesi e i Meli. - non è di natura esclusivamente formale, ma rimanda a due diversi modi di concepire la pratica della filosofia e la ricerca della verità. Se il contrasto tra discorso lungo e discorso breve si attenuerà nei dialoghi successivi - nel Fedro è detto, ad esempio, che il dialettico potrà usare l’uno o l’altro in base al tipo di anima a cui si rivolge (Phdr. 271b ss.) - il Protagora rappresenta a questo riguardo il documento più esplicito.26 26 Oltre a successivi passi del Protagora (334d-338e), sulla contrapposizione tra brachilogia e macrologia si veda Euthphr. 6c, 14b-c; Hp. Mi. 364b, 364d, 373a; Grg. 447b-c, 449b-d, 461d-462a, 467b-c; Ion 530d-531a; Alc. 1 106a-b; Hp. Ma. 286c, 82b-c, 293c-e, 304a-b; Sph. 217c ss. Di particolare interesse, in questa sede, sono le parole con cui il Socrate platonico descrive ironicamente l’atteggiamento di Protagora nelle discussioni:

Protagora, invece, è capace di pronunciare lunghi discorsi e belli, come di fatto ha provato, ma è capace anche, se interrogato, di rispondere brevemente e, se lui stesso pone la domanda, di attendere la risposta e di ascoltarla (περιμεῖναί τε καὶ ἀποδέξασθαι τὴν ἀπόκρισιν), la qual cosa è di pochi (329b).

La capacità, qui richiamata, di attendere che l’interlocutore abbia fornito la sua risposta, e di ascoltarla senza precederlo con un intervento, sembra trovare un diretto parallelo nelle regole di condotta da tenere nelle discussioni riportate da Plutarco nella sua testimonianza sul Milziade.

Che, nel caso di Protagora, il riconoscimento di tale capacità sia del tutto ironico, è evidente dagli sviluppi del dialogo ed è mostrato, in particolare, da un’osservazione che Socrate avanza poco oltre, notando l’insofferenza di Protagora il quale, irritato e “desideroso di contesa” (ἀγωνιᾶν), “si preparava già a combattere con le sue risposte” (παρατετάχθαι πρὸς τὸ ἀποκρίνεσθαι; 333e). Nonostante, infatti, la vantata abilità sia nella brachilogia che nella macrologia, nei dialoghi platonici la propensione dei Sofisti è nettamente per la seconda.27 27 Come notato ancora da Giannantoni (2005, p. 50), anche quando acconsentono a farsi interrogare in pubblico e a replicare con brevi risposte, i Sofisti tendono sempre, in Platone, a voler dimostrare la loro combattività e la loro abilità nei lunghi discorsi. Si veda a titolo di esempio Hp. Mi. 363c-d e Grg. 447c; 448a. Del tutto ironico è dunque l’atteggiamento assunto da Socrate più avanti, quando riconosce al Sofista la capacità di parlare sullo stesso argomento sia con un discorso lungo che con un discorso breve, chiedendogli poi di adottare la brachilogia per andar incontro a lui che, invece, non sa parlare altrimenti (335a-c).28 28 Ugualmente ironica è, d’altra parte, l’occasionale imitazione della ἐπίδειξις sofistica da parte di Socrate, di cui si trova un esempio nello stesso Protagora (319a; 320c; 342a-347a; 351b-359a) e, più compiutamente, nel Gorgia (464b-466a) e nell’Ippia Minore (372a-373a).

Nello stesso Protagora possono essere rintracciati, inoltre, i motivi filosofici della contrapposizione tra brachilogia e macrologia. L’impazienza e l’insofferenza del sofista per il κατὰ βραχύ διαλέγεσθαι sono più volte sottolineate nel dialogo e a Protagora stesso sono associati i termini τετραχύνθαι, ἀγωνιᾶν, παρατετάχθαι (333e), che ben descrivono l’atteggiamento agonistico proprio dell’ἐρίζειν sofistico. Il carattere aggressivo delle risposte dei Sofisti (Hp. Ma. 286e-287c, 287e-288a), il loro agonismo e desiderio di vittoria sono frequentemente tradotti, non a caso, con metafore tratte dalla lotta e dalle gare ginniche.29 29 Il carattere agonistico della disputa è sottolineato da Alcibiade (336b-c), da Prodico, che constata l’andamento eristico preso dalla discussione (ἐρίζειν; 337b), e da Ippia, che incita all’elezione di un arbitro (338a). Anche la narrazione indiretta sottolinea a più riprese l’animosità dei contendenti (333d, 333e, 335a-b, 339c, 348c, 360e). Si veda in merito Capra (2001, p. 100-101). I discorsi vengono così paragonati a delle gare di corsa, e la stessa oratoria di Protagora è equiparata a un pugno che annebbia la vista (335e-336a, 339e).30 30 Con toni analoghi sono descritte le parole di Prodico in Prt. 337a-b e quelle di Ippia in 337d-e (si veda in merito Giannantoni, 2005, p. 45). Il carattere agonistico della disputa tra i personaggi rappresenta per Capra (2001, p. 72) “l’essenza del Protagora”, che per questo e altri aspetti è debitore, a suo avviso, della commedia di Aristofane. La sua concezione “agonistica” del discutere è tutta nella replica alla richiesta di Socrate di abbreviare le sue risposte: in tutti gli scontri verbali da lui sostenuti non avrebbe mai prevalso - risponde - se avesse discusso secondo le preferenze dell’avversario (335a). Da questo punto di vista, il silenzio di Protagora, che rinuncia a qualsiasi cenno di assenso o dissenso e tace (360d6: ἐσίγα), può esser giustamente letto come una vittoria di Socrate sulla “prepotenza della parola sofistica” (Moriani, 1988MORIANI, F. (1988). ΣΕΜΝΩΣ ΠΑΝΥ ΣΙΓΑΙ (Fedro 257 D 6): i luoghi platonici del silenzio. Annali dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici 10, p. 27-64., p. 38).

Socrate, al contrario, non discute per φιλονικία: fine primo del dialogo è la ricerca in comune, come afferma nello stesso Protagora, in cui il “trovarsi insieme dialogando” (τὸ συνεῖναι τε ἀλλήλοις διαλεγομένους) è contrapposto frontalmente al δημηγορεῖν: “io pensavo infatti che una cosa fosse trovarsi insieme dialogando, altro fosse parlare alla folla” (336b; cfr. Chrm. 158d-e; 162d-e). Per questo occorre guardare anzitutto ai propri errori (Prt. 361a-e; La. 200e-201a) e far notare all’interlocutore i suoi senza insultarlo (La. 195a, 196c), sforzandosi soprattutto di capire ciò che l’altro intende dire (Euthphr. 13a, 13c-d; Hp. Mi. 363b-364c, 364c-d, 364e, 365c-d, 369d-e, 373a-c). La condizione, più volte ribadita nei dialoghi platonici, 31 31 Hp. Mi. 365d; Euthphr. 6a, 8e, 9e; Prt. 336c, 338e-339a; Hp. Ma. 289e-290a, 292b; Chrm. 156c, 162e, 165a-b; La. 187c-d, 187d-189e, 193d-e. è che si realizzi un reciproco λόγον διδόναι καὶ δέχεσθαι (Prt. 336c-d).32 32 Collegato a questo è il motivo, cui allude qui anche Alcibiade, per cui i lunghi discorsi fanno “dimenticare” la correttezza dei passaggi del ragionamento (334c-d).

In ultima analisi, se i lunghi discorsi somigliano ai discorsi scritti (Prt. 320c8-328d2) è perché non sono capaci, se interrogati, di rendere piena ragione di sé, come affermato nello stesso passo del Fedro (275d-e) in cui i “prodotti” della scrittura sono detti “tacere” come quelli dell’arte.

A integrazione e conclusione dell’analisi sin qui condotta, è possibile avanzare alcune considerazioni riepilogative in merito al ruolo del silenzio nel dialogo, individuandone almeno due declinazioni all’interno degli scritti platonici.

(1) Il silenzio di chi attende la risposta e dunque non interviene: è questa la capacità che Socrate attribuisce ironicamente a Protagora, e che richiama da vicino le regole di condotta nelle discussioni riportate da Plutarco nella testimonianza sul Milziade.

(2) Il silenzio come esito della confutazione, vale a dire come impossibilità di replicare: è in questa accezione che il motivo è introdotto nel dialogo che Platone dedica all’eristica. Al termine del sofisma di Dionisodoro sull’impossibilità del contraddire - scrive infatti Platone nell’Eutidemo (286b) - “Ctesippo tacque (ἐσίγησεν)”, incapace di replicare. Analogamente, al termine del dialogo, Socrate stesso afferma di essere rimasto “senza parole” (303a: ἐκείμην ἄφωνος) dopo uno degli ultimi sofismi di Dionisodoro sull’interpretazione del termine “anima”, che porta alla paradossale identificazione di dèi e animali (301e-303a).

Si ha qui a che fare, tuttavia, con un rovesciamento ironico analogo a quello riscontrato nel Protagora (328d3-6), in cui Socrate simula il silenzio che ogni sofista si aspetta di ottenere dall’uditorio mettendo in scena le proprie abilità retoriche. Non è questo, d’altra parte, l’unico passo platonico in cui si ritrova Socrate stesso intento a “giocare con il silenzio” (Moriani, 1988MORIANI, F. (1988). ΣΕΜΝΩΣ ΠΑΝΥ ΣΙΓΑΙ (Fedro 257 D 6): i luoghi platonici del silenzio. Annali dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici 10, p. 27-64., p. 38): nell’Ippia Minore (363a), infatti, il filosofo finge di restare ammutolito dall’eloquio di Ippia (come la provocatoria domanda di Eudico mette in luce: σὺ δὲ δὴ τί σιγᾷς, ὦ Σώκρατες; 363a1).

Ora, se per completezza entrambe le accezioni vanno tenute presenti (e distinte) in Platone, occorre tuttavia sottolineare come solo la prima trovi un parallelo in Eschine e come, soprattutto, questa soltanto implichi un ruolo inequivocabilmente positivo del silenzio all’interno dello scambio dialogico.

Un ruolo positivo che è possibile ravvisare, anche, nel più ampio ambito del rapporto educativo tra maestro e allievo. Nonostante, infatti, Moriani (1988MORIANI, F. (1988). ΣΕΜΝΩΣ ΠΑΝΥ ΣΙΓΑΙ (Fedro 257 D 6): i luoghi platonici del silenzio. Annali dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici 10, p. 27-64., p. 40-43) non manchi di richiamare i passi platonici in cui il silenzio dei discenti assume una connotazione negativa (ad es. Lg. 790d5-e2), di grande interesse è l’uso “pedagogico” del silenzio nella relazione paideutica, di cui abbiamo testimonianza nell’Alcibiade I. 33 33 Non è possibile affrontare, in questa sede, la spinosa questione dell’autenticità del dialogo, per cui mi limito qui a rimandare a Clark (1955); Arrighetti & Puliga (2000, p. 21-29); Smith (2004, p. 93-97). È Socrate stesso ad aprire il dialogo affermando di aver atteso a lungo, in silenzio, prima di avvicinarsi ad Alcibiade e, benché desideroso di educarlo, di aver seguito per molto tempo il giovane (amato) senza mai rivolgergli parola:

Figlio di Clinia, ritengo che tu ti meravigli del fatto che io, primo ad essere tuo amante, ora che gli altri hanno desistito, sono l’unico a non allontanarmi da te; e, ancora, del fatto che io non ti abbia neppure rivolto la parola in questi anni, mentre gli altri ti infastidivano con un mucchio di chiacchiere (103a; trad. Puliga, 2000).

L’attesa in silenzio di Socrate non è sfuggita d’altra parte ad Alcibiade, che richiama la σιγή del “maestro” poco più avanti nel dialogo: “Socrate, ti riveli di gran lunga più strano (ἀτοπώτερος) ora, dopo che hai cominciato a parlare, che prima, quando mi stavi dietro in silenzio (σιγῶν; 106a2-4)”.

Essa si lega in questo caso, evidentemente, alla necessità di saper scegliere il καιρός anche nell’educazione e dunque, positivamente, all’attesa del momento opportuno perché l’azione educativa risulti massimamente efficace. Per evitare una comunicazione avventata, che rischi di compromettere i risultati dell’intervento paideutico, chi educa deve dunque saper gestire tanto la parola quanto il silenzio.

A tal riguardo pare indicativo, considerando la centralità del διαλέγεσθαι nella παιδεία socratica, che nel Fedro (276a5-7) Socrate riconosca a quel discorso che “viene scritto mediante la conoscenza nell’anima di chi apprende” - fratello “legittimo” del discorso scritto - non solo la capacità di difendersi da sé, ma anche quella di riconoscere “a chi gli convenga parlare e a chi tacere” (λέγειν τε καὶ σιγᾶν πρὸς οὓς δεῖ).

Conclusioni

Il ruolo positivo della σιγή nel rapporto pedagogico riconduce “circolarmente” al problema dell’educazione dei giovani, da cui l’analisi ha preso le mosse. Senza voler negare o sottovalutare le profonde differenze di contesti e modelli educativi, è possibile riepilogare, in conclusione, i fondamentali collegamenti emersi dal confronto tra le varie fonti (socratiche e non) sul tema del silenzio.

L’esame di due testimonianze sul Milziade (Stob. 2.31, 23; Plu. De recta rat. aud. 4 p. 39b-c) ha permesso di ipotizzare che Socrate trattasse, nel dialogo eschineo, della virtù del silenzio, sottolineando - attraverso l’esempio di Milziade - il valore della σιωπή34 34 Nel corpus platonico sono invece rare le occorrenze del termine σιωπή e simili per indicare il silenzio; si veda in merito Moriani (1988, p. 39, n. 42). Per alcune eccezioni cfr. R. 389e6 e Phdr. 234a5. per i giovani. Il dialogo metteva dunque in luce, con ogni probabilità, l’importanza del silenzio nell’educazione, un aspetto che doveva essere particolarmente presente nella παίδευσις spartana (X. Lac. 3.5) e che rimanda al dovere del silenzio imposto, secondo diverse fonti, ai discepoli “in formazione” nella tradizione pitagorica.

La testimonianza di Plutarco, con le regole di condotta nella discussione lì espresse, ha inoltre evidenziato un preciso ruolo del silenzio nello scambio dialogico: la capacità, qui richiamata, di attendere che l’interlocutore abbia fornito la sua risposta, senza anticiparlo con un intervento, trova un parallelo in un passo del Protagora (329b) in cui Socrate riconosce ironicamente tale abilità al Sofista.35 35 È stato tuttavia evidenziato come lo stesso atteggiamento di Socrate nel dialogo richiami per alcuni aspetti la pratica eristica, tanto che la critica ha sollevato il problema - che non è possibile affrontare in questa sede - del comportamento “sofistico” di Socrate o addirittura di un Socrate “erista” nel Protagora (per la questione si rimanda a Capra, 2001, p. 83-84; 123-147). Si noti inoltre che secondo diversi studiosi (tra cui Berti, 1978; cfr. Ryle, 1966 e Sichirollo, 1973, p. 24 ss.) l’eristica costituirebbe addirittura la premessa necessaria per la nascita dell’elenchos socratico, come suggerito da una testimonianza di Diogene Laerzio (9.53). In questa accezione, il rispetto della σιγή nelle discussioni si oppone alle contese verbali dei Sofisti e al loro carattere agonistico, contro cui non si può escludere che anche il Socrate eschineo - nell’ambito di una discussione su diversi modelli di educazione e trattando in particolare della virtù del σιωπᾶν - abbia polemizzato.

Non mancano, d’altra parte, ulteriori esempi di una positiva presentazione della σιγή nei dialoghi platonici: nelle Leggi viene lodato il silenzio composto del pubblico ben educato a teatro (700c6: μετὰ σιγῆς), nonché le buone leggi che insegnano al temerario a tacere quando è bene che taccia e a parlare quando è bene che parli (671c6: τὸ κατὰ μέρος σιγῆς καὶ λόγου)36 36 In tale accezione il motivo ricorre nel fr. 6 dell’Epitafio di Gorgia (fr. 82 B 6 D.K.: τοῦτον νομίζοντες θειότατον καὶ κοινότατον νόμον, τὸ δέον ἐν τῶι δέοντι καὶ λέγειν καὶ σιγᾶν καὶ ποιεῖν <καὶ ἐᾶν>). ; nella Repubblica è elogiato il silenzio dei giovani al cospetto degli anziani (425b1: σιγάς).

Un ruolo positivo del silenzio è riconosciuto, infine, nel rapporto tra maestro e allievo: se la prima parte del contributo ha evidenziato infatti l’importanza della capacità di tacere per chi apprende (i discepoli e i giovani in generale), l’incipit dell’Alcibiade I ne ha mostrato l’“utilità” per chi educa e, attendendo in silenzio, deve saper scegliere il καιρός.

Nonostante, dunque, i molti luoghi richiamati da Moriani in cui Platone “condanna” il silenzio, pare lecito concludere con lo studioso (Moriani, 1988, p. 40) - sulla base di R. 514a2 - che, in ultima analisi, “ciò che decide della bontà e della nocevolezza di un silenzio e di una parola è la παιδεία ovvero la ἀπαιδευσία di chi a quel silenzio ricorra”.

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  • ZHMUD, L. (2012). Pythagoras and the Early Pythagoreans Trans. K. Windle & R. Ireland. Oxford, Oxford University Press.
  • 1
    Nel citato passo del Fedro (275d), i “prodotti” della pittura e della scultura sono detti presentare lo stesso “inconveniente”: interrogati, essi “tacciono in modo davvero solenne (σεμνῶς πάνυ σιγᾷ)” (trad. Bonazzi, 2011BONAZZI, M. (ed.) (2011). Platone. Fedro. Torino, Einaudi.). Nel seguito dell’Introduzione, si farà riferimento allo studio di Moriani (1988MORIANI, F. (1988). ΣΕΜΝΩΣ ΠΑΝΥ ΣΙΓΑΙ (Fedro 257 D 6): i luoghi platonici del silenzio. Annali dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici 10, p. 27-64.) con la sola indicazione tra parentesi dei numeri di pagina.
  • 2
    Nel Gorgia (450c) Platone annovera pittura e scrittura tra le arti che operano “attraverso il silenzio” (διὰ σιγῆς).
  • 3
    Degno di nota, in tal senso, è il giudizio negativo espresso nello pseudoplatonico Anterastai, in cui il silenzio è legato alla scelta da parte di un (potenziale) interlocutore di non innescare il processo dialogico (134a5).
  • 4
    In questa accezione negativa il motivo del silenzio compare anche nel Protagora con riferimento al Sofista (360d6: ἐσίγα).
  • 5
    Anche Moriani (1988MORIANI, F. (1988). ΣΕΜΝΩΣ ΠΑΝΥ ΣΙΓΑΙ (Fedro 257 D 6): i luoghi platonici del silenzio. Annali dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici 10, p. 27-64.) affronta la questione in alcune pagine dedicate al ruolo del silenzio nel processo educativo e nel rapporto maestro-allievo (p. 41-44). Di grande interesse sono inoltre le sezioni in cui lo studioso esamina le occorrenze del termine connesse al tema della legislazione scritta (p. 50-53) e della morte (p. 53-56).
  • 6
    Su questo aspetto, e più specificamente sulla possibile presenza di una polemica anti-eristica nel Milziade di Eschine, ho avuto modo di soffermarmi altrove (Pentassuglio, 2020PENTASSUGLIO, F. (2020). L’éloge du silence : une polémique anti-éristique chez Eschine ? In: DELCOMMINETTE, S.; LACHANCE, G. (éds.). L’Éristique : Définitions, caractérisations et historicité. Paris, Vrin. (Forthcoming)) attraverso un più diretto confronto tra la testimonianza di Plutarco e Pl. Prt. 329b.
  • 7
    La doppia numerazione fa riferimento alla raccolta di Giannantoni (1990GIANNANTONI, G. (1990). Socratis et Socraticorum reliquiae. Collegit, disposuit, apparatibus notisque. Napoli, Bibliopolis.) e all’edizione Eschine di Sfetto. Tutte le testimonianze (Pentassuglio, 2017PENTASSUGLIO, F. (2017). Eschine di Sfetto. Tutte le testimonianze. Turnhout, Brepols.).
  • 8
    Per il problema dell’identificazione del personaggio e per un’ipotesi di ricostruzione della struttura e dei contenuti del dialogo, mi permetto di rimandare a Pentassuglio (2017PENTASSUGLIO, F. (2017). Eschine di Sfetto. Tutte le testimonianze. Turnhout, Brepols., p. 184-205). Sullo scritto eschineo si veda almeno Merkelbach (1972MERKELBACH, R. (1972). Zum Miltiades des Aischines. Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik 9, p. 201.); Patzer (1974PATZER, A. (1974). Aischínou Miltiádes. Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik 15, p. 271-287.); Slings (1975SLINGS, S. (1975). Some remarks on Aeschines’ Miltiades. Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik 16, p. 301-308.); Rossetti & Lausdei (1979ROSSETTI, L.; LAUSDEI, C. (1979b). Ancora sul Milziade di Eschine Socratico: POxy. 2890 (Back). Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik 33, p. 47-56.a; 1979b; 1981).
  • 9
    Hermann (1850HERMANN, K. F. (1850). De Aeschinis Socratici reliquiis. Göttingen, Universitätsschriften., p. 11, n. 29) ricorda in merito l’εὐανδρίας ἀγών di Mem. 3.3, 12.
  • 10
    La scena richiamerebbe da vicino, pertanto, quella dell’inizio del Lachete (178a-180c). Un parallelo si trova inoltre in un passo iniziale del Carmide, in cui Socrate prende a conversare con il giovane Carmide nella palestra di Taurea (155e ss.).
  • 11
    Così Dittmar (1912DITTMAR, H. (1912). Aischines von Sphettos. Studien zur Literaturgeschichte der Sokratiker. Berlin, Weidmann., p. 181). L’ipotesi di Hermann (1850HERMANN, K. F. (1850). De Aeschinis Socratici reliquiis. Göttingen, Universitätsschriften., p. 11), secondo cui con queste parole Milziade veniva presentato a Socrate da una terza persona, pare invece meno convincente.
  • 12
    Sugli esercizi ginnici degli anziani cfr. X. Smp. 2.18 e Pl. R. 5.425b.
  • 13
    Cfr. Alc. 1 122b: σοὶ δ᾽, ὦ Ἀλκιβιάδη, Περικλῆς ἐπέστησε παιδαγωγὸν τῶν οἰκετῶν τὸν ἀχρειότατον ὑπὸ γήρως. Sull’obbedienza che gli allievi devono ai pedagoghi cfr. Pl. Ly. 208c. Sui loro metodi e le brutali modalità di controllo dei giovani si veda inoltre la chiusa del dialogo (223a-b).
  • 14
    Come tema generale dello scritto si può ipotizzare, con Dittmar (1912DITTMAR, H. (1912). Aischines von Sphettos. Studien zur Literaturgeschichte der Sokratiker. Berlin, Weidmann., p. 181), il confronto tra un giovane privo di senso dell’autorità (cfr. Alc. 1 122b) e un uomo che incarna il modello dell’educazione ginnica. Per una conclusione simile si veda già Hermann (1850HERMANN, K. F. (1850). De Aeschinis Socratici reliquiis. Göttingen, Universitätsschriften., p. 12); di diverso avviso è invece Hirzel (1895HIRZEL, R. (1895). Der Dialog. Ein literarhistorischer Versuch. Leipzig, S. Hirzel., p. 134), che ha ipotizzato una discussione sul valore della σωφροσύνη.
  • 15
    Non si può escludere che Socrate abbia istituito una contrapposizione tra ἐπιμέλεια τοῦ σώματος ed ἐπιμέλεια τῆς ψυχῆς, e che dunque due modelli alternativi di παιδεία siano stati messi a confronto. Tale contrapposizione è tra l’altro tipica della letteratura protrettica: cfr. Pl. Ap. 30a8-b2; Clit. 407e5-8; Alc. 1 132c1-5.
  • 16
    Ad avviso di Krauss (1911KRAUSS, H. (1911). Aeschinis Socratici Reliquiae. Lipsiae, B. G. Teubner., p. 59) non è verosimile che la citazione di Plutarco si limiti, come potrebbe sembrare a prima vista, all’espressione διαλείπῃ χρόνον, in quanto non si tratta di una locuzione rara; si può pertanto ritenere che anche la frase successiva risalga a un dialogo di Eschine. Lo studioso non esclude, inoltre, che sia tratta direttamente da Eschine anche la prima parte del passo (πανταχοῦ-ἀντίρρησιν), per quanto ὡς Αἰσχίνης si troverebbe, in questo caso, in una posizione anomala. Sulla questione delle citazioni nei testi antichi si veda Most (1988).
  • 17
    Sulle possibili implicazioni politiche di questa testimonianza di Isocrate si veda Horky (2013HORKY, P. S. (2013). Plato and Pythagoreanism. New York, Oxford University Press., p. 90-96); cfr. Zhmud (2012ZHMUD, L. (2012). Pythagoras and the Early Pythagoreans. Trans. K. Windle & R. Ireland. Oxford, Oxford University Press., p. 48-50).
  • 18
    Dicearco, introducendo la dottrina dell’anima, afferma che “ciò che egli [scil. Pitagora] diceva a quelli che lo frequentavano, nessuno può dirlo con certezza: ed infatti c’era presso di essi un silenzio non comune” (fr. 40 Mirhady = Porph. VP 19). Indicativo è inoltre un frammento del poeta Alessi, che deride i “Pitagoristi” - spesso oggetto di scherno da parte della Commedia di mezzo - il cui stile di vita era caratterizzato da “scarso cibo, sudiciume, freddo, silenzio, tristezza, non lavarsi” (fr. 201 K.-A.).
  • 19
    Secondo la ricostruzione di Riedweg (2007RIEDWEG, C. (2007). Pitagora. Vita, dottrina e influenza. Milano, Vita e Pensiero. (Pub. orig.: Pythagoras. Leben, Lehre, Nachwirkung, München, C. H. Beck, 2002), p. 108), il verso in esametro potrebbe essere ispirato dai “discorsi sacri” (hieroi logoi) orfici e risalire a un poema didattico-religioso del maestro.
  • 20
    Cfr. S.E. P. 2.253; M. 7. 416. Il suggerimento di “prendere tempo” è attribuito a Crisippo anche da Cicerone (quiescere: Acad. Pr. 2.93) con riferimento alle “interrogazioni graduali”.
  • 21
    3.100 CPG (= 74 Bühler): Εἴποις τὰ τρία παρὰ τῇ αὐλῇ κτλ.; cfr. 6.11 CPG.
  • 22
    3.43 CPG: Βάκχης τρόπον˙ ἐπὶ τῶν σιωπηλῶν. Παρόσον αἱ Βάκχαι σιγῶσι (cfr. Apostol. 5.35 e Arsen. 136); 3.61 CPG: Βοῦς ἐπέβη˙ ἐπὶ τῶν ἐξαίφνης σιωπώντων κτλ. (cfr. Zen. 2.70).
  • 23
    Per Giannantoni (2005GIANNANTONI, G. (2005). Dialogo socratico e nascita della dialettica nella filosofia di Platone. Napoli, Bibliopolis., p. 47), d’altra parte, il filo conduttore del dialogo è precisamente la matrice psicagogica dell’oratoria sofistica.
  • 24
    La traduzione di tutti i passi del Protagora citati è a cura di F. Adorno (1996ADORNO, F. (ed.) (1996). Platone. Protagora. Roma/Bari, Laterza.).
  • 25
    Giannantoni (2005GIANNANTONI, G. (2005). Dialogo socratico e nascita della dialettica nella filosofia di Platone. Napoli, Bibliopolis., p. 48, n. 28) rimanda a questo proposito al passo di Tucidide (5.85-86) che apre il dialogo tra gli Ateniesi e i Meli.
  • 26
    Oltre a successivi passi del Protagora (334d-338e), sulla contrapposizione tra brachilogia e macrologia si veda Euthphr. 6c, 14b-c; Hp. Mi. 364b, 364d, 373a; Grg. 447b-c, 449b-d, 461d-462a, 467b-c; Ion 530d-531a; Alc. 1 106a-b; Hp. Ma. 286c, 82b-c, 293c-e, 304a-b; Sph. 217c ss.
  • 27
    Come notato ancora da Giannantoni (2005GIANNANTONI, G. (2005). Dialogo socratico e nascita della dialettica nella filosofia di Platone. Napoli, Bibliopolis., p. 50), anche quando acconsentono a farsi interrogare in pubblico e a replicare con brevi risposte, i Sofisti tendono sempre, in Platone, a voler dimostrare la loro combattività e la loro abilità nei lunghi discorsi. Si veda a titolo di esempio Hp. Mi. 363c-d e Grg. 447c; 448a.
  • 28
    Ugualmente ironica è, d’altra parte, l’occasionale imitazione della ἐπίδειξις sofistica da parte di Socrate, di cui si trova un esempio nello stesso Protagora (319a; 320c; 342a-347a; 351b-359a) e, più compiutamente, nel Gorgia (464b-466a) e nell’Ippia Minore (372a-373a).
  • 29
    Il carattere agonistico della disputa è sottolineato da Alcibiade (336b-c), da Prodico, che constata l’andamento eristico preso dalla discussione (ἐρίζειν; 337b), e da Ippia, che incita all’elezione di un arbitro (338a). Anche la narrazione indiretta sottolinea a più riprese l’animosità dei contendenti (333d, 333e, 335a-b, 339c, 348c, 360e). Si veda in merito Capra (2001CAPRA, A. (2001). AΓΩΝ ΛΟΓΩΝ: il « Protagora » di Platone tra eristica e commedia. Milano, LED., p. 100-101).
  • 30
    Con toni analoghi sono descritte le parole di Prodico in Prt. 337a-b e quelle di Ippia in 337d-e (si veda in merito Giannantoni, 2005GIANNANTONI, G. (2005). Dialogo socratico e nascita della dialettica nella filosofia di Platone. Napoli, Bibliopolis., p. 45). Il carattere agonistico della disputa tra i personaggi rappresenta per Capra (2001CAPRA, A. (2001). AΓΩΝ ΛΟΓΩΝ: il « Protagora » di Platone tra eristica e commedia. Milano, LED., p. 72) “l’essenza del Protagora”, che per questo e altri aspetti è debitore, a suo avviso, della commedia di Aristofane.
  • 31
    Hp. Mi. 365d; Euthphr. 6a, 8e, 9e; Prt. 336c, 338e-339a; Hp. Ma. 289e-290a, 292b; Chrm. 156c, 162e, 165a-b; La. 187c-d, 187d-189e, 193d-e.
  • 32
    Collegato a questo è il motivo, cui allude qui anche Alcibiade, per cui i lunghi discorsi fanno “dimenticare” la correttezza dei passaggi del ragionamento (334c-d).
  • 33
    Non è possibile affrontare, in questa sede, la spinosa questione dell’autenticità del dialogo, per cui mi limito qui a rimandare a Clark (1955CLARK, P. M. (1955). The Greater Alcibiades. Classical Quarterly 5, p. 231-240.); Arrighetti & Puliga (2000, p. 21-29); Smith (2004SMITH, N. D. (2004). Did Plato write the Alcibiades I? Apeiron 37, n. 2, p. 93-108., p. 93-97).
  • 34
    Nel corpus platonico sono invece rare le occorrenze del termine σιωπή e simili per indicare il silenzio; si veda in merito Moriani (1988MORIANI, F. (1988). ΣΕΜΝΩΣ ΠΑΝΥ ΣΙΓΑΙ (Fedro 257 D 6): i luoghi platonici del silenzio. Annali dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici 10, p. 27-64., p. 39, n. 42). Per alcune eccezioni cfr. R. 389e6 e Phdr. 234a5.
  • 35
    È stato tuttavia evidenziato come lo stesso atteggiamento di Socrate nel dialogo richiami per alcuni aspetti la pratica eristica, tanto che la critica ha sollevato il problema - che non è possibile affrontare in questa sede - del comportamento “sofistico” di Socrate o addirittura di un Socrate “erista” nel Protagora (per la questione si rimanda a Capra, 2001CAPRA, A. (2001). AΓΩΝ ΛΟΓΩΝ: il « Protagora » di Platone tra eristica e commedia. Milano, LED., p. 83-84; 123-147). Si noti inoltre che secondo diversi studiosi (tra cui Berti, 1978BERTI, E. (1978). Greek dialectic and free speech. Journal of the History of Ideas 39, p. 347-370.; cfr. Ryle, 1966RYLE, G. (1966). Dialectic in the Academy. In: BAMBROUGH, R. (ed.). New essays on Plato and Aristotle. London, Routledge and Kegan Paul, p. 39-68. e Sichirollo, 1973SICHIROLLO, L. (1973). Dialettica. Milano, Isedi., p. 24 ss.) l’eristica costituirebbe addirittura la premessa necessaria per la nascita dell’elenchos socratico, come suggerito da una testimonianza di Diogene Laerzio (9.53).
  • 36
    In tale accezione il motivo ricorre nel fr. 6 dell’Epitafio di Gorgia (fr. 82 B 6 D.K.: τοῦτον νομίζοντες θειότατον καὶ κοινότατον νόμον, τὸ δέον ἐν τῶι δέοντι καὶ λέγειν καὶ σιγᾶν καὶ ποιεῖν <καὶ ἐᾶν>).

Publication Dates

  • Publication in this collection
    13 Dec 2019
  • Date of issue
    2020

History

  • Received
    01 Dec 2019
  • Accepted
    02 Dec 2019
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