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Strategie di mediazione nel processo di integrazione tra immigrati e chiesa locale. Esperienza di pastorale giovanile interculturale in contesto Tedesco

Mediation strategies in the integration process between immigrants and local church. Experience of youth intercultural pastoral service in Germany

Questo breve testo è una riflessione che ha come base un percorso pastorale della Chiesa Locale tedesca, assunto anche dalla Congregazione delle Suore Missionarie Scalabriniane fin dai primi anni ’90, che è culminato in un progetto in cui ho lavorato dal 2010 fino alla fine del 2014. Le analisi che presento di seguito includono, talvolta, anche esperienze e riflessioni che rispecchiano parte della mia propria esperienza migratoria di seconda generazione, figlia di italiani residenti in territorio tedesco.

Destinatari del progetto al quale faccio riferimento in questo testo erano - e lo sono tutt’oggi - giovani migranti di prima, seconda e talvolta anche terza generazione; ossia, giovani con Migrationshintergrund. L’esperienza fa riferimento alla diocesi di Essen, una delle diocesi con maggior numero di immigrati. Trattasi di un progetto pilota per la diocesi di Essen, iniziato nel 2010, assunto come Pastorale Giovanile Interculturale1 1 Sul tema della pastorale giovanile nella Chiesa cattolica vedi: TONELLI, Riccardo. Fare pastorale giovanile. In ISTITUTO DI TEOLOGIA PASTORALE. Pastorale Giovanile. Sfide, prospettive ed esperienze. Leumann (TO): Elledici 2003, 157-182. , con una progettazione impostata su 5 anni.

Contesto

La storia dell’immigrazione nella Ruhr Gebiet, zona in cui si situa il progetto, sin dal secolo XIX è direttamente relazionata all’industria dell’estrazione del carbone, che ha attratto molti operai dalla vicina Polonia e altri paesi limitrofi. Nel secondo dopo guerra, tuttavia, quando la manodopera era diventata scarsa a causa delle perdite umane del conflitto, la Germania ebbe bisogno di un numero maggiore di lavoratori. Così il governo tedesco ha stipolato degli accordi bilaterali, prima con l’Italia e poi con la Turchia, recrutando manodopera, soprattutto maschile. La concezione inerente all’accordo era che quando terminasse la necessità di lavoratori il flusso sarebbe stato interrotto e gli immigrati presenti in territorio tedesco sarebbero ritornati nello loro terre di origine. Lo Stato tedesco, in sostanza, pensava all’importazione provvisoria di manodopera. Nascevano così i famosi “Gastarbeiter”, gli operai ospiti. In realtà, come la storia ci insegna, i primi migranti si sono radicati nel territorio ed è iniziato il ricongiungimento famigliare, con tutte le sue caratteristiche. I Gastarbeiter sono diventati, poco a poco, parte integrante della società2 2 Cf. ZANFRINI, Laura. Introduzione alla sociologia delle migrazioni. Milano: Laterza, 2016. Soprattutto il quarto capitolo su “Convivenza interetnica”. .

L’atteggiamento dello Stato nei confronti dei Gastarbeiter, ossia la provvisorietà e, quindi, l’assenza di una vera politica d’inserimento nel tessuto sociale nazionale, è stato assunto, in parte, anche dalla Chiesa cattolica. Sono nate così le comunità cum cura animarum, oggi chiamate comunità etniche. Allora, come oggi, sono conosciute come missioni (per) italiani, spagnoli, croati, etc. Vere e proprie parrocchie con sacerdoti e religiose della stessa nazionalità. Luoghi dove si riproducevano tradizioni religiose e culturali della nazione d’origine. Con lo sforzo delle chiese di partenza e destinazione, si creavano le condizioni affinché i fedeli potessero vivere la propria fede così come la vivevano in patria. Luoghi in cui respirare aria di patria e dove gli immigrati si sentivano a casa, anche se di fatto erano ospiti in terra d’immigrazione. Tuttavia, nonostante la chiesa locale mettesse a disposizione strutture, risorse finanziarie e, talvolta, anche umane - il che mostra che esisteva un certo legame con la chiesa locale - di fatto si creava un modello di chiesa parallela a quella territoriale. Ciò che è venuto meno con questo modello pastorale, da entrambe le parti, era lo sforzo di creare occasioni di comunione e integrazione reciproca. Dettata dal presupposto di fondo che gli stranieri fossero Gastarbeiter - ospiti di passaggio -, la pastorale supponeva che gli immigrati non avessero intenzione di restare e, quindi, che non ci fosse un concreto bisogno d’integrazione.

Alcune iniziative sparse

Dopo qualche decennio, tuttavia, si cominciava a intravedere che le cose stavano cambiando: le famiglie erano radicate nella società sempre più stabilmente; i figli iniziavano a frequentare le scuole superiori, lavoravano e formavano nuovi nuclei famigliari. Le seconde generazioni, sempre più inserite nel tessuto sociale tedesco, manifestavano il desiderio di abbandonare i sogni dei genitori ed intraprendere nuovi progetti. Così, negli anni ’90, missionari, religiose e laici consapevoli di questi cambiamenti ed aperti a collaborare con la chiesa tedesca, divennero come ponti tra le comunità etniche e la chiesa locale, favorendo iniziative e progetti che permettevano di abbattere le barriere visibili e invisibili che si erano create3 3 Sull’azione della Chiesa cattolica in contesto migratorio vedi: MIOLI, Bruno. Guida di pastorale migratoria; TOMASI, Silvano. Migrazione e cattolicesimo in un contesto globale; TASSELLO, Giovanni Graziano (org.). Enchiridion della Chiesa per le Migrazioni. Documenti magisteriali ed ecumenici sulla pastorale della mobilità umana (1887-2000). .

Diverse attività di reciproco incontro sono state realizzate: le celebrazioni tra comunità etniche e chiesa locale, la partecipazione mutua nelle feste patronali o la presenza attiva di giovani stranieri nei consigli pastorali tedeschi e comitati vari. Questi stessi giovani sono diventati anche rappresentanti delle rispettive comunità in organismi o incontri diocesani. Nei primi anni ’90, quando ero ancora una giovane di seconda generazione e italiana, sono stata eletta dalla comunità parrocchiale tedesca come membro del Consiglio Pastorale. Alcuni anni dopo, invitata dalle Suore Scalabriniane, ho fatto parte di un progetto di intercambio con il Brasile, integrando un gruppo di giovani tedeschi della Diocesi.

Tra questi piccoli segni d’apertura, che erano legati soprattutto alla disponibilità dei leader delle singole comunità, è nato nella diocesi di Colonia il primo ufficio diocesano che si occupava dei giovani stranieri. Nella diocesi di Stoccarda nascevano i primi incontri interculturali tra giovani italiani e tedeschi, metting in cui partecipano giovani di varie nazionalità.

Progetto Pilota

Personalmente ho avuto il privilegio di far parte della fase preliminare di un progetto pilota, che mi ha permesso, in modo graduale, di fare esperienze di interculturalità4 4 Sul tema dell’intercultura vedi: CARO, Milva. Giovani migranti e la rielaborazione identitaria in contesto migratorio; FORNET-BETANCOURT Raúl. Trasformazione interculturale della filosofia. Bologna: Dehoniana, 2006. in modo unico e di vivere un processo instituzionale singolare, che presento oggi, con lo sguardo del poi. Il vissuto del processo mi ha permesso di sentire e comprendere i bisogni e i valori dei vari attori, visti da differenti prospettive. La mia stessa vita religiosa scalabriniana ha contribuito nel percorso realizzato e determinato molte scelte e sfumature del percorso, così come ha fortificato il cammino d’interculturalità del progetto di Pastorale Giovanile Interculturale della diocessi di Essen.

Il progetto è stato costruito con la collaborazione ampia e articolata di vari attori dell’istituzione ecclesiale locale e con il sostegno e le consultorie di specialisti e coordinatori della pastorale migratoria a livello nazionale ed europeo. Le esperienze e le competenze di molti attori sono confluite in una proposta di pastorale giovanile interculturale svolta tra il 2010 e il 2015. Tutto era da impostare e da sviluppare in una diocesi dove la presenza di stranieri superava il 18% dalla popolazione. Era chiaro che un lavoro di pastorale giovanile interculturale poteva avere la sua importanza, ma le modalità e il fine non erano per niente chiari all’inizio del percorso. Non si sapeva quali strategie adottare a priori e neppure si poteva avere la certezza di un risultato visibile e concreto. Elemento questo da non sottovalutare in una nazione dove progetti, metodo e risultati sono indicatori molto importanti per decidere di promuovere o meno un progetto.

Sono certa - e lo ero allora - che i tempi erano maturi anche a livello diocesano, perché la chiesa locale assumesse la responsabilità di quella parte di cattolici che erano in qualche modo in un “limbo”, ossia i giovani migranti di seconda e terza generazione. La singolarità del progetto si dava anche per la fatica di iniziare qualcosa di nuovo in risposta ad un problema vecchio, poco pensato pastoralmente, nonostante le evidenze, perchè esigeva un cambio di paradigma.

L’avvio del progetto si strutturò su tre linee guida:

  • La proposta concreta alla diocesi, nata da una riflessione e un’analisi della realtà, da parte mia e della Congregazione.

  • I giovani immigrati e discendenti di immigrati, considerati non solo come destinatari, ma come gli interlocutori più idonei ad un discorso di interculturalità e apertura alla diversità.

  • Il desiderio da parte della diocesi di sostenere un progetto che promovesse l’integrazione.

Questi erano i punti di riferimento su cui tutti gli attori concordavano. Tutto il resto era da costruire insieme. Alcuni elementi pratici però erano definiti fin dall’inizio:

  • Il progetto si doveva impostare su 5 anni; dopodiché si decideva se dare continuità o meno. Naturalmente, con valutazioni intermedie.

  • Questo nuovo progetto sarebbe diventato un ufficio diocesano e non sarebbe legato ad una parrocchia o a un centro né ad alcuna istituzione ecclesiale. La posizione istituzionale direttamente legata alla struttura diocesana ha segnato il processo e l’ha fortificato.

  • Gli Uffici di riferimento per la supervisione e l’articolazione, nella Diocesi, erano all’inizio l’ufficio di pastorale giovanile e l’ufficio di pastorale migratoria. Dopo qualche anno, il diretto responsabile era l’ufficio di pastorale giovanile.

  • La pastorale giovanile e migratoria favorivano l’accesso alle varie comunità etniche, come anche alla struttura della pastorale giovanile.

Tre obiettivi principali hanno guidato il percorso:

  1. Raggiungere una maggiore conoscenza e valorizzazione reciproca tra chiesa locale e gioventù migrante

  2. Coscientizzare tutti gli attori che la pastorale interculturale deve diventare parte integrante della pastorale giovanile.

  3. Rendere il giovane migrante protagonista nell’ambito ecclesiale, in generale, e nell’organizzazione della pastorale giovanile interculturale, in particolare, per garantire la continuità e la corresponsabilità.

Strategie di lavoro

Il lavoro è stato impostato poggiandosi molto sui rapporti interpersonali, particolarmente nelle comunità etniche, con i giovani migranti e sul rispetto e la valorizzazione delle varie tradizioni e valori da entrambe le realtà: quelle etniche come quella locale. Tali rapporti si sono sviluppati e consolidati, soprattutto, attorno alla partecipazione alle celebrazioni eucaristiche ed alle festività delle comunità etniche.

Altre strategie prioritarie di lavoro sono state:

  • Individuare i leaders delle varie comunità, soprattutto quelli che avevano un legame diretto oppure responsabilità sui giovani e gruppi giovanili.

  • Promuovere celebrazioni eucaristiche interculturali;

  • Partecipare agli incontri dei vari organismi della pastorale giovanile tedesca;

  • Promuovere e favorire la partecipazione di giovani migranti ad attività giovanili tedesche e viceversa.

Mediante queste strategie di lavoro si cercava di mostrare nelle comunità etniche che la diocesi si occupava di loro, che si poteva percorrere un cammino insieme o costruire ponti. Negli organismi tedeschi, si trattava di promuovere la consapevolezza della pressnza di una realtà giovanile migratoria che non poteva essere ignorata nella progettazione di attività giovanili.

Un aspetto fondamentale in questo lavoro è stato lo sforzo per cercare di liberare entrambe le parti da preconcetti, stereotipi e forme di ignoranza reciproca. La meta era fare incontrare giovani con storie/valori/tradizioni diversificati. Era necessario, quindi, un paziente lavoro di mediazione, conoscenza reciproca, rispetto e accoglienza.

In Germania sono presenti numerose ed efficaci iniziative per favorire una migliore convivenza e promuovere una mentalità giovanile interculturale, nelle scuole, negli ambiti sportivi e nelle associazioni. Anche la Caritas fa un ottimo lavoro. La pastorale giovanile, tuttavia, pur non escludendo i contatti e i rapporti con tutte queste istituzioni, mirava in particolare all’esperienza della fede vissuta in comunità. Questo progetto si concentrava in quell’aspetto della vita dei giovani nella Chiesa, che riguarda la loro esperienza di fede cristiana. E se da una parte è vero che nessuno è straniero nella Chiesa, è pure vero che proprio nella Chiesa ancora oggi c’è tanta divisione. La fede, gli aspetti spirituali, sono molto legati a ciò che il giovane riceve nella famiglia e dalla tradizione della propria nazione. Dipendendo della fase della storia migratoria in cui un giovane si trova, cambia il suo rapporto, sia con la comunità etnica, sia con la sua stessa fede. Allora, una pastorale giovanile interculturale non è solo un’attenzione della Chiesa locale verso una fetta specifica del popolo cattolico, ma diventa talvolta l’unico modo di accompagnare i giovani, autoconi o con storia migratoria, a vivere nell’attenzione alla diversità un’esperienza di fede cristiana.

Questo è il principale risultato di tutto il progetto: quando un giovane riesce a fare una profonda esperienza di fede nell’accoglienza della diversità in quell’istante si sta compiendo il disegno di Dio di fare un popolo solo. Questo è un risultato che difficilmente si può misurare o quantificare. Il lavoro consiste, più che altro, nel seminare.

I principali risultati della pastorale giovanile interculturale nella diocesi di Essen possono essere così identificati:

  • Continuità del progetto/ufficio della pastorale giovanile interculturale dopo i 5 anni;

  • Riconoscimento e consolidazione dell’ufficio all’interno della pastorale giovanile diocesana e parte integrante dei 7 settori che costituiscono l’ufficio giovanile (scuola, volontari, caritas, progetti, etc.);

  • Diverse attività diocesane come gemellaggi, dialogo interculturale giovanile, tra le altre, atualmente sono di responsabilità dell’ufficio della Pastorale Giovanile Interculturale;

  • Riconoscimento e collaborazione dell’ufficio con altri uffici diocesani e collaborazione in progetti particolari come, per esempio, la preghiera per i cristiani perseguitati;

  • Maggiore sensibilità e attenzione nei vari uffici diocesani al tema dell’immigrazione e dei profughi.

Alcune sfide

Le principali sfide avute e forse in parte ancora oggi da affrontere sono:

  1. I giovani sono inseriti abbastanza bene nelle scuole, nel lavoro e nella società, quindi sono ben inseriti. La sfida è di non sottovalutare, nel contesto ecclesiale, l’influenza dell’appartenenza etnica nella vita di questi giovani, con i propri valori, abitudini e tradizioni, con il rischio di favorire, con le scelte pastorali, il loro abbandono della comunità cristiana;

  2. La maggioranza autoctona tende a dimenticare l’attenzione e la sensibilità verso le minoranza. La sfida è che la posizione di maggioranza non diventi motivo di chiusura, ma che si lasci lo spazio all’azione dello Spirito Santo che parla anche attraverso le minoranze;

  3. Tutti parliamo la stessa lingua. Tuttavia anche se parliamo la stessa lingua, il tedesco, non è detto che i concetti siano identici, proprio perchè l’influenza culturale della famiglia ha un’ascendente molto grande com sfumature diverse a seconda della storia migratoria di ciascuno5 5 Un interessante studio di Lourdes Rovira presenta il ruolo dell’idioma materno come diritto umano da riconoscere e proteggere per la vita dei giovani migranti (Cf. ROVIRA, Lourdes. The relationship between language and identity. The use of home language as a human right of the immigrant. REMHU, Revista Interdisciplinar da Mobilidade Humana, v. 16, n. 31, 2008, p. 63-82). ;

  4. Far emergere nel giovane migrante o figlio di miganti la grande risorsa che è in lui/lei. La sfida è non inglobare il giovane nel tessuto ecclesiale locale senza far emergere la sua doppia appartenenza come una grande positività.

La Germania, dopo una lunga storia d’immigrazione e con l’aumento di flussi recenti, si è autoriconosciuta come nazione d’immigrazione (Einwanderungsland) a livello ufficiale, trasformando il termine con cui si riferisce agli immigrati da Gastarbeiter a Einwanderer/Fluechtlinge. Questa cambio di rotta a livello politico favorisce atteggiamenti e leggi nuovi che probabilmente modificheranno grande parte del tessuto sociale tedesco. Tutta la nazione cerca di promuove una convivenza e un’integrazione pacifica e rispettosa, consapevole delle grande sfide che deve affrontare.

La chiesa cattolica è favorita in questo processo perchè lo straniero è parte integrante nella storia biblica6 6 Cf. DI SANTE, Carmine. Lo straniero nella bibbia. Vedi anche: BENTOGLIO, Gabriele. Stranieri e pellegrini – Icone bibliche per una pedagogia dell’incontro. Milano: Paoline, 2007; KÖPPEL, Urs. Elementi per una “teologia biblica della migrazione” e le aspettative rivolte alla Chiesa. REMHU, Revista Interdisciplinar da Mobilidade Humana, v. 15, n. 28, 2007, p. 181-195. . Il rispetto e l’accoglienza dello straniero sono elementi fondamentali di salvezza e la misura con la quale si è giudicati. In questo senso l’interculturalità è una struttura fondante e bussola per ogni azione pastorale. La Chiesa deve riconoscere come un dono e una ricchezza la presenza del migrante nel suo interno, perchè questo le permette di vivere la sua cattolicità. Fare pastorale giovanile interculturale con i giovani migranti è valorizzarli e includerli nella construzione della Chiesa. Essi non devono essere costretti a cambiarsi artificialmente per essere accettati o per avere il loro posto nella Chiesa7 7 Cf. LUSSI, Carmem. Migrações e alteridade na comunidade cristã. Ensaio de teologia da mobilidade humana. .

Vorrei terminare con un breve esperienza. Durante un grande evento a Essen, “la settimana interculturale” nel 2014, mi si accosta una donna della Palestina pensando che ero palestinese. Io portavo una sciarpa con i colori della bandiera della Giordania, che sono identiche a quelle della Palestina, solo che la Giordania ha una stella all’interno. Questo pretesto ci ha permesso di dialogare come potevamo, perchè lei non capiva bene il tedesco. Era con lei una ragazza appena arrivata dalla Siria. Guardo questa ragazza un po’ spaesata in un ambiente per lei così sconosciuto e le dico Welcome, dandole un bel sorriso e una stretta di mano. Dopo circa 5 minuti di conversazione con la Signora in tedesco, ci salutiamo cordialmente e saluto con tanto affetto la ragazza siriana con un ripetuto, Welcome, Welcome in Germany! Già in procinto di andare, avendo già fatto i primi passi per riprendere la propria strada, lei si volge indietro, mi viene incontro e mi abbraccia con forza. Ci sorridiamo e entrambe sappiamo che qualcosa di unico è accaduto. Tutto ciò è avvenuto dopo una lunga storia migratoria e nella consapevolezza che i migranti, più che essere aiutati, devono essere accolti come sono.

Io, personalmente, sono il risultato di due e forse anche tre mondi. Genitori italiani, cresciuta in Germania, amante del Brasile e del mondo, ma la capacità di fare sintesi, di accogliermi, la devo a persone che, affianco a me, mi hanno aiutato ad accogliere la diversità che è in me come forza e valore e non come un’estraneità. Questo è il senso di questo progetto. Accettare e accogliere la diversità che è in me e nell’altro come valore da donare.

Sono grata alla diocesi di Essen, che si è fidata, nel 2010, ad intraprendere un cammino verso una meta non del tutto chiara, ma che oggi si sta configurando come una risposta correta ad una domanda molto forte, che pochi anni primi non risucivano nemmeno a formulare concretamente. Oggi altre persone portano avanti il processo, già non piú come progetto pilota, ma come aspetto della chiesa locale, istituzionalemente assunto e strutturato.

Bibliografia

  • CARO, Milva. Giovani migranti e la rielaborazione identitaria in contesto migratorio. REMHU, Revista Interdisciplinar da Mobilidade Humana, v. 16, n. 31, 2008, p. 317-324.
  • DI SANTE, Carmine. Lo straniero nella bibbia Troina (EM): Città Aperta, 2002
  • LUSSI, Carmem. Migrações e alteridade na comunidade cristã. Ensaio de teologia da mobilidade humana Brasília: CSEM, 2015.
  • MIOLI, Bruno. Guida di pastorale migratoria Roma: SIMI/CSER/CSERPE, 2014.
  • TASSELLO, Giovanni Graziano (org.). Enchiridion della Chiesa per le Migrazioni. Documenti magisteriali ed ecumenici sulla pastorale della mobilità umana (1887-2000) Bologna: EDB, 2001.
  • TOMASI, Silvano. Migrazione e cattolicesimo in un contesto globale. Concilium, v. XLIV, n. 5, 2008, p. 17-40.
  • 1
    Sul tema della pastorale giovanile nella Chiesa cattolica vedi: TONELLI, Riccardo. Fare pastorale giovanile. In ISTITUTO DI TEOLOGIA PASTORALE. Pastorale Giovanile. Sfide, prospettive ed esperienze. Leumann (TO): Elledici 2003, 157-182.
  • 2
    Cf. ZANFRINI, Laura. Introduzione alla sociologia delle migrazioni. Milano: Laterza, 2016. Soprattutto il quarto capitolo su “Convivenza interetnica”.
  • 3
    Sull’azione della Chiesa cattolica in contesto migratorio vedi: MIOLI, BrunoMIOLI, Bruno. Guida di pastorale migratoria. Roma: SIMI/CSER/CSERPE, 2014.. Guida di pastorale migratoria; TOMASI, SilvanoTOMASI, Silvano. Migrazione e cattolicesimo in un contesto globale. Concilium, v. XLIV, n. 5, 2008, p. 17-40.. Migrazione e cattolicesimo in un contesto globale; TASSELLO, Giovanni GrazianoTASSELLO, Giovanni Graziano (org.). Enchiridion della Chiesa per le Migrazioni. Documenti magisteriali ed ecumenici sulla pastorale della mobilità umana (1887-2000). Bologna: EDB, 2001. (org.). Enchiridion della Chiesa per le Migrazioni. Documenti magisteriali ed ecumenici sulla pastorale della mobilità umana (1887-2000).
  • 4
    Sul tema dell’intercultura vedi: CARO, MilvaCARO, Milva. Giovani migranti e la rielaborazione identitaria in contesto migratorio. REMHU, Revista Interdisciplinar da Mobilidade Humana, v. 16, n. 31, 2008, p. 317-324.. Giovani migranti e la rielaborazione identitaria in contesto migratorio; FORNET-BETANCOURT Raúl. Trasformazione interculturale della filosofia. Bologna: Dehoniana, 2006.
  • 5
    Un interessante studio di Lourdes Rovira presenta il ruolo dell’idioma materno come diritto umano da riconoscere e proteggere per la vita dei giovani migranti (Cf. ROVIRA, Lourdes. The relationship between language and identity. The use of home language as a human right of the immigrant. REMHU, Revista Interdisciplinar da Mobilidade Humana, v. 16, n. 31, 2008, p. 63-82).
  • 6
    Cf. DI SANTE, Carmine DI SANTE, Carmine. Lo straniero nella bibbia. Troina (EM): Città Aperta, 2002. Lo straniero nella bibbia. Vedi anche: BENTOGLIO, Gabriele. Stranieri e pellegrini – Icone bibliche per una pedagogia dell’incontro. Milano: Paoline, 2007; KÖPPEL, Urs. Elementi per una “teologia biblica della migrazione” e le aspettative rivolte alla Chiesa. REMHU, Revista Interdisciplinar da Mobilidade Humana, v. 15, n. 28, 2007, p. 181-195.
  • 7
    Cf. LUSSI, CarmemLUSSI, Carmem. Migrações e alteridade na comunidade cristã. Ensaio de teologia da mobilidade humana. Brasília: CSEM, 2015.. Migrações e alteridade na comunidade cristã. Ensaio de teologia da mobilidade humana.

Publication Dates

  • Publication in this collection
    Jan-Apr 2018

History

  • Received
    14 Mar 2018
  • Accepted
    13 Apr 2018
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