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Il problema dell’invisibilità e l’eloquenza delle piccole cose: riflessioni sui punti di forza della ricerca qualitativa

Ho conosciuto il mondo accademico brasiliano - la sua vivacità e il suo calore - lo scorso settembre, quando fui ospite presso le università di Pelotas, Ribeirao Preto e Porto Alegre per un ciclo di conferenze sulla ricerca qualitativa, legato alla traduzione in portoghese di un mio lavoro11. Cardano M. Manual de pesquisa qualitativa: a contribuição da teoria da argumentação, Petrópolis: Vozes; 2017. . Ogni viaggio imprime nella memoria di chi lo compie un insieme composito di ricordi, su cui il tempo interviene, alterandone l’intensità e creando nuove - talvolta inattese - combinazioni. Questo accade anche per la versione più seriosa del viaggio, il viaggio di studio.

Ripensando al mio soggiorno in Brasile e alle ragioni che mi portarono laggiù, due immagini emergono prepotentemente dai miei ricordi, le poesie di Mario Quintana e la bellissima canzone di Antonio Carlos Jobim, Águas de março. Dapprima accostati nei miei pensieri e, ora che scrivo, sul mio tavolo, trovo la raccolta di poesie di Mario Quintana A cor do invisivel e il CD Elis & Tom che contiene la straordinaria interpretazione di Águas de março di Elis Regina e Tom Jobim. A seguito delle mie lezioni all’università di Porto Alegre, visitai la Casa della Cultura Mario Quintana, costruita nell’Hotel Majestic che, per molti anni, ospitò il poeta gaúcho. Fra le sue raccolte di poesie, una in particolare attirò la mia attenzione, A cor do invisìvel, che tornato in Italia, lessi nella traduzione di Natale Fioretto. Cercai nell’indice del testo le poesie, o almeno, la poesia dedicata esplicitamente all’invisibile; ma non la trovai. Dapprima deluso, capii poi che di quell’invisibile era possibile cogliere solo l’ombra, intuirne il colore e che ogni esplicita definizione - ancorché poetica - avrebbe tradito lo spirito di quel lavoro. Il colore dell’invisibile si coglie immergendosi nelle cose semplici di cui parlano le liriche di Quintana, per poi dirigere lo sguardo al di là, nella tensione verso il loro significato. Qualcosa di simile accade nell’ascolto di Águas de março, per Chico Buarque, «il samba più bello del mondo»22. Cabral S. Antonio Carlos Jobim: uma biografia, São Paulo: Companhia Editora Nacional; 2008.. Come noto, Águas de março compone in rapida successione una serie di immagini che ritraggono la quotidianità della vita brasiliana: o pau, a pedra, um pedaço de pão, o projeto da casa, o carro enguiçado e molto altro ancora. Nella lirica di Tom Jobin, troviamo il medesimo interesse per le piccole cose semplici, al centro della poetica di Quintana, ma anche un’interessante - almeno nella prospettiva di questa riflessione - richiamo al tema dell’invisibilità. Fra le immagini rutilanti di Águas de março, troviamo quella di Matita-Pereira, un folletto dispettoso del folklore brasiliano, che indossa un cappello magico che, come l’anello di Gige di cui parla Platone nella Repubblica, gli consente di diventare invisibile. Ebbene i temi dell’invisibilità e quello delle piccole cose, della loro speciale importanza consentono di cogliere le peculiarità della ricerca qualitativa e di questo mi occuperò in quel che segue, prima, però, una concisa definizione di ricerca qualitativa pare opportuna.

La ricerca qualitativa è tutto tranne che un monolito, un insieme compatto di pratiche di ricerca scolpite sulla stessa materia teorica e epistemologica. La ricerca qualitativa è un insieme plurale di stili di ricerca, differenti per ascendenza teorica e pratiche di ricerche. Indubbiamente differenti gli uni dagli altri, questi modi di fare di ricerca mostrano alcune “somiglianze familiari" importanti. Dette somiglianze, oltre a identificare le tracce pertinenti alla ricerca qualitativa, aiutano a riconoscere quello che la separa dalla ricerca quantitativa. Sono tre le tracce di ricerca qualitativa in cui quest’aria familiare viene presentata: l’armonizzazione delle procedure di costruzione dei dati con il contesto del suo uso, l’osservazione approssimativa, la multivocalità della scrittura nella ricerca qualitativa, le procedure della costruzione dei dati assumono delle configurazioni diverse a seconda del contesto interattivo nel quale prendono forma. La formulazione di una domanda, in una intervista, per quanto riguarda la forma come, nel corso di una ricerca etnografica, il ricercatore osserverà e, fino ad un certo punto, parteciperà ad una pratica interattiva, cambierà di volta in volta, armonizzando con i cambiamenti circostanziali dell’area. Per inserirlo in uno slogan: nella ricerca qualitativa, non sono i partecipanti che devono adattarsi al metodo proposto, ma è il metodo che deve adattarsi ai partecipanti. La seconda caratteristica attinente alla ricerca qualitativa è la sua vocazione ad una osservazione approssimativa, ad uno stile di ricerca che preferisce l’approfondimento dei dettagli per la ricostruzione del quadro generale, gli studi intensivi realizzati su di un numero ridotto di casi, anziché studi estensivi. L’ultima traccia degna di nota è il carattere multivocale, polifonico della scrittura con la quale i risultati di una ricerca qualitativa vengono consegnati al lettore. Con poche eccezioni, i testi che producono i risultati di una riocerca qualitativa sono basati su di una forma di “orchestrazione” tra la voce del ricercatore e quella dei partecipanti.

La storia della scienza, e dunque anche quella delle scienze sociali, è caratterizzata da un costante confronto con il problema paradossale dell’osservazione dell’inosservabile. Un nodo ontologico e metodologico che la scienza ha affrontato muovendo due leve, quella dello sviluppo tecnologico e quello dell’elaborazione di congetture, di «entità teoriche», capaci di legare l’osservabile all’inosservabile. Microscopi sempre più potenti, la scoperta dei raggi X hanno consentito alla medicina di vedere l’infinitamente piccolo, di superare la barriera dell’epidermide, e vedere dentro i corpi. In fisica, il confine fra visibile e invisibile si è progressivamente spostato, ma neppure nella scienza più matura è stato totalmente cancellato.

Nelle scienze sociali, dove la leva dello sviluppo tecnologico ha poca presa, il problema dello studio dell’invisibile conserva tutta la propria rilevanza. Non è consueto pensare alle nostre pratiche di ricerca in questa prospettiva, ma, di fatto, quel che sappiamo sulla società si basa su informazioni riferite sì, a fenomeni osservabili, ma, in misura ben più consistente a fenomeni inosservabili. Sono osservabili i comportamenti, ad esempio la sequenza di gesti con i quali si procede alla medicazione di una ferita chirurgica, così come osservabili sono anche i prodotti del comportamento, l’enorme edificio del manicomio di San Pedro, di Porto Alegre, i dipinti dei pochi internati ancora rinchiusi fra quelle mura. È invece inosservabile, invisibile, tutto quello che sta nella testa di chi lavora nel manicomio e di chi vi è rinchiuso. Gli atteggiamenti, le credenze i valori, il significato associato alle proprie azioni dall’umanità dolente degli internati e da chi condivide con loro quello spazio di cura e custodia. Qualcuno potrebbe dire: ma in fin dei conti si tratta solo di credenze, di pensieri, che impatto possono avere sul mondo? Ebbene, abbiamo imparato dai classici che quell’impatto è decisamente rilevante. Ne Il contadino polacco in Polonia e in America, pubblicato nel 1968, William Thomas e Florian Znaniecki33. Thomas WI, Znaniecki F. Il contadino polacco in Europa e in America (1918-1920). Milão: Comunità; 1968. elaborano un concetto fondamentale per il nostro lavoro, quello di «definizione della situazione», una categoria cognitiva (gli autori la definiscono atteggiamento) che guida l’agire degli individui. Nel decidere il corso da imprimere alle proprie azioni gli individui non reagiscono meccanicamente all’ambiente nel quale si trovano, ma a come lo raffigurano nella loro mente. Da ciò il noto «teorema di Thomas» per il quale se gli uomini definiscono reali certe situazioni, esse saranno reali nelle loro conseguenze. Se io sono convinto di poter volare e decido di spiccare il volo dal mio balcone, anche se la credenza sulle mie capacità di volo è infondata, le sue (tragiche) conseguenze saranno reali. Quando nella vita di un individuo irrompe una malattia severa, il modo nel quale questa esperienza verrà vissuta e quello nel quale il sofferente ricomporrà i frammenti della sua identità contusa, dipenderà dalle lacerazioni che la malattia avrà inferto al suo corpo, ma anche dal modo nel quale rappresenterà la propria condizione ed elaborerà una spiegazione - cognitiva e morale - del suo emergere44. Frank A. The wounded storyteller: body, illness and ethics, Chicago: University of Chicago Press; 1995..

Accedere a questi territori invisibili è dunque fondamentale e nel farlo il ricercatore sociale adotta un modus operandi che presenta numerose analogie con quello del medico ottocentesco. Privo degli strumenti della tecnologia medica contemporanea, che consentono di osservare gli organi interni, il medico dei primi anni dell’Ottocento approdava alla diagnosi attraverso la meticolosa rilevazione dei segni della malattia accessibili al suo sguardo e dei sintomi denunciati dal sofferente. Prendeva nota, ad esempio, dello stato della cute e delle mucose, delle eventuali alterazioni posturali, auscultava il torace per rilevare la frequenza cardiaca, per poi farsi descrivere dal paziente i sintomi che accusava, ad esempio un senso di persistente oppressione al petto o la vista appannata. Segni e sintomi venivano poi accostati per procedere, per successive esclusioni (diagnosi differenziale) all’individuazione della sindrome, di quello stato inosservabile, responsabile dei segni e dei sintomi rilevati. Potendo contare solo su un insieme decisamente rudimentale di strumenti (di norma, un fonendoscopio e un orologio da polso), il medico approdava alla diagnosi attivando una forma di «sapere indiziario»55. Ginzburg C. Mitos, emblemas, sinais: morfologia e história. São Paulo: Companhia das Letras; 1989., istituendo un legame fra gli stati osservabili e la condizione - invisibile - di un organo malato. In modo analogo, il ricercatore sociale si propone di tratteggiare il profilo di un insieme di credenze, di cogliere il senso riposto nelle azioni combinando un insieme composito di indizi colti nei comportamenti e, soprattutto, nel linguaggio, attraverso il ricorso all’interlocuzione. Al riguardo torna utile ricordare le parole dell’antropologo francese, Dan Sperber66. Sperber D. Le savoir des anthropologues, Paris: Heramann; 1982., che su questi temi sostiene quel che segue.

È impossibile descrivere bene un fenomeno culturale, un’elezione, una messa o una partita di calcio, per esempio, senza tener conto dell’idea che se ne fanno coloro che vi partecipano; ora le idee non si osservano, si comprendono intuitivamente, e non si descrivono, si interpretano 6 6. Sperber D. Le savoir des anthropologues, Paris: Heramann; 1982. .

Nel ricorso a questa forma di sapere indiziario, celebrata nella letteratura popolare dal personaggio di Sherlock Holmes, creato da Conan Doyle, emerge - nitida - una differenza fra il medico ottocentesco e il ricercatore sociale77. Eco U, Sebeok TA. O Signo de três, São Paulo: Perspectiva; 2008.. Nel consulto clinico è ragionevole assumere che il sofferente renda al medico tutta la cooperazione di cui è capace, al netto delle sue capacità cognitive e del pudore che talvolta avvolge la produzione di discorsi sul proprio corpo e sulle sue funzioni. Questo grado di cooperazione, di compliance, è tutt’altro che garantito nel contesto della ricerca sociale. È davvero difficile credere che le persone che interpelliamo sul loro modi di vedere il mondo, sui loro ideali o, nell’impossibilità di osservarli direttamente, sui loro comportamenti abituali, rispondano con il medesimo grado di cooperazione che fornirebbero in un consulto clinico. Il sociologo canadese Erving Goffman88. Goffamn E. A representação do eu na vida cotidiana, Petrópolis: Vozes; 2018., che ha fatto dell’interazione nella vita quotidiana il proprio oggetto di studio, ha eloquentemente documentato come ciò che più preme alle persone nelle interazioni sociali - e dunque anche nell’interazione costituita con una specifica ricerca - sia «salvare la faccia», evitare imbarazzi, brutte figure, anche se a questo scopo occorre aggiustare un poco le risposte rese a un intervistatore o limare, sotto lo sguardo indiscreto di un osservatore, gli aspetti più spigolosi del proprio comportamento88. Goffamn E. A representação do eu na vida cotidiana, Petrópolis: Vozes; 2018.. In sintesi, si può dire che nello studio dei fenomeni sociali la cooperazione dei partecipanti sia insieme indispensabile e incerta.

Ed è su questo terreno, scivoloso, che la ricerca qualitativa offre un contributo rilevante. I suoi tratti distintivi, in specifico l’armonizzazione al contesto in studio e l’osservazione ravvicinata (vedi più sopra) mettono a disposizione del ricercatore una ricca messe di informazioni su quel che si propone di rilevare, ma anche, sul grado di cooperazione dei partecipanti. In un’intervista discorsiva i partecipanti debbono esprimersi con parole proprie, costruire i discorsi che consegnano al ricercatore e non già mettere una crocetta su di un questionario. Nel comporre i loro discorsi, nel farlo imprimendo loro una specifica coloritura emotiva, i partecipanti forniscono preziosi indizi55. Ginzburg C. Mitos, emblemas, sinais: morfologia e história. São Paulo: Companhia das Letras; 1989. sul grado di cooperazione resa. Con l’osservazione ripetuta, tipica della ricerca etnografica, le informazioni sul grado di cooperazione dei partecipanti si fanno ancora più ricche. Il tempo trascorso insieme consente al ricercatore di mettere a frutto quelle virtù investigative su cui si è soffermato Jack Douglas99. Douglas JD. Investigative social research: individual and team field research. Beverly Hills: Sage; 1976., di imparare a superare le barriere che i partecipanti erigono a protezione dei confini del loro mondo internob b L’aggettivo “investigativo” fa riferimento non ad una nuova accezione poliziesca oppure disciplinare della ricerca sociale, ma sì al giornalismo investigativo, che Douglas vede emblematicamente rappresentato da Lincoln Steffens, autore di importanti cronache sulla corruzione politica e economica nell’America dell’inizio del secolo scorso. Ciò che Douglas incoraggia a fare è, innanzitutto, l’adozione di una disposizione critica, di una forma di scetticismo sistematico rispetto a cosa le persone coinvolte nello studio e da cui abbiamo conquistato la fiducia, ci dicono e ci consentono di osservare. Douglas si riferisice al nucleo di questa disposizione con un motto: “ci sono molte cose più dubbie e immorali di quelle che appaiono sotto i nostri occhi”(9:66). . Inoltre, il tempo trascorso insieme consente - talvolta e non necessariamente - ai partecipanti di attenuare i sospetti nei confronti del ricercatore, di nutrire una tenue fiducia nei suoi confronti e, anche in questo caso, l’osservazione ravvicinata propria della ricerca qualitativa consente di accertare questo cambio di passo, di cogliere l’affiorare di una forma di cooperazione più marcata. Per concludere su questo aspetto, mi sento di affermare che l’apertura, la flessibilità, la focalizzazione su pochi casi propri della ricerca qualitativa forniscono alla ricerca sociale l’attrezzatura più promettente nello studio dell’invisibile, grazie alla disponibilità di una messe ricca e composita di informazioni sulla cooperazione dei partecipanti. Sin qui l’eco delle suggestioni di Quintana e del suo sforzo a tratteggiare il colore dell’invisibile.

Il secondo tratto della ricerca qualitativa, richiamato più sopra, quello di un’osservazione ravvicinata, tesa più a mettere a fuoco i dettagli, le sfumature proprie di un contesto sociale la sospinge verso il mondo delle piccole cose, evocato da Antonio Carlos Jobim. La ricerca qualitativa si occupa degli aspetti, talvolta i più minuti, della vita quotidiana nella convinzione che, come dice un motto zen: «una cosa piccola non è una piccola cosa». Questa vocazione, la stessa che guida lo sguardo di Tom Jobim verso una pietra, un pezzo di vetro o una spina nella mano, ha sostenuto l’accusa più comune rivolta alla ricerca qualitativa, quella di aneddoticitàc c Patton riporta una fra le espressioni più icastica di questa critica con le parole di Benson: «The plural of anedocte is not evidence»(10:31). . Nella mia difesa - deliberatamente accorata - della ricerca qualitativa non intendo contestare il suo carattere aneddotico, ma semmai celebrarlo. Lo farò riproponendo le riflessioni di Michael Quinn Patton raccolte nella quarta (e, per ora, ultima) edizione del suo manuale Qualitative Research & Evaluation Methods1010. Patton MQ. Qualitative research & evaluation methods. Thousand Oaks: Sage; 2015.. La tesi di Patton, che faccio mia, è che un singolo evento, una piccola cosa su cui si decide di appuntare l’attenzione può essere particolarmente eloquente, può gettare luce su di un insieme di tratti culturali estremamente profondi e diffusi. Patton mi persuade riproponendo un aneddoto che ci riporta nell’India coloniale(10:32). L’aneddoto racconta la vicenda della signora Montgomery, che una sera, nel far ritorno a casa lungo un sentiero, preceduta come di consueto dal suo domestico, incappò in uno fra i più velenosi serpenti dell’India. Il domestico che lo vide, intimò alla signora di fermarsi; questa non lo sentì e il domestico si vide costretto a infrangere la regola che impediva ai domestici di toccare il corpo dei padroni: spinse indietro la Signora Montgomery poggiando la mano sulla sua spalla. Pur consapevole di dover la vita al proprio domestico, la signora Montgomery si determinò a licenziarlo, poiché questi aveva infranto la sacra regola che impedisce il contatto fisico fra servo e padrone. È evidente che si tratta davvero di una piccola cosa, ma che, tuttavia, dice molto sulla cultura dei coloni inglesi dell’epoca e della loro rappresentazione della popolazione indianad d Tecnicamente, l’aneddoto commentato nel testo si configura come un «caso critico»(1:80-3). . La buona ricerca qualitativa si muove nella direzione additata da Patton, alla ricerca di aneddoti, alla ricostruzione di eventi minuti, di contesti sociali circoscritti - in una parola: di piccole cose - cui affidare il compito di gettare luce - autorevolmente - su fenomeni sociali di più vasta portata. E non di rado ci riesce.

Riferimenti Bibliografici

  • 1
    Cardano M. Manual de pesquisa qualitativa: a contribuição da teoria da argumentação, Petrópolis: Vozes; 2017.
  • 2
    Cabral S. Antonio Carlos Jobim: uma biografia, São Paulo: Companhia Editora Nacional; 2008.
  • 3
    Thomas WI, Znaniecki F. Il contadino polacco in Europa e in America (1918-1920). Milão: Comunità; 1968.
  • 4
    Frank A. The wounded storyteller: body, illness and ethics, Chicago: University of Chicago Press; 1995.
  • 5
    Ginzburg C. Mitos, emblemas, sinais: morfologia e história. São Paulo: Companhia das Letras; 1989.
  • 6
    Sperber D. Le savoir des anthropologues, Paris: Heramann; 1982.
  • 7
    Eco U, Sebeok TA. O Signo de três, São Paulo: Perspectiva; 2008.
  • 8
    Goffamn E. A representação do eu na vida cotidiana, Petrópolis: Vozes; 2018.
  • 9
    Douglas JD. Investigative social research: individual and team field research. Beverly Hills: Sage; 1976.
  • 10
    Patton MQ. Qualitative research & evaluation methods. Thousand Oaks: Sage; 2015.
  • b
    L’aggettivo “investigativo” fa riferimento non ad una nuova accezione poliziesca oppure disciplinare della ricerca sociale, ma sì al giornalismo investigativo, che Douglas vede emblematicamente rappresentato da Lincoln Steffens, autore di importanti cronache sulla corruzione politica e economica nell’America dell’inizio del secolo scorso. Ciò che Douglas incoraggia a fare è, innanzitutto, l’adozione di una disposizione critica, di una forma di scetticismo sistematico rispetto a cosa le persone coinvolte nello studio e da cui abbiamo conquistato la fiducia, ci dicono e ci consentono di osservare. Douglas si riferisice al nucleo di questa disposizione con un motto: “ci sono molte cose più dubbie e immorali di quelle che appaiono sotto i nostri occhi”(9:66).
  • c
    Patton riporta una fra le espressioni più icastica di questa critica con le parole di Benson: «The plural of anedocte is not evidence»(10:31).
  • d
    Tecnicamente, l’aneddoto commentato nel testo si configura come un «caso critico»(1:80-3).
  • Erratum

    Nell’articolo “Il problema dell’invisibilità e l’eloquenza delle piccole cose: riflessioni sui punti di forza della ricerca qualitativa”, pubblicato nel volume 39, 2018: DOI: 10.1590/1983-1447.2018.82654 e identificazione: e82654.
    Nel paragrafo 2, dove è stato scritto: “[...] : o pau, a pedra, um pedaço de pão, o projeto da casa, o carro enguiçado [...]”
    Dovresti leggere: “[...] : il legno, la pietra, un pezzo di pane, il progetto di una casa, un’automobile in panne [...]”
    Nel paragrafo 3, dove è stato scritto: “[...] mostrano alcune “somiglianze familiari” importanti. Dette somiglianze, oltre a identificare le tracce pertinenti alla ricerca qualitativa, aiutano a riconoscere quello che la separa dalla ricerca quantitativa. Sono tre le tracce di ricerca qualitativa in cui quest’aria familiare viene presentata: l’armonizzazione delle procedure di costruzione dei dati con il contesto del suo uso, l’osservazione approssimativa, la multivocalità della scrittura nella ricerca qualitativa, le procedure della costruzione dei dati assumono delle configurazioni diverse a seconda del contesto interattivo nel quale prendono forma. La formulazione di una domanda, in una intervista, per quanto riguarda la forma come, nel corso di una ricerca etnografica, il ricercatore osserverà e, fino ad un certo punto, parteciperà ad una pratica interattiva, cambierà di volta in volta, armonizzando con i cambiamenti circostanziali dell’area. Per inserirlo in uno slogan: nella ricerca qualitativa, non sono i partecipanti che devono adattarsi al metodo proposto, ma è il metodo che deve adattarsi ai partecipanti. La seconda caratteristica attinente alla ricerca qualitativa è la sua vocazione ad una osservazione approssimativa, ad uno stile di ricerca che preferisce l’approfondimento dei dettagli per la ricostruzione del quadro generale, gli studi intensivi realizzati su di un numero ridotto di casi, anziché studi estensivi. L’ultima traccia degna di nota è il carattere multivocale, polifonico della scrittura con la quale i risultati di una ricerca qualitativa vengono consegnati al lettore. Con poche eccezioni, i testi che producono [...]”
    Dovresti leggere: “[...] mostrano alcune importanti “somiglianze di famiglia”. Queste somiglianze, oltre a identificare i tratti pertinenti della ricerca qualitativa, aiutano a riconoscere quello che la separa dalla ricerca quantitativa. Sono tre i tratti della ricerca qualitativa nei quali è dato di cogliere quest’aria di famiglia: l’armonizzazione delle procedure di costruzione dei dati al contesto del loro impiego, l’osservazione ravvicinata la multivocalità della scrittura. Nella ricerca qualitativa, le procedure della costruzione dei dati assumono delle configurazioni diverse a seconda del contesto interattivo nel quale prendono forma. La formulazione di una domanda, in una intervista, il modo nel quale, nel corso di una ricerca etnografica, il ricercatore osserverà e – in una certa misura – parteciperà a una pratica interattiva, varieranno di volta in volta, armonizzandosi alle mutevoli contingenze del campo Per dirlo con uno slogan: nella ricerca qualitativa, non sono i partecipanti che devono adattarsi al metodo proposto, ma è il metodo che deve adattarsi ai partecipanti. Il secondo tratto distintivo della ricerca qualitativa è la sua vocazione ad una osservazione ravvicinata, a uno stile di ricerca che predilige l’approfondimento del dettaglio alla ricostruzione del quadro d’insieme gli studi intensivi realizzati su di un numero ridotto di casi, anziché studi estensivi. L’ultimo tratto degna di nota è il carattere multivocale, polifonico della scrittura con la quale i risultati di una ricerca qualitativa vengono consegnati al lettore. Con poche eccezioni, i testi che consegnano al lettore [...]”
    Nel paragrafo 5, dove è stato scritto: “[...] pubblicato nel 1968 [...]”
    Dovresti leggere: “[...] pubblicato nel 1918 [...]”
    Nel paragrafo 8, dove è stato scritto: “[...] sui loro ideali [...]”
    Dovresti leggere: “[...] sui loro valori [...]”

Publication Dates

  • Publication in this collection
    30 Aug 2018
  • Date of issue
    2018
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