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Il Parmenide phusikos e il meccanismo di Antikitera: Risposta alle osservazioni di N.-L. Cordero (Archai 25, 2019)

The Parmenides physikos and the Antikitera mechanism: A Response to N.-L. Cordero (Archai 25, 2019)

Parole chiave:
Broton doxai; Dottrine naturalistiche.

Keywords:
Broton doxai; Naturalistic doctrines

Tra il Decano del Collegio dei Cittadini Onorari di Elea (cioè Néstor) e me è in corso una disputa a distanza che ormai ha diversi anni alle spalle. È iniziata, infatti, con le sue Lezioni Eleatiche del 2006, che convenimmo di intitolare «Parmenide scienziato?». All’epoca Néstor era già pronto a dire esattamente ciò che ha appena ripetuto nel titolo del suo recente intervento su Archai: “sì, scienziato, ma…” (mentre io avrei fatto a meno di quel “ma” già allora). All’epoca la sua preoccupazione era di trovare un posto, per il sapere naturalistico di Parmenide, nella cornice della trattazione sull’essere, dunque di collocarla all’interno di questa ‘scatola’ molto sui generis. Così egli otteneva di non toccare quella, che fin dai tempi di Melisso, Gorgia e Platone, è sempre stata considerata l’idea centrale e l’insegnamento cardine del parmenidismo: la riflessione sull’essere.1 1 Ricordo che, durante tutto il Novecento la dottrina dell’essere ha fatto di Parmenide un pensatore sempre più importante, ma anche sempre più inarrivabile. Con una conseguenza sicuramente inattesa: una dilatazione dell’offerta di libri e articoli sul suo poema così estrema da passare da una media di una monografia ogni dieci anni (agli inizi del Novecento) fino a una media di due monografie all’anno (nel nostro XXI secolo).

Dietro a questa operazione continuava a manifestarsi un errore che a me pare imperdonabile: insistendo nel sorvolare sulle evidenze concernenti il sapere naturalistico o, nella migliore delle ipotesi, accettando di riconoscere la loro esistenza, ma continuando a guardarle da lontano, quasi che costituissero un blocco non analizzabile - quasi che fossero paragonabili al celebrato meccanismo di Antikitera che, in effetti, mostra ingranaggi e manopole sofisticate, ma rimane inaccessibile (perché il solo modo per capire cosa c’era dentro, come funzionava e a cosa sarebbe dovuto servire, sarebbe di ‘aprirlo’, finendo però per distruggerlo). Il sapere naturalistico di Parmenide è stato trattato, ahinoi, in modo analogo, quasi che fosse un blocco refrattario all’analisi, ma non è così perché le informazioni sul Parmenide phusikos sono, al contrario, anche troppo frammentate, tanto che in molti casi ci vuole non poca applicazione per ottenere che ci rivelino, uno per volta, i loro segreti. In effetti, come minimo dal 1903, disponiamo di un bell’insieme di informazioni su questo suo variegato sapere naturalistico, informazioni da studiare e da capire, ma che, se studiate e capite, ci fanno accedere a una quantità di insegnamenti diversi - e spesso di gran pregio - su terra, corpi celesti e organismi viventi.

Ora si dà il caso che anche sulle colonne di ARCHAI il nostro Néstor abbia continuato a guardare al sapere naturalistico da lontano, evitando ogni contatto fisico, quasi che si trattasse di un malato in quarantena. Questo modo di avvicinarsi-ma-solo-un-poco al sapere naturalistico di Parmenide è notoriamente molto diffuso, ma è pur sempre ingiustificato e ingiustificabile. Che una vasta comunità scientifica abbia creduto legittimo concentrare l’attenzione sui soli frammenti 1-8 (oppure 1-9) e presumere che il pensiero di Parmenide risieda qui per intero, mentre tutto il resto costituirebbe un accessorio inessenziale, è un fatto. Ma un trattamento così ineguale si è potuto affermare finché ‘tutti’ si sono astenuti dall’ispezionare il sapere naturalistico presumendo che l’eventuale visita guidata a questi altri insegnamenti di Parmenide, anziché arricchirsi di elementi significativi, si sarebbe risolta in un mero ‘perdere tempo’. Proprio questo è accaduto durante tutto il Novecento: il sapere naturalistico è stato confinato in un angolo, in un ripostiglio, in trascurabile cassettino, ma non dopo attenta ispezione, bensì aprioristicamente, sull’esempio di Melisso, Gorgia, Platone, Aristotele, Heidegger, Guido Calogero, Gwilym Owen, Charles Kahn, etc. L’autorizzazione a guardare alla ‘povera Cenerentola’ dall’alto in basso è stata emessa, insomma, non dopo aver esaminato, ma prima.

Nondimeno, non andare nemmeno a vedere di cosa si tratta è semplicemente inammissibile. Qualunque cosa abbiano detto Melisso Platone e altri grandi del passato, nessuno dovrebbe illudersi di sapere chi fu Parmenide prima di aver debitamente studiato anche i frammenti e le altre informative di taglio naturalistico che ci sono pervenuti e che non sono per nulla incomprensibili. Non si può assumere in premessa che Parmenide è stato il grande filosofo dell’essere, senza prima andare a vedere anche il suo sapere naturalistico. Una simile scelta rischia di rivelarsi più che imprudente.2 2 Sono tentato di ricordare i primarii huius Gimnasii philosophi, qui … nec Planetas, nec <lunam>, nec perspicillum, videre voluerunt di Galileo Galilei (Epistula ad Johannem Keplerum, Paduae 19 Augusti 1610). Né possiamo dire che almeno Néstor sia andato a vedere, perché la contestazione da lui intrapresa partendo da Aristotele e passando per Simplicio e Fülleborn, riposa sulla convinzione che, per comprendere bene Parmenide, sia sufficiente - o almeno pregiudiziale - rimuovere il cumulo di errori attribuiti ai tre. Ora questi tre dotti, e Néstor con loro, hanno insistito nell’occuparsi unicamente della trattazione sull’essere, come se tutto il resto fosse comunque marginale.

Ma lo è? Possiamo dire questo a proposito della ricerca che indusse Parmenide a stabilire che la stella del mattino è la stella della sera, o che la luna è costantemente illuminata al 50% dal sole, indipendentemente da ciò che sembra a noi, o che, in generale, il nostro corpo non manca di condizionare il pensiero? Possiamo dirlo sul conto di insegnamenti cruciali, come la forma della terra e gli antipodi, pur sapendo che i greci hanno appreso da Parmenide non solo che la terra è sferica e situata al centro dell’universo, ma anche che, al di là della zona torrida, ci dovrebbe essere (anzi c’è di sicuro) un’altra zona temperata, abitabile e abitata?

Mi sembra pertanto che la discussione richiederebbe di essere portata anzitutto sulle evidenze di un elaborato sapere naturalistico e solo secondariamente su Aristotele, Simplicio e Fülleborn, o altri, perché, se gli insegnamenti di carattere naturalistico sono una realtà (malgrado non ci siano pervenuti proprio i versi in cui essi presero forma), allora è ben difficile che Parmenide non si sia risolto a deporre molte volte gli occhiali dell’ontologia e l’ossessione di un ‘essere’ non sfiorato in nessun modo dal non-essere.

Supponiamo, al contrario, che egli avesse provato a erigere gli schemi di pensiero desunti dalla sua dottrina dell’essere in una sorta di regola di vita. In tal caso, ogni stimolo a investigare sul corpo umano e altri organismi viventi, sulla terra, la luna e altri corpi celesti sarebbe rimasto schiacciato da quegli schemi mentali. Invece ognuno di questi insegnamenti naturalistici è, con ogni evidenza, la conclusione di una più che attenta riflessione condotta senza timore, e non su ciò che sembra e ciò che è in generale e in astratto, ma su cosa ha senso dedurre dalla constatazione che il clima varia con ogni evidenza tra le zone fredde o molto fredde e quelle calde o molto calde, oppure dalle considerazioni sull’interdipendenza tra il nostro modo di pensare, ragionare e agire e la sensazione di benessere o malessere che ci accade di avere, oppure su come la luce della luna appare a noi e come è verosimile che sia. Questo genere di indagini prescindono vistosamente dalle risultanze dell’insegnamento sull’essere, eppure hanno impegnato a fondo il ricercatore Parmenide, come se nessuna interferenza fosse immaginabile tra simili ricerche e il sapere sull’essere.

Di conseguenza è imperativo presumere che Parmenide fosse pronto a trattare questo sapere sull’essere come un insegnamento tra altri, non come un insegnamento fondamentale e imprescindibile (tanto meno come il sacrario della Verità). Ora le conclusioni appena raggiunte hanno un cospicuo ‘potenziale esplosivo’. Se ne teniamo conto, la centralità dell’insegnamento sull’essere semplicemente viene meno, ed è questo il problema attorno al quale mi sono affaticato parlando di un altro Parmenide.

Ora il buon Néstor, nel commentare il mio libro, mantiene ben fermo il riconoscimento della centralità dell’insegnamento sull’essere e semplicemente non si occupa delle ragioni per cui, nel libro da lui discusso, viene revocata in dubbio proprio quella centralità. Peggio: già nell’esordio, per il fatto di asserire che « avant de se prononcer sur l’existence d’un éventuel Parménide phusikós il faut se mettre d’accord sur certains problèmes», egli mostra di mantenere ben fermo il dubbio sull’esistenza di un sapere naturalistico di Parmenide e ne dubita come se non sapesse ancora che quel sapere esiste ed è documentato. Spiace dover constatare che è come se, essendo stata pubblicata una delle più significative opere di Galilei, egli avesse redatto un articolo per discutere proprio del modello eliocentrico, salvo poi a dedicare le sue considerazioni alla differenza tra il sistema geocentrico di Tycho Brahe e quello, pure geocentrico, di Tolomeo. Ma se sai anche tu che esiste un sapere naturalistico di Parmenide, che senso ha attardarsi a dubitare della sua esistenza?

Si dovrebbe discutere, semmai, della ‘coabitazione’ fra dottrina dell’essere e questo sapere naturalistico, che non si configura come un blocco di pietra osservabile solo dall’esterno (come il meccanismo di Antikitera), o solo da lontano. Nel mio libro, una volta rilevati gli indizi relativi a un Parmenide che, nel trattare di organismi viventi, terra e corpi celesti, non ha esitato a deporre gli occhiali dell’ontologia, è proprio della coabitazione che mi sono lungamente occupato da vari punti di vista, mentre Néstor ha tentato di negare addirittura il fatto.

Certo, è un gran peccato che la ‘coabitazione’ sia resa sostanzialmente indecifrabile dallo stesso Parmenide con l’oscurità che grava sugli ultimi due esametri di B1, sugli ultimi dieci esametri di B8 e sull’intero B9, ma da ciò non consegue un dubbio sull’esistenza di un sapere naturalistico con cui fare i conti. Néstor scrive fra l’altro:

Étant donné qu’il est évident que Parménide propose deux types d’enseignement, l’un véritable, l’autre doxique, il est légitime de se demander quelles citations correspondent à l’un et à l’autre. En d’autres termes : comme au vers 8.50 se termine un discours « fiable » (πιστόν) autour de la vérité, il faut se demander quelles citations faut-il placer avant cet endroit, et comme au vers 8.51 commence l’exposé d’un ordre de mots trompeur (ἀπατηλόν), il faut choisir les textes qui méritent cette évaluation, et les placer après le fr. 8.51. (Cordero, 2019CORDERO, N.-L. (2019). Il y a, évidemment, un « Parménide phusikós », mais… (A propos de Livio Rossetti, Un altro Parmenide, 2017). Archai 25, e02507., p. 10)

La domanda è senza dubbio legittima, ma su ciò che andrebbe collocato ‘prima’ ci sono pochi dubbi (prima ci va la trattazione sull’essere), e anche su ciò che andrebbe collocato ‘dopo’ ci sono pochi dubbi, perché cosa c’era dopo ce l’ha spiegato molto bene Simplicio in Cael. 558.3-11, un passo che, incredibilmente, non figura né nel Diels-Kranz né nella raccolta Laks-Most (2016)LAKS, A.; MOST, G. W. (eds.) (2016). Early Greek Philosophy. 9 vols. Cambridge/London, Harvard University Press. (Loeb Classical Library 524-532). mentre viene riportato a p. 125 s. del mio Altro Parmenide, vol. I. Ma Nestor non si sofferma sul passo di Simplicio. Inoltre, quanto alla possibile collocazione dell’exposé d’un ordre de mots trompeur egli si affretta a negare che questo exposé possa aver trovato posto dopo B8.50 (o meglio: dopo B8.61) con funzione di intermezzo, ma non avanza nessuna proposta alternativa.

Beninteso, spero di sbagliare, ma Néstor, in Il y a, évidemment, un « Parménide phusikós » , mais… pur avendo annunciato che il suo scritto verterà su Un altro Parmenide, ha dato l’impressione di volersi tenere alla larga proprio dai problemi che, a torto o a ragione, sono al centro di quel libro.

Bibliografia

  • CORDERO, N.-L. (2019). Il y a, évidemment, un « Parménide phusikós », mais… (A propos de Livio Rossetti, Un altro Parmenide, 2017). Archai 25, e02507.
  • LAKS, A.; MOST, G. W. (eds.) (2016). Early Greek Philosophy 9 vols. Cambridge/London, Harvard University Press. (Loeb Classical Library 524-532).
  • ROSSETTI, L. (2017). Un altro Parmenide 2 vols. Bologna, Diogene Multimedia.
  • 1
    Ricordo che, durante tutto il Novecento la dottrina dell’essere ha fatto di Parmenide un pensatore sempre più importante, ma anche sempre più inarrivabile. Con una conseguenza sicuramente inattesa: una dilatazione dell’offerta di libri e articoli sul suo poema così estrema da passare da una media di una monografia ogni dieci anni (agli inizi del Novecento) fino a una media di due monografie all’anno (nel nostro XXI secolo).
  • 2
    Sono tentato di ricordare i primarii huius Gimnasii philosophi, qui … nec Planetas, nec <lunam>, nec perspicillum, videre voluerunt di Galileo Galilei (Epistula ad Johannem Keplerum, Paduae 19 Augusti 1610).

Publication Dates

  • Publication in this collection
    26 Sept 2019
  • Date of issue
    2019

History

  • Received
    08 June 2019
  • Accepted
    09 June 2019
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