Riassunto:
In questo contributo intendo ricostruire lo stato dell’arte concernente il papiro di Ai Khanoum, rinvenuto in Afghanistan nel 1977, che riporta il frammento di un dialogo di argomento platonico, risalente alla seconda metà del III sec. a.C. Ripercorrendo gli studi che se ne sono occupati, si portano nuovi argomenti a sostegno di alcune proposte esegetiche: viene in particolare abbracciata la teoria secondo la quale la dottrina discussa nel breve testo sarebbe da ricondurre a Senocrate; si appoggia inoltre la posizione degli studiosi che attribuiscono il frammento al perduto De philosophia aristotelico, portato probabilmente ad Ai Khanoum dal peripatetico Clearco di Soli. L’analisi si avvale inoltre di una nuova proposta di ricostruzione del testo greco, più vicina alle tracce di inchiostro visibili nelle foto dell’originale (ormai disperso), nonché di una conseguente nuova traduzione italiana che tenga conto delle particolarità e delle asperità del testo greco.
Parole Chiave:
Aristotele; Senocrate; Clearco di Soli; Ai Khanoum;
De Philosophia
Abstract:
In this article, I intend to reconstruct the current state of research concerning the Ai Khanoum papyrus, found in Afghanistan in 1977, which contains a fragment of a dialogue on a Platonic subject dating from the second half of the 3rd century BCE. By reviewing existing studies, I present new arguments in support of certain exegetical proposals. In particular, I adopt the theory that the doctrine discussed in this brief text can be traced back to Xenocrates. Additionally, I support the position of those scholars who attribute the fragment to the lost Aristotelian work De philosophia, likely brought to Ai Khanoum by the Peripatetic Clearchus of Soli. This analysis also incorporates a newly proposed reconstruction of the Greek text, which is more closely aligned with the ink traces visible in photographs of the now-lost original, as well as a subsequent new Italian translation that accounts for the peculiarities and roughness of the Greek text.
Keywords:
Aristotle; Xenocrates; Clearchus of Soli; Ai Khanoum;
De Philosophia
Il Papiro di Ai Khanoum
Nel novembre1* del 1961 il re dell’Afghanistan, Mohammed Zahir Shah, durante una battuta di caccia nella provincia settentrionale del Qataghan (odierno Takhar), quasi al confine con l’URSS (odierno Tagikistan), si imbatté in delle rovine archeologiche - un cippo e un capitello corinzio - che lo colpirono. Si rivolse allora a Daniel Schlumberger, direttore della Delegazione archeologica francese in Sogdiana, invitandolo ad approfondire gli studi. Qui, nella località di Ai Khanoum,2 situata proprio allo sbocco del fiume Kokcha nel Panj, gli archeologi francesi ritrovarono i resti di un’antica città greca di epoca ellenistica, risalente alla prima metà del IV secolo a.C.,3 dunque assai prossima alla spedizione di Alessandro Magno. La città di Ai Khanoum era stata la capitale del regno greco-ellenistico della Battriana, ma fu distrutta circa 150 anni dopo la sua fondazione, intorno al 145 a.C., sotto la pressione degli invasori sciti.4
Questa scoperta, senza precedenti in Afghanistan, offrì agli studiosi un enorme numero di reperti, perlopiù archeologici. Ancora più sensazionale fu dunque la scoperta di testi papiracei, accadimento raro al di fuori dall’Egitto. Il 18 settembre del 1977, infatti, all’interno della tesoreria del palazzo - centro politico-amministrativo della città - gli archeologi rinvennero un testo papiraceo di enorme importanza. Lo stato deteriorato del materiale fece sì che il papiro in sé si dissolvesse contestualmente alla sua scoperta, tuttavia le zolle di terra dura con le quali era stato a contatto per secoli ne avevano assorbito la forma e l’inchiostro, come per decalcomania, facendo sì che una porzione di testo sopravvivesse e risultasse leggibile.5 Il reperto fu portato al Museo nazionale dell’Afghanistan a Kabul e registrato sotto il nome di Akh III B 77, P.O. 154. Tuttavia gli eventi politici violenti che hanno devastato l’Afghanistan a partire dal colpo di Stato di Mohammed Daud - che detronizzò Mohammed Zahir nel 1973 - hanno fatto perdere le tracce degli undici pezzi di argilla conservati al museo, che sono oggi considerati perduti. Ogni possibile ricostruzione testuale si basa inevitabilmente sulle foto che scattò Claude Rapin nella sua editio princeps del 1987.6
Il papiro, databile tra il 300 e il 250 a.C.,7 si compone di quattro colonne di testo, delle quali solo tre sono leggibili. Ogni colonna si compone di almeno 28 righe e il papiro è stato probabilmente confezionato in Occidente, dal momento che nella Battriana era più diffusa la pergamena del papiro. Le parole leggibili fanno intendere che si tratta di un dialogo, sul modello di quello platonico, di tipo “indiretto” o “narrato”, in cui un personaggio riporta il contenuto di una conversazione alla quale ha assistito o che gli è stata riferita: lo dimostrano gli εἶπεν in II.7, III.13 e (probabilmente) IV.6 e IV.14. Già a una prima, superficiale analisi, emerge come il testo abbia un contenuto eminentemente filosofico, e più in particolare platonico. L’elemento straordinario della scoperta è che il papiro sarebbe un testimone vicinissimo, cronologicamente, all’autore del testo che riporta: un caso assolutamente unico per quanto riguarda la prima Accademia e che costituisce di conseguenza un documento preziosissimo per approfondire le nostre conoscenze di un contesto culturale del quale non ci sono pervenuti che alcuni frammenti.
Clearco ad Ai Khanoum?
Ai Khanoum si trova a più di cinquemila chilometri da Atene e dista meno di cinquecento chilometri dall’attuale confine con la Repubblica Popolare Cinese. Se lo si tiene presente, non si può fare a meno di chiedersi come sia possibile che un dialogo filosofico di argomento platonico sia giunto ai limiti del mondo conosciuto così pochi anni dopo la fondazione della città, così pochi anni dopo l’insegnamento di Platone e di Aristotele.
La risposta sembra giungere dagli stessi scavi archeologici ad Ai Khanoum. Il 22 ottobre del 1966, infatti, la delegazione francese aveva portato alla luce un blocco di calcare bianco di 65x28x46 cm, con una eloquente iscrizione:
parole, facili da conoscere, nella santissima Pito:
da lì le copiò attentamente (ἐπιφραδέως) Clearco
per mostrarle splendenti nel temenos di Kineas.8
Accanto a questo epigramma è riportato sul blocco un motto delfico: «da bambino sii educato, da adolescente controllato, a metà [della vita] giusto, da anziano buon consigliere, morendo [sii o sarai] senza rimpianti».9 Queste cinque massime dovevano chiudere la lista delfica, che - come sappiamo dalle fonti antiche - si componeva nel complesso di 147 detti.10 L’epigrafista Louis Robert, che ha curato la prima edizione e commento di questa iscrizione nel 1968, ha tratto le seguenti conclusioni: in primo luogo, il blocco di calcare costituiva la base di una stele ben più grande, sulla quale erano riportati tutti i 147 motti delfici. In secondo luogo, la datazione dell’iscrizione è da collocare a cavallo tra IV e III secolo a.C., approssimativamente lo stesso periodo del frammento papiraceo. Quanto a Kineas, egli congettura che potesse trattarsi dell’ecista della città, per il quale era stato costruito un heroon dotato - come di consueto - di un temenos, ovvero di un recinto sacro, al cui interno era stata evidentemente eretta la stele.
La menzione più particolare sicuramente è quella di Clearco. L’ipotesi più convincente che è stata avanzata è che si trattasse di Clearco di Soli, un filosofo peripatetico dagli interessi alquanto variegati.11 Fu sempre Robert ad avanzare questa ipotesi,12 sulla base di alcune considerazioni: 1) la precisione nella copiatura del testo delfico (ἐπιφραδέως) sembra indicare la «conscience de philologue» propria di un Peripatetico; 2) Aristotele stesso era interessato alla saggezza delfica, dal momento che ogni menzione dei Sette Sapienti e dei loro detti nel corpus è sempre compiuta con rispetto verso la loro sapienza; 3) Clearco di Soli, nel suo Sui proverbi, si interessò a Delfi e ne narrò alcuni aneddoti (frr. 68, 79a Dorandi) oltre a occuparsi dei Sette Sapienti (frr. 81, 82, 101 D);13 4) Clearco era interessato alle origini e agli usi di moltissimi popoli, e tra gli altri dei Magi e dei Gimnosofisti.14
Se effettivamente l’epigramma parla di Clearco di Soli, come non concludere che sia stata la stessa persona che, in procinto di affrontare il lunghissimo viaggio per la Battriana, decise di portare con sé la sapienza degli antichi, sotto forma dei motti delfici, nonché la sapienza dei moderni, con questo dialogo di argomento platonico? A questa conclusione è giunto Robert, seguito ormai pressoché unanimemente dagli studiosi.15 Clearco costituirebbe così la risposta ad alcuni quesiti di ordine storico posti dalla scoperta del papiro, ma ulteriori domande e problemi sono posti dal testo che esso riporta.
Il Contenuto del Papiro
Si riporta di seguito il testo greco16 e una nuova proposta di traduzione.
Col. II
τῶν ἰδεῶν ϕάμ]ε̣γ
4 [κοινωνεῖν τὰ] αἰ̣σ̣θ̣ητὰ
ἀλλὰ̣ [κ]α̣ὶ̣ τ̣ὰ̣ς̣ ἰδέας αὐ-
τὰς ἀλ̣[λ]ήλων - ϕάμεν̣
γὰρ εἶπεν - οὐκ̣ο̣ῦ̣ν̣ [τὸ]
8 α̣ὐ̣τ̣ὸ αἴ̣τ̣ιο̣ν τ̣ῶ̣[ν αὐτῶν]
μὲ]ν ὅταν [ . . ] μετί̣σχει
τ̣ῶ̣ν̣ ὄντων τ[ὰ]ς ἰδέας
ὅπερ καὶ τ̣[ο]ῦ̣ μ̣ε̣[τέχ]ειν
12 τ̣ἄλ̣λ̣[α δ]έ̣ τ̣[ο]ύ̣τ̣[ων] αἴ̣τ̣ι̣α
[ . . ]ν̣ ο̣ . . ω̣ . . . [ ]
[αἴ]τιον . . . [ ] .
[ . . ] . ς ἑτέρ[α̣ι̣ς . . ] καθʼ ἑ-
16 [κά]στην [ἰδέα]ις εἰ μ[3-4]
[ ± 3] . . . . πρὸς τ . [ ] .
[ ] . . . α̣ . [ . . . ] . λα
[ ] . νειδ[?]ων
20 [ ± 8. ἑκά]σ̣τ̣η̣ν̣ [ ? ]
[ ± 10 ] . ω̣ [ 3-5 ]
[ ] . . ο̣τητος
[ ] . . . . π̣ο [1.-.2]
24 [ αἰσ]θ̣ητῶ̣ν̣ [?]
[ ]α̣ . εἰδῶν
[ ] . νους [2.-.3]
[ ] . . . [ ± 3]
Col. III
. . [ ] ὥ̣[στ]ε̣
4 δ̣ι̣ὰ̣ [τούτων τῶν αὐ]τ̣ῶ̣ν̣
α̣ἰ̣τ̣ίω̣[ν] . [ἀκίνητ]ο̣ν̣ ἀ-
να̣γκαῖ̣ο̣ν̣ ε̣[ἶ̣ν̣α̣ι?] τὸ τῆς
μ̣ε̣θ̣έ̣ξε̣ω̣ς α̣ἴ̣[τι]ο̣ν̣, ἀκί-
8 νητον γὰρ ἕκα̣στον
τῶν εἰδῶν δι̣ὰ ταῦτά
τε καὶ τὸ τὴγ γένεσιν
εἶναι καὶ τὴ̣ν ϕθορὰν
12 ἀΐδιον τὴν̣ τ̣ῶ̣ν̣ αἰσθη-
τῶν - ἀναγκαῖον εἶπεν -
ἀλλὰ μὴγ καὶ κυριώ-
τατόγ γε κα̣ὶ πρῶτον
16 τῶν αἰτίων δόξειεν
ἂν τοῦ̣[το] - δικαί̣ως [?] -
τοῦτο μὲγ γὰρ [αἴτι?]ο̣ν̣
πᾶσι καὶ̣ πάσαις ταῖς
20 ἰδέαι̣ς 2.-.3 ἀ[λλ]ή̣λων
[ ± 2 ] . ω̣ . . [ ± 3 ]ω̣ι̣ . [2-4]
. ε̣ ο̣ὐ̣θ̣ὲ̣ν̣ ο̣ὐ̣θ̣ενὸς τ̣[ 2.-.3 ]
. . [3-4] . ει . αρ . [ ]
24 . . . . . α̣ὐ̣τ̣ω̣ . [ ]
[ . ] ε . ειν τ̣ω̣ . . [ ]
[ . ] 1.-.2 ω̣ν κ̣ . [ ]
[ . ] . . . [ ]
28 [ ] ? [
Col. IV
τ̣ . . . . . . α̣λ̣λ̣ . λ̣ . [ ]
. . . . μ̣ερ̣ . ν̣ω̣ . [ ]
. . ν̣ε̣ . τ̣αξ . μ̣ε̣ . . . . [ ± 2 ]
γονωστε κα̣ . . . ε̣ . . . . .
5 μανθάνεις γὰρ̣ [ ]
- π̣άν̣υ̣ γε̣ ε̣ἶ̣π̣ε̣[ν - 5-6 ]
μὴν εἰ γε . . . [ ± 4 με- ]
τέ̣χει τω . [ ]
10 ἔσ̣τ̣α̣ι πρ̣ω̣ . . [ ]
μὴ μετέχοι [ ]
ἄλλω . . [ ]
λ̣ . . [ ]
εἶπ̣[εν - ]
15 τ̣[ ]
II.7 τὸ Vendruscolo, Lerner, Forcignanò, Auffret : ὡς Isnardi, Rapin, Rougemont
II.8-9 [. .].ο.2.-3. ε̣ Cavallo, suggerendo ὅ[ταν]ε[.] (240) : τ̣ῶ̣[ν α]ὐ[ ] [τῶ]ν̣ . ου . [.2 - 3.] Isnardi : τ̣ῶ̣[ν α]ὐ̣[ ] [τῶ]ν̣ ου̣ . [2.-.3] Rapin, Forcignanò : τ̣ο̣ῦ̣ μ̣η̣[θη]ν̣ὸς̣ ἄλ̣λ̣ο̣υ̣ / ἄλ̣[λ]ο̣υ̣ Vendruscolo : τ̣ο̣[ῦ σ]υ[γγε]ν̣οῦ̣ς [του] Lerner : τ̣ῶ̣[ν α]ὐ̣[ ] τῶν ου̣ . [ . . ] Rougemont : τ̣ο̣ῦ̣ ἄ̣[λλο]υ̣ [μὲ]ν οὐδ̣ε̣ν[ὸς] Auffret : τ̣ῶ̣[ν. .]. . τα̣. . . Bonazzi
II.9 μετ̣ίσχει Isnardi, Rapin, Rougemont, Bonazzi : μ̣ε̣τί̣σ̣χει [?] Cavallo, Forcignanò : μετ̣ίσχει[ν] Vendruscolo, Lerner, Auffret
II.12 τ̣α . . . . ε̣ τ̣ο̣υ̣ . . . Cavallo, suggerendo τ̣ἄ[λλα δ]έ̣ (240) : τ̣ἄλλ[α . ]ε̣ τ[ο]ύ̣τ̣[ων] Isnardi, Rapin, Rougemont, Forcignanò : . .]. . τα̣. . . Bonazzi : τ̣ἄλ̣λ̣[α γ]έ̣ τ̣[ο]ύ̣τ̣[ων] Sedley [apud Vendruscolo (147)], Vendruscolo, Lerner : τἄλλά [γ]ε τούτ[ων] Auffret
III.10 τὴγ Cavallo, Forcignanò, Auffret : τὴν Isnardi, Rapin, Lerner, Rougemont, Bonazzi
Col. II
«Affermiamo che [non solo] le cose sensibili [partecipano delle idee], ma anche le idee [partecipano] le une delle altre».
«Lo affermiamo, infatti» disse.
«Dunque [diciamo che] la stessa causa di quelli [scil. dei sensibili] - dal momento che [scil. l’Uno] configura le cose che sono - [sono] le idee; come [le idee sono] anche cause [del fatto] che le altre cose partecipano di esse […]».17
Col. III
«Cosicché […] [per queste stesse] ragioni, è necessario che la causa della partecipazione sia immobile; ciascuna delle idee è infatti immobile per queste ragioni e anche per il fatto che la generazione e la corruzione delle cose sensibili è eterna».
«È necessario» disse.
«Ma allora sembrerebbe [essere] così [scil. immobile] anche la principale e prima delle cause».
«Giustamente».
«Questa è infatti la causa di tutto e di tutte le idee […] reciprocamente […] niente di niente […] se infatti […]».
Col. IV
«Capisci, infatti […]».
«Assolutamente» disse.
«Ma allora, se partecipa di […] sarà primo; se non partecipasse […]».
«[…]» disse.
Come si vede, lo stato del papiro è frammentario al punto che i tentativi di ricostruzione non possono che essere, in certa misura, arbitrari. Ciononostante, è possibile individuare con discreta verosimiglianza alcuni nuclei argomentativi intorno ai quali il dialogo ruotava, nonché trarre delle conclusioni riguardo all’autore del dialogo partendo da alcune considerazioni lessicali e stilistiche. Pierre Hadot, il primo studioso ad avanzare delle congetture sul contenuto e la traduzione di questo passo, in un articolo scritto nel 1987 con Claude Rapin e Guglielmo Cavallo, stabilì alcuni punti che sono tutt’ora condivisi dalla critica, alcuni dei quali sono stati già anticipati: (1) si tratta di un dialogo filosofico sul modello di quello platonico; (2) si tratta di un dialogo “narrato” e non “drammatico”; (3) le dottrine discusse sono di tipo platonico, come emerge: (3a) dalla chiara distinzione tra αἰσθητά (II.4, II.24, III.12-13) e ἰδέαι (II.5, II.10, III.20, II.25, III.7-8) e (3b) dal richiamo alla dottrina della partecipazione, sia attraverso il verbo μετέχειν ο μετίσχειν (II.9, II.11, IV.8-9, IV.11) sia attraverso il sostantivo μέθεξις (III.7), più raro in Platone.18
Si possono fare, a questo punto, alcune considerazioni riguardo il contenuto concettuale del frammento in sé. Un primo dato evidente è che si distingue tra tre tipi di realtà: (1) i sensibili (II.4, III.12-13), (2) le idee (II.5, II.10, III.9, III.20), (3) la causa di tutte le cose, sensibili e idee (III.18-20). A partire da questa struttura ontologica, il testo che ci è pervenuto si sofferma in particolare sul concetto di causa, e più in particolare sulle modalità attraverso le quali la causalità si esplica attraverso questi tre livelli ontologici. In queste colonne si afferma verosimilmente che:
-
1) le cose sensibili partecipano delle idee e le idee partecipano tra di loro;
-
2) le idee sono la causa dei sensibili;19
-
3)le idee sono anche cause della partecipazione degli enti di esse stesse;
-
4)la causa della partecipazione è immobile;
-
5)le idee sono le cause della partecipazione dei sensibili (punto 3), dunque sono immobili;
-
6)ma anche le idee partecipano reciprocamente (punto 1), dunque deve esserci una ulteriore causa della partecipazione, anch’essa immobile;
-
7)tale causa prima, in quanto è causa delle idee (punto 6) e dunque, in senso lato, dei sensibili (punto 2), deve essere la causa di tutto e di tutte le idee.
Questi sono dunque i sette punti intorno ai quali ruota l’argomentazione, per cui possiamo distinguere tra i primi quattro punti, le premesse, e i successivi tre punti, che sono le conseguenze necessarie di tali premesse. Oltre ai sensibili e alle idee, come si vede, viene evocato un principio ulteriore, la causa prima, che trascende idee e sensibili: dal momento che tale principio ulteriore viene denominato perlopiù col nome di Uno in ambito accademico, questo termine verrà adottato qui, anche se non è utilizzato nel frammento, per riferirsi alla «causa di tutto e di tutte le idee».
A ben vedere, si possono individuare due tesi fondamentali nel frammento: 1) l’Uno è causa della partecipazione reciproca delle idee20 e le idee sono cause della partecipazione di esse stesse da parte dei sensibili; 2) la causa della partecipazione deve essere immobile, per cui tanto le idee quanto la loro causa, l’Uno, saranno immobili. Ma perché chiamare in causa l’immobilità delle idee? Hadot avanzò due ipotesi: o perché postulare idee immobili non riesce a spiegare il divenire, come afferma anche Aristotele (Met. Μ 5, 1079b12-15), o perché - dal momento che le forme sono immutabili, e dunque immobili - è necessario postulare un principio ulteriore per spiegare la loro reciproca partecipazione.21
Queste considerazioni sono svolte naturalmente solo sulle colonne II e III, vista la lacunosità della colonna IV, che ne impedisce una decifrazione convincente. Tuttavia è possibile pensare che l’autore del dialogo stia per avviare un attacco alla teoria precedentemente esposta, come potrebbe emergere dalla frase: «ma allora, se partecipa di […] sarà primo; se non partecipasse […]».22 Naturalmente questa è solo una congettura; se però si rivelasse appropriata, si potrebbe pensare a un’argomentazione che si articola secondo il procedimento logico del modus tollens, ovvero: se (i), allora (ii); ma non (ii), allora non (i).
Un Dialogo di Aristotele?
Una volta stabilito, sia pur a grandi linee, quale sia il contenuto del frammento, è naturale porsi la domanda circa l’autore del dialogo. La critica, seppur non all’unanimità, ha indicato Aristotele come il candidato più probabile. Tale attribuzione si fonda su tre ordini di considerazioni: di tipo storico, di tipo lessicale, di tipo filosofico.
In primo luogo, dunque, sono stringenti le considerazioni di ordine storico. La datazione alta del frammento impone di pensare a un ristretto numero di candidati: Eudosso di Cnido, Eraclide Pontico, Speusippo, Senocrate, Aristotele.23 Gli studiosi a questo punto hanno avanzato una considerazione: se è attestata la presenza di Clearco di Soli ad Ai Khanoum, si può ben supporre che sia stato proprio lui a portare il papiro in Battriana. Clearco ci viene descritto dalle fonti essenzialmente come un Peripatetico, nonostante i suoi interessi nei confronti di orfismo, pitagorismo e platonismo.24 È dunque assai probabile che egli abbia portato ad Ai Khanoum il papiro di un’opera di Aristotele piuttosto che di un altro Platonico.25
Si possono fare, in secondo luogo, delle considerazioni di ordine stilistico e lessicale. Il dialogo, come si diceva, è in forma “narrata”: proprio in questa forma, secondo Cicerone, erano composti i dialoghi di Aristotele.26 Ma si riscontrano anche delle importanti corrispondenze lessicali: 1) l’espressione τὸ αὐτὸ αἴτιον ricorre sei volte in Aristotele;27 2) l’espressione αἴτιον τῆς μεθέξεως ricorre anche in Met. Η 6, 1045b9; 3) il verbo μετίσχειν, che in Platone non è mai riferito alla nozione di partecipazione eidetica, è utilizzato con la stessa accezione in Met. Λ 10, 1075b19; 4) il termine ἀκίνητος non è mai impiegato da Platone in riferimento alle idee, ma Aristotele sostiene che le idee sono causa di immobilità e di quiete in Met. Α 7, 988b4 e che sono esse stesse immobili nel De ideis (fr. 5 Ross).28
Infine, anche il contenuto della discussione sembra suggerire Aristotele come autore. Tutti i temi di cui si occupa il frammento sono infatti attestati in alcuni luoghi delle opere dello Stagirita: 1) la dottrina per cui le idee sono modelli tra di loro è criticata in Met. Α 9, 991a29-b1;29 2) la generazione e la corruzione sono eterne per Aristotele, come emerge da GC II 10 e 11;30 3) in Met. Μ 10, 1087a3-4 si afferma che «l’elemento e il principio sono anteriori alle cose di cui sono principio ed elemento» (trad. Berti).31
In conclusione, l’ipotesi più valida stando ai dati forniti dal documento è che l’autore del testo sia Aristotele; ciò però non significa che le dottrine in esso contenute rispecchino nel loro complesso il pensiero dell’autore: conosciamo la frequenza delle sezioni dossografiche nelle opere dello Stagirita e sappiamo anche che nei dialoghi doveva essere suo costume de omnibus rebus in utramque partem dicere,32 come testimonia Cicerone. D’altro canto, è ormai assodato che Aristotele non sostenne mai la teoria platonica delle idee, neppure nelle sue opere giovanili.33 Il fatto che entrambi gli interlocutori sembrino concordare sull’esistenza delle idee non è eo ipso un elemento che possa portare ad escludere la paternità aristotelica,34 tanto più se la congettura riguardo alla col. IV è corretta; si potrebbe peraltro pensare anche a un dialogo con più interlocutori di cui ci è pervenuto solo un frammento della pars destruens.35 Di chi è dunque la dottrina riportata nel frammento?
Un Frammento di Senocrate?
In un contributo del 1992, Margherita Isnardi Parente ha suggerito con argomenti validi e convincenti l’attribuzione di questo frammento a Senocrate.36 In primo luogo, sostiene la studiosa, Senocrate poneva un Uno al di sopra delle idee (frr. 37 e 133 IP) e considerava l’idea «causa esemplare (αἰτίαν παραδειγματικήν) di tutte le cose che sussistono eternamente (ἀεί συνεστώτων) nell᾽ordine della natura» (fr. 14 IP): non si può fare a meno di rilevare il parallelo con l’insistenza quasi ossessiva del papiro sul concetto di αἴτιον, nonché l’occorrenza del termine ἀΐδιον, che ricorda l’ἀεί del fr. 14 IP. A ciò si aggiunga che Senocrate (fr. 178 IP) postulava una natura intellegibile costituita da idee coincidenti con i numeri, e questi ultimi erano composti da «vere enadi» (ἐξ ἐνάδων ἀληθινῶν): si comprende dunque che la “partecipazione reciproca” delle idee poteva ben essere spiegata considerando come tutte le idee fossero composte dagli stessi elementi.37 Nel frammento si parla poi di generazione e corruzione “eterna” dei sensibili (III.10-13): ciò implica l’eternità del mondo sensibile, affermata da Senocrate (frr. 73-78 IP) ma negata da Platone, almeno secondo Aristotele;38 peraltro Platone non attribuisce mai l’aggettivo ἀίδιος al sensibile, ma sempre al divino.39 Infine, sappiamo che Senocrate intendeva la relazione tra la specie e il genere come quella tra una parte e il tutto (fr. 42 IP), il che comporta necessariamente una partecipazione reciproca tra le idee.40
A questi argomenti se ne potrebbero aggiungere degli altri. C’è un passo del De anima nel quale Aristotele ricorda la dottrina di Senocrate secondo la quale «il vivente in sé è formato dall’idea stessa di uno e dalla prima lunghezza, larghezza e profondità, e che gli altri oggetti (τὰ δ’ ἄλλα) sono costruiti in modo simile»;41 dal commento di Temistio sappiamo che il «vivente in sé» è il cosmo intellegibile e che «gli altri» sono i sensibili: «infatti come i sensibili si comportano reciprocamente, così si comportano reciprocamente anche le idee di quelli».42 Anche in questo caso le coincidenze non sono poche: la menzione di τἄλλα in II.12 sottintende con ogni probabilità i sensibili e si parla di un’analogia di rapporti tra i sensibili e le idee, che potrebbe essere efficacemente posta in connessione con la nozione di partecipazione eidetica.43 In secondo luogo si può ricordare il passo di Metafisica Η 6 nel quale Aristotele critica il concetto di μέθεξις, affermando che i Platonici falliscono nell’indicare «qual è la causa della partecipazione (αἴτιον τῆς μεθέξεως) e in che consiste il partecipare (τὸ μετέχειν)».44 È possibile che anche in questo passo della Metafisica Aristotele alluda a una dottrina di Senocrate: in tutto il cap. 6 infatti sono richiamate una serie di dottrine matematiche e geometriche, ed è proprio «per quelli di oggi» - vale a dire, soprattutto Speusippo e Senocrate - che, secondo Aristotele, «le matematiche sono divenute [tutta] la filosofia».45
Infine, c’è un ultimo argomento a favore dell’attribuzione a Senocrate, fatto emergere da Silvia Fazzo (2020). Il verbo μετίσχει compare anche in un passo di Metafisica Λ, ma si tratta di un verbo rarissimo che non è mai associato, eccetto queste due occorrenze, alla dottrina delle idee. Il verbo «μετίσχω significa, come ἴσχω (intensivo di ἔχω), avere dentro, includere - ἴσχω infatti in appropriato contesto si trova anche a indicare lo stato di gravidanza» (p. 158). Da tale corrispondenza ella deduce che, tanto nel passo della Metafisica quanto nel papiro, si trovi rappresentata «una versione progredita (2.0, per così dire) della dottrina delle idee» (p. 159), dal momento che essa non coincide con la “versione” platonica e ha l’aria di essere uno sviluppo successivo. Ora, tale passo della Metafisica recita così:
Né c’è chi spieghi perché ci debba essere sempre generazione, né quale sia la causa della generazione. Anche […] quelli che pongono le idee hanno bisogno di dire che c’è un altro principio più forte (ἀρχὴ χυριωτέρα): altrimenti, perché [direbbero] «prende in sé» o «partecipa»? (διὰ τί γὰρ μετίσχει ἢ μετέχει;).46
Questo passo è estremamente interessante in riferimento al papiro di Ai Khanoum: non solo presenta, accanto all’occorrenza del verbo μετίσχει, la tesi secondo la quale la generazione è eterna - dunque ciò esclude l’ipotesi che la teoria in questione sia quella platonica - ma adombra una sorta di alternativa tra il verbo μετίσχει e quello μετέχει. Il verbo μετέχω, è noto, è quello impiegato da Platone per descrivere il rapporto di partecipazione che hanno i sensibili nei confronti delle idee; il verbo μετίσχω tuttavia non è mai adoperato da Platone con questo significato.47 «Quelli che pongono le idee» sono con ogni probabilità gli Accademici della cerchia di Senocrate, e tale «principio più forte» (ἀρχὴ χυριωτέρα) è da intendere evidentemente come l’Uno, ovvero ciò che (se la ricostruzione proposta è corretta) è indicato nel papiro come «la principale (κυριώτατον) e prima delle cause» (III.14-16). Ora, l’Uno è, per Senocrate, il principio che genera i numeri-idee, ed è dunque la loro causa (cfr. frr. 13, 37, 38 IP); ciò permetterebbe di tradurre ὅταν [ . . ] μετί̣σχει τ̣ῶ̣ν̣ ὄντων (II.9-10) come: «dal momento che [l’Uno] configura le cose che sono». Intendere “Uno” come soggetto sottinteso di μετίσχει sarebbe infatti un modo efficace di restituire un senso compiuto alla colonna: nonostante τὸ ἓν sia assente dal testo greco, si può congetturare che esso fosse presente nelle righe precedenti e che costituisse l’argomento di questa sezione del dialogo. La scelta di tradurre μετίσχει come “configura” (piuttosto che come “prende in sé” di Fazzo) è dettata dalla peculiarità del suo impiego: il soggetto sottinteso è precisamente ciò di cui tendenzialmente gli enti partecipano. Il senso dunque è che l’Uno inerisce alle cose che sono - ovvero alle idee - in modo individuale - facendo sì che ciascuna di esse abbia quella specifica configurazione - e trasversale - rendendole partecipi le une delle altre e capaci di essere a loro volta causa di altro. Il verbo μετίσχω infatti sembrerebbe costituire, in un certo senso, il correlativo del verbo μετέχω: se il sensibile μετέχει dell’idea, l’idea μετίσχει del sensibile (o l’Uno delle idee). In questo senso la congiunzione ἢ di Metafisica Λ disgiungerebbe due diversi verbi che indicano lo stesso fenomeno da due prospettive differenti.48
Come si vede, ci sono molteplici ragioni per attribuire la dottrina del passo in questione a Senocrate, e nonostante alcuni studiosi abbiano avanzato delle obiezioni a tale operazione esegetica,49 nessuna proposta alternativa altrettanto valida è stata ad oggi avanzata.
Un Frammento del De Philosophia?
Se l’indagine finora svolta suggerisce di considerare il dialogo come aristotelico e la dottrina in esso esposta come senocratea, resta da accertare l’opera di cui questo frammento faceva parte. Alcuni studiosi hanno suggerito che si trattasse del perduto Sofista aristotelico,50 ma la maggior parte di essi ha proposto il De philosophia come candidato più plausibile.51 Nel libro II di tale opera, infatti, Aristotele si occupava della dottrina eidetica, criticando la nozione di numero ideale (fr. 11a Ross = 24 Gigon) ed esponendo le dottrine dei Platonici inerenti alla generazione delle grandezze (frr. 11b, f Ross = 31-32 Gigon). Ora, da testimonianze parallele nella Metafisica,52 è possibile ricondurre tali dottrine a Senocrate e ad altri Platonici. A ciò si aggiunga che anche il passo del De anima su menzionato, il quale illustra la dottrina di Senocrate, è da considerare probabilmente come un frammento del De philosophia.53 Ne possiamo trarre una conclusione alquanto lineare: il libro II del De philosophia, piuttosto che costituire un attacco al solo Platone, si occupava di una esposizione critica delle dottrine dei Platonici contemporanei di Aristotele e più in particolare di Senocrate, per il quale - come si diceva - «le matematiche sono divenute [tutta] la filosofia».54
Si può fare infine una considerazione di ordine storico. Se è attendibile la ricostruzione secondo la quale fu Clearco a portare ad Ai Khanoum il papiro, è plausibile ritenere che ci fossero anche delle ragioni dottrinarie per le quali egli era legato a quest’opera. Noi sappiamo che il libro I del De philosophia si occupava dei Magi persiani (fr. 6a R = 23 G), nonché di Orfeo (frr. 7a-b R = 26-27 G) e delle massime delfiche (fr. 3a R = 28 G):55 ora, i Magi, Orfeo e le massime delfiche erano tre grandi interessi di Clearco di Soli, come ci attestano i frammenti residui.56 È opportuno riconoscere che nessuno degli argomenti finora presentato è decisivo in senso stretto; tuttavia, presi nel loro insieme, essi costituiscono senz’altro un corpus di consistenti indizi che rende quanto mai probabile la tesi dell’attribuzione di questo frammento al De philosophia.
Conclusioni
Si possono trarre, a questo punto, una serie di conclusioni. Il ritrovamento del papiro di Ai Khanoum costituisce una scoperta sensazionale da un punto di vista archeologico e filosofico, sia per la rarità con cui si verificano episodi di questo tipo sia per il carattere inedito del testo. Dato il pessimo stato di conservazione, è possibile solo trarre conclusioni che abbiano non più di un certo margine di probabilità; molti studiosi pertanto si sono dedicati, nell’ultimo mezzo secolo, a raccogliere indizi che permettessero di determinare con più chiarezza alcuni dati circa l’autore e il testo del papiro.
Possiamo così sintetizzare in breve i risultati delle ricerche: il testo è stato prodotto a cavallo tra IV e III secolo a.C. e si occupa di problematiche accademiche, concernenti in particolare la questione della μέθεξις. Il suo autore è con ogni probabilità Aristotele e il frammento è plausibilmente una reliquia del suo perduto dialogo De philosophia, nel II libro del quale egli si occupava di problematiche ontologiche accademiche. Più in particolare, gli studiosi hanno individuato in Senocrate l’autore della dottrina esposta nel frammento, destinata presumibilmente a essere criticata nelle perdute colonne successive. Un frammento di una stele in roccia calcarea ci rivela la presenza di un eminente personaggio di nome Clearco nella città di Ai Khanoum, più o meno contemporaneamente alla data di compilazione del papiro: dei confronti incrociati ci permettono di identificarlo con discreta verosimiglianza con il filosofo peripatetico Clearco di Soli; ciò consentirebbe di spiegare con plausibilità la presenza di un frammento aristotelico a più di cinquemila chilometri da Atene.
Il contributo particolare del presente articolo, oltre a puntualizzare lo status quaestionis tramite una panoramica degli studi prodotti finora e dei risultati raggiunti, consiste nel proporre una nuova ricostruzione del testo del papiro, che ritocca in alcuni punti quella già suggerita da Isnardi Parente nel 1992; da tale ricostruzione, che cerca di restituire con più verosimiglianza una leggibilità alle tracce di inchiostro nella colonna II, deriva anche una nuova traduzione, nella quale viene particolarmente valorizzato il verbo greco μετίσχει, che passa quasi inosservato nelle altre edizioni. Vengono inoltre prodotti ulteriori argomenti a sostegno dell’attribuzione della dottrina a Senocrate, del frammento al De philosophia aristotelico e del ruolo di latore dell’opera fino ad Ai Khanoum al filosofo peripatetico Clearco di Soli.
Tutte queste conclusioni, come si è già accennato, non sono che congetture: l’assenza di ipotesi più plausibili e la convergenza di un gran numero di dati, tuttavia, tendono a suggerire l’attendibilità dell’esito delle ricerche qui proposte. Ne consegue che occorre ricalibrare in modo consistente la nostra concezione dei rapporti tra la Grecia e l’Oriente, valutando tutta la portata della presenza di un’opera come il De philosophia - che si occupava di sapienza antica, filosofia accademica e pensiero aristotelico - e di un filosofo come Clearco di Soli, dagli interessi enciclopedici, in uno snodo commerciale e culturale come la città di Ai Khanoum, greca nella sua origine eppure geograficamente prossima più alle civiltà dell’Estremo Oriente che a quelle mediterranee.57
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1
Ringrazio in particolar modo il Prof. Francesco Verde per aver discusso con me la ricostruzione testuale, la traduzione e l’interpretazione di questo testo, offrendo preziosi consigli e suggerimenti; ogni eventuale errore è naturalmente da ricondurre al sottoscritto.
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2
Discussa è l’identificazione del sito con l’antica Alessandria sull’Oxus, suggerita da alcuni studiosi (cfr. Dorandi 2014, p. 66) e negata da altri (cfr. Hoffmann 2016, n. 1 pp. 165-66 e Boffo 2017, p. 228).
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3
Lyonnet 2012, pp. 157-59 e Martinez-Sève 2020, pp. 357-60 propongono come datazione per la fondazione il regno di Antioco I (281-61 a.C.).
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5
Il resoconto delle scoperte si trova in Schlumberger-Bernard 1965 e Bernard 1978, ripreso poi da Hoffmann 2016.
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7
Cfr. Hoffmann 2016, pp. 180-84, il quale - vagliato lo status quaestionis - propende per una datazione alta.
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8
Robert 1968, p. 422, trad. mia.
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9
Robert 1968, p. 424.
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10
Cfr. Verhasselt 2022, pp. 533-35, che suggerisce di confrontare i frammenti di Ai Khanoum con la lista di massime delfiche proposta dal codex Vratislavensis Rehdigeranus gr. 12 piuttosto che con la più frequentata lista di Sosiade (apud Stobeo II 1, 173), in quanto la stele di Ai Khanoum conferma in due luoghi le lezioni del codex.
- 11
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12
Robert 1968, pp. 441-57.
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13
Su Clearco e i Sette Sapienti cfr. Verhasselt 2022, pp. 517-32.
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14
Cfr. i frr. 6, 12-13 e 42-58 Dorandi.
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15
Cfr. Hadot 1987, p. 248; Dorandi 2006, pp. 50-52 e 2014, pp. 66-67; Rougemont 2012, pp. 202-08; Hoffmann 2016, pp. 203-28; Boffo 2017; Auffret 2019, pp. 44-51; Verhasselt 2022, pp. 532-43; le reliquiae dell’iscrizione figurano nelle edizioni dei frammenti di Clearco di Taifacos (fr. 134) e Dorandi (frr. 102-104). Più scettici sull’identificazione del Clearco dell’epigramma con Clearco di Soli sono Narain 1987, pp. 274-78 e Lerner 2003-2004, pp. 392-94.
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16
La ricostruzione del testo si basa essenzialmente su quella proposta da Isnardi Parente 1992, la quale, a mio avviso, più delle altre riesce a offrire un testo coerente e compiuto pur mantenendosi esegeticamente prudente. I punti in cui mi sono distaccato da Isnardi Parente sono indicati nell’apparato. È opportuno ricordare, d’altro canto, che il pessimo stato di conservazione dei resti non permette di avanzare altro che congetture, e ogni proposta di ricostruzione conserva inevitabilmente un certo grado di arbitrarietà.
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17
Questo è il passo dove maggiormente la presente traduzione si distacca dalle altre. La costruzione della frase è assai problematica (Hadot 1987 e La Croce 1989 rinunciano tout court a tradurla) ed è stata variamente resa; quasi tutti i traduttori intendono come soggetto un “principio” non è menzionato nel testo. Alle righe II.7-8 Sedley (apud Vendruscolo 1997, n. 11 p. 147) e Lerner 2003a suggeriscono τ̣ο̣[ῦ σ]υ[γγε]ν̣οῦ̣ς, ma la congettura è esclusa da Rapin come incompatibile con le tracce di inchiostro (http://claude.rapin.free.fr/3Textes_Akhpapyrus1.htm); altre ricostruzioni sono costrette a emendare il testo (cfr., nell’apparato, τ̣ο̣ῦ̣ in II.8 in luogo di τω; la congettura di un ν alla fine di II.9 per costruire un’infinitiva; la ricostruzione οὐδ̣ε̣ν[̣ὸς] in II.9, ma i resti sembrano incompatibili con una υ o una ε), ma sembra azzardato ipotizzare una sua corruzione (cfr. Vendruscolo 1997, p. 149), dal momento che si tratta probabilmente una copia diretta dell’originale e le lacunosità impediscono di ottenere una ricostruzione indubitabile. La soluzione che mi sembra più plausibile per II.8 è che τὸ αὐτὸ αἴτιον regga il genitivo τ̣ῶ̣[ν αὐτῶν] (congettura mia), riferito agli αἰσθητά di II.4. In II.9, invece, mi sembra plausibile ipotizzare (con Auffret 2019 e Cavallo 1987, p. 240) un μὲν che preceda il δέ di II.12 e, a seguire, ὅταν è l’unica parola che si integri in modo efficace con le tracce di inchiostro (cfr. Cavallo 1987, p. 240). È difficile dire quali siano le due lettere che seguono ὅταν: l’ipotesi di un οὐ stravolgerebbe il senso più intuitivo e riterrei prudente non colmare la lacuna. È probabile poi che τὰς ἰδέας sia predicato nominale di τὸ αὐτὸ αἴτιον, piuttosto che di τῶν ὄντων (Isnardi 1992, p. 170): entrambi i sintagmi potrebbero essere all’accusativo e dipendere da un verbo precedente, plausibilmente ϕάμεν, il quale regge un’infinitiva con copula sottintesa. Questa costruzione, per quanto complessa, è a mio avviso la più plausibile tenendo conto della complessità e della lacunosità del passaggio. Sull’“Uno” come soggetto del verbo μετίσχει, cfr. infra, pp. 17-18.
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18
Hadot 1987, pp. 245-46.
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19
Non si può intendere τῶν αὐτῶν come se fosse riferito alle idee, in quanto τὰς ἰδέας può intendersi solo come predicato nominale di τὸ αὐτὸ αἴτιον.
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20
Il concetto di partecipazione reciproca delle idee è ben presente in Platone: cfr. Phaed. 104b sgg., Resp. V 476a sgg. e soprattutto Soph. 254b sgg.; cfr. anche Fronterotta 2001, pp. 125-28.
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21
Hadot 1987, pp. 246-47.
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22
Auffret 2019 propone una ricostruzione più completa e articolata della col. IV, ma il testo è talmente lacunoso che ogni proposta rimane estremamente congetturale.
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23
Si consideri però che le opere di Speusippo e Senocrate non conobbero grande diffusione in età ellenistica (Isnardi 1992, pp. 176-77), al contrario di quelle di Aristotele (Berti 1988, p. 39), mentre i frammenti di Eraclide Pontico non suggeriscono un suo interesse verso i problemi trattati nel frammento del papiro (cfr. Hoffmann 2016, p. 198 e Bonazzi in CPF, pp. 5-6; pace Privitera 2011, p. 132, che suggerisce il Περὶ εἰδῶν o un altro dialogo di Eraclide).
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25
Cfr. Bernard 1978, p. 458, Hadot 1987, p. 248, Isnardi 1992, pp. 177-78, Hoffmann 2016, pp.203-28, Verde 2022b, pp. 141-42. Contra La Croce 1989, p. 70.
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26
Cicerone, Ad Atticum XIII 19.4. Bonazzi (in CPF, p. 6) rileva che lo stile del testo non rispecchia l’eleganza dei dialoghi aristotelici elogiata da Cicerone (Ac. II 38, 119; Top. I 3), ma è difficile esprimere valutazioni oggettive sullo stile di un testo in tale stato di conservazione, la cui ricostruzione si affida in larga parte a congetture. Inoltre, nulla può escludere la presenza di un passo più arduo in un’opera complessivamente eloquente e dallo stile ornato.
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27
An. Pr. II 17, 99a1; GA IV 4, 772b13, V 3, 785a8, Long. 1, 464b23, Meteor. II 4, 361a6, IV 3, 380b6.
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28
Cfr. Hadot 1987, p. 248, Fazzo 2020.
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29
Cfr. Hadot 1987, p. 248, contra La Croce 1989, p. 71.
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30
Cfr. Hadot 1987, p. 248; ancora una volta scettico La Croce 1989, p. 71.
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31
Cfr. Isnardi 1992, p. 184.
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32
Cicerone, De or. III 21, 80; cfr. De fin. V 4, 10 dove si afferma che ab Aristoteleque principe de singulis rebus in utramque partem dicendi exercitatio est instituta, in contrasto con Arcesilao, il quale era uso argomentare contra omnia semper.
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34
Come pure pensano La Croce 1989, p. 72 e Bonazzi in CPF, p. 6; cfr. Rapin 1992, p. 121: «la technique propre au dialogue permettait à l'auteur d'exprimer aussi bien ses propres idées que celles d'un adversaire, ou de conduire le répondant, par des arguments purement didactiques et artificiels, dans une impasse».
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35
Così Isnardi 1992, n. 24 p. 183.
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36
Isnardi 1992, pp. 185-88; ancora in 2012, dove è considerato il fr. 186 [dubbio] IP. È possibile escludere altri candidati per ragioni dottrinarie: Speusippo rinunciò alle idee tout court, mentre Eudosso ricorse alla teoria alla mescolanza: cfr. Isnardi 1992, p. 185-86, Hoffmann 2016, p. 197, Bonazzi in CPF, p. 5.
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37
Hoffmann 2016, pp. 199-200 considera però questo argomento debole.
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38
Cfr. DC I 10, 280a30-32 e Phys. Θ 1, 251b17.
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39
Cfr. Isnardi 1992, n. 26 pp. 185-86.
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40
Come già aveva suggerito Hadot 1987, p. 246, accostando questo passo a Met. Α 9, 991a29-b1 ≈ Μ 5, 1079b31-35.
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41
De anima Α 2, 404b19-21, trad. Movia. L’attribuzione del passo a Senocrate è in verità discussa, ma particolarmente convincenti sono gli argomenti portati da Cherniss 1944, pp. 565-80, seguito da Theiler 1959, pp. 94-95, Tarán 1981, pp. 459-60, Fronterotta 1993, p. 145 e altri.
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42
Temistio, In de an. 11.27-12.4 ≈ fr. 178 IP.
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43
D’altro canto II.11-12 potrebbe anche essere tradotto così: «[le idee] [sono] anche cause [del fatto] che le altre cose partecipano tra di esse (τούτων) […]». Questa traduzione, per quanto meno plausibile, sarebbe altrettanto accettabile, e renderebbe la corrispondenza con il passo del De anima ancora più stretta.
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44
Met. Η 6, 1045b8-9, trad. Berti.
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45
Met. A 9, 992a32-33, trad. Berti.
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46
Met. Λ 10 1075b16-20, trad. Fazzo (legg. mod.); cfr. Fazzo 2012, pp. 303-05.
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47
Cfr. gli unici tre impieghi in Resp. III 411d3, Phil. 56c6 e Tim. 58e4, che suggeriscono - come nel caso del papiro - una funzione regolatrice e ordinatrice della natura della quale il soggetto della proposizione μετίσχει, nonostante tale natura non abbia in Platone una evidente caratterizzazione eidetica. La scarsità delle attestazioni del termine non ci permette di cogliere l’ampiezza della portata di questa dottrina.
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48
Fazzo 2012, p. 305 sostiene che il verbo μετέχει sia «chiamato a chiarire» μετίσχει, «traducendolo in linguaggio più corrente»; la mia proposta è invece che i due verbi abbiano significati affatto opposti e complementari.
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49
Cfr. ad esempio Hoffmann 2016 pp. 198-201 e Forcignanò 2017, p. 175. Auffret 2019, p. 33 è persuaso che la dottrina discussa sia quella di Platone.
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50
Cfr. Isnardi 1992, pp. 181-82 e 2012, pp. 337-41, Hoffmann 2016, pp. 201-03 e Forcignanò 2017, p. 174. Del Sofista sopravvive un solo frammento (fr. 1 Ross = 39 Gigon) che non ha un contenuto compatibile con il frammento del papiro, ma l’ipotesi degli studiosi è che l’opera fosse concepita come contraltare del Sofista platonico, che dunque fosse un dialogo e vertesse sul problema della μέθεξις.
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51
Già Hadot 1987, p. 248, seguito da Berti 1988, Dorandi 1989, p. 196, Auffret 2019, Bonazzi in CPF, p. 6. Cfr. in particolare Auffret (2019, pp. 35-44), per un confronto con alcuni passi della Metafisica di Teofrasto, che suffragherebbe l’identificazione dell’opera con il De philosophia. Anche il De bono e il De ideis si occupavano della dottrina platonica, ma solo per il De philosophia è attestata la forma dialogica (cfr. DP, test. 2 Ross).
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52
Cfr. Met. Α 9, 992a10 sgg. e Μ 9, 1085a7 sgg., passi affini a Met. Ν 3, 1090b20-32 (= Senocrate, fr. 38 IP).
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53
È infatti il fr. 11c Ross; Gigon lo considera invece un frammento del De bono (fr. 97, 1). Auffret 2019, pp. 52-53 richiama anche il fr. 9 Ross, ma l’attribuzione al De philosophia è incerta (per Gigon è il fr. 952 ohne Buchangabe).
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54
Met. Α 9, 992a32-33, trad. Berti. A queste ragioni Auffret 2019, pp. 52-61 aggiunge un interessante parallelismo tra Metafisica Α 9 e il De philosophia, il quale permetterebbe di vedere il frammento del papiro come uno step argomentativo con una collocazione ben precisa nell’economia tanto del cap. 9 di Met. Α quanto del perduto dialogo.
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55
Più incerti ma di medesimo indirizzo sono i frr. 3b R (= 26 G); 4 R (= 29 G), 1 R (= 709 [Πλατωνικά] G).
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56
Sui Magi cfr. il fr. 12 Dorandi; sull’Orfismo cfr. Schorlemmer 2022 e sulle massime delfiche cfr. supra, pp. 5-7. Verde 2022a e 2022b, pp. 127-142 sottolinea poi come Clearco fosse legato più all’Aristotele “perduto” che alle opere esoteriche; sulla stessa linea Auffret 2019, pp. 47-52.
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Purtroppo qui non ho potuto tener conto dello studio di E. Benati e P.S. Horky (The Aristotle in Afghanistan Papyrus. A New Conjecture (P. Ai Khanoum, Col. II 8-9), in «Philologia Philosophica» 4, 2025, pp. 71-92) che è stato pubblicato mentre questo articolo era già in fase di revisione. La proposta degli studiosi di individuare in un frammento del Περὶ λέξεως di Eudemo di Rodi sull'argomento del Terzo Uomo (fr. 50 SOD&G) una polemica con il testo tradito dal papiro mi pare assai interessante: se l’autore del dialogo nel papiro fosse effettivamente Aristotele, avremmo così una ulteriore prova dell’influenza dei suoi testi nella cerchia dei suoi discepoli, i quali intraprendevano un confronto intellettuale anche con le sue opere essoteriche.
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PASANISI, D. (2025). Il Papiro di Ai Khanoum, frammento di Senocrate e di Aristotele: Alcune proposte testuali ed esegetiche. Archai 34, e03521.
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Disponibilità dei dati
Non applicabile.
Edited by
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Editore:
Beatriz de Paoli e Eduardo Wolf
Data availability
Non applicabile.
Publication Dates
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Publication in this collection
21 Nov 2025 -
Date of issue
2025
History
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Received
17 Oct 2024 -
Accepted
12 Apr 2025
