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QUOMODO SIT OMNIPOTENS CUM MULTA NON POSSIT. ANSELMO D’AOSTA E PIER DAMIANI SULL’ONNIPOTENZA DIVINA

QUOMODO SIT OMNIPOTENS CUM MULTA NON POSSIT. ANSELM OF AOSTA AND PETER DAMIAN ABOUT DIVINE OMNIPOTENCE

RESUMO

L’articolo si propone di analizzare il dibattito che ha caratterizzato l’XI secolo alla luce dell’onnipotenza divina, con particolare riguardo per le riflessioni di Pier Damiani e Anselmo d’Aosta. Dopo aver presentato la disputa tra Lanfranco di Pavia e Berengario di Tours sul ruolo e la funzione dell’ars dialectica, l’articolo si concentra sul De divina omnipotentia di Damiani, mettendo in risalto la radicalità dell’approccio sostenuto dal monaco ravennate. L’articolo procede prendendo in esame la posizione sostenuta da Anselmo nel Proslogion, nel De libertate arbitrii, nel De casu diaboli e nel Cur Deus homo per porre in risalto la centralità dell’approccio anselmiano nella storia successiva della filosofia medievale.

Palavras-chave
Pier Damiani; Anselmo d’Aosta; onnipotenza divina; fede e dialettica; Lanfranco di Pavia; Berengario di Tours

ABSTRACT

The article aims to analyse the debate that characterized the Eleventh Century in the light of divine omnipotence, with particular regard to the speculations of Peter Damian and Anselm of Aosta. After presenting the dispute between Lanfranc of Pavia and Berengar of Tours about the role and the function of the ars dialectica, the article focuses on Damian’s De divina omnipotentia, underling the radicalism of the approach defended by the Italian monk. The article proceeds by analysing the position supported by Anselm in the Proslogion, in the De libertate arbitrii, in the De casu diaboli and in the Cur Deus homo, with the aim of highlighting the centrality of Anselm’s approach in the later history of Medieval philosophy.

Keywords
Peter Damian; Anselm of Aosta; Divine Omnipotence; Faith and Dialectics; Lanfranc of Pavia; Berengar of Tours

I Introduzione

La centralità di Anselmo d’Aosta nella storia della filosofia medievale è un dato che non può essere posto in discussione. È allora pressoché naturale interpretare l’XI secolo alla luce della sua riflessione, quasi costituisse il prisma con cui giustificare le differenti istanze che si stavano agitando nel dibattito teologico e filosofico del tempo. Con questo articolo, tuttavia, intendiamo analizzare la posizione anselmiana secondo una prospettica non teleologica, vale a dire attraverso un approccio che non sacrifichi il milieu culturale che definisce lo sforzo di Anselmo sull’altare dell’incipiente Scolastica. Non si tratta, in altri termini, di sottolineare le ragioni che fanno di Anselmo il primo pensatore proto-scolastico, ma di collocare il suo pensiero nel contesto in cui prende la parola, così da rendere pienamente intelligibile la sua importanza decisiva nella tradizione filosofica medievale. A tal proposito, assumeremo come fulcro dell’indagine la nozione di onnipotenza divina per apprezzare appieno lo sforzo di mediazione incarnato dalla sua proposta filosofica.

II Fede e dialettica nell’XI secolo: il caso di Lanfranco di Pavia

Riflettere su Anselmo a partire dal contesto che fa da sfondo alla sua speculazione significa tracciare un breve affresco dell’XI secolo e dei problemi che lo hanno caratterizzato. Prima degli studi di A. Cantin (1996)CANTIN, A. “Fede e dialettica nell’XI secolo”. Tradução para o italiano de Filadelfo Ferri. Milano: Jaca Book, 1996. e T. J. Holopainen (1996)HOLOPAINEN, T. J. “Dialectic and Theology in the Eleventh Century”. BostonLeiden: Brill, 1996. era quasi naturale fare riferimento alla lettura offerta da J. A. Endres (1902ENDRES, J. A. “Lanfranc Verhältnis zur Dialektik”. Der Katolik, 25, 1902, pp. 215-231., 1904_______. “Othlohs von Sankt Emmeram Verhältnis zu den freien Künsten, insbesondere zur Dialektik”. Philosophisches Jahrbuch, 17, 1904, pp. 44-52 e 173-184., 1906_______. “Die Dialektiker und ihre Gegner im 11. Jahrhundert”. Philosophisches Jahrbuch, 19, 1906, pp. 20-33., 1910_______. “Petrus Damiani und die weltliche Wissenschaft”. Beiträge zur Geschichte der Philosophie des Mittelalters, Vol. VIII/3. Münster: Aschendorff, 1910.). Secondo lo storico, l’XI secolo può essere interpretato alla stregua di un campo di battaglia in cui si sono confrontate due differenti modalità di interpretare il contenuto della fede e il valore di autonomia e verità da assegnare alla ragione umana: ad un approccio dialettico, i cui capofila vengono identificati in Anselmo di Besate e Berengario di Tours, fa da contraltare una prospettiva anti-dialettica, esemplificata da Otlone di Sant’Emmerano, Pier Damiani e (con alcuni distinguo) Lanfranco di Pavia.

La proposta ermeneutica di Endres non coglie certo le sfumature dei singoli autori e non può più essere proposta come unica chiave di lettura per indagare un periodo storico così composito. Tale interpretazione, tuttavia, coglie alcuni aspetti centrali della temperie dell’epoca. In effetti, le traduzioni di Severino Boezio alle Categorie e al De interpretatione di Aristotele e alle Isagoge porfiriane, i suoi commentari alle opere logiche aristoteliche e i suoi trattati dedicati al sillogismo categorico ed ipotetico (cf. Marenbon, 1983MARENBON, J. “Early Medieval Philosophy (480-1159). An introduction”. London: Routledge & K. Paul, 1983.), stavano incominciando a produrre un sommovimento didattico e culturale, spingendo i maestri del trivium e i loro stessi discepoli ad interrogarsi sulla possibilità di applicare i principi delle arti liberali alle Sacre Scritture e alla storicità del dogma. Tra la Francia e l’Italia - e più precisamente nelle scuole di Reims, Chartres, Fleury, Parma e Ravenna -, ma anche in Germania, in Inghilterra, nelle Fiandre e nei Paesi Bassi, l’interesse nei confronti dell’ars dialectica stava crescendo esponenzialmente nelle scuole cattedrali, producendo un dibattito molto acceso (cf. Riché, 1979RICHÉ, P. “Écoles et enseignement dans le Haut Moyen Âge”. Paris: Aubier, 1979., 1993_______. “L’enseignement des arts libéraux en Italie et en France au XI siècle”. In: G. D’Onofrio (ed.). Lanfranco di Pavia e l’Europa dell’XI secolo (1089-1989). Roma: Herder, 1993. pp. 157-166.).

Quando si pensa all’XI secolo servendosi del filtro ermeneutico proposto da Endres, si è soliti esemplificare il conflitto tra dialettici e anti-dialettici facendo riferimento alla disputa tra Berengario di Tours e Lanfranco di Pavia (cf. De Montclos, 1971DE MONTCLOS. J. “Lanfranc et Bérenger. La controverse eucharistique du XIe siècle”. Louvain: Peeters, 1971.; Gibson, 1989GIBSON, M. “Lanfranc of Bec”. Oxford: Oxford University Press, 1978. Tradução para o italiano de Pierluigi Fiorini. Milano: Jaca Book, 1989., pp. 65-98). Il nodo della questione riguardava l’utilizzo di alcune fonti carolingie in materia eucaristica: Berengario, che sosteneva le posizioni di Ratramno di Corbie, aveva invitato ad una pubblica disputatio Lanfranco di Pavia, fautore della soluzione presentata da Pascasio Radberto. Il testo di Berengario venne condannato in un sinodo romano del 1050 presieduto da Leone IX, alla presenza dello stesso Pier Damiani1 1 Quella romana non fu comunque l’unica condanna: la posizione di Berengario venne condannata nel settembre dello stesso anno (1050) a Vercelli e nel 1054 a Tours. Nell’aprile del 1059 venne convocato a Roma per leggere la professione di fede, per essere poi nuovamente condannato nel 1062 nel concilio di Angers e nel concilio romano del 1079. . In seguito alla condanna, Berengario preparò uno Scriptum contra Synodum, una breve opera indirizzata alla curia; benché il testo sia andato perduto, possiamo ricostruirne parte del contenuto grazie alla risposta di Lanfranco contenuta nel De corpore et sanguine Domini. A chiudere la disputa sarà Berengario nel Rescriptum contra Lanfrancum, ritrovato nella seconda metà del XVIII nella Biblioteca di Wolfenbüttel.

Tralasciando i dettagli della polemica e le rispettive soluzioni presentate in materia eucaristica, ciò che emerge dal confronto tra i due autori è il differente valore attribuito all’ars dialectica. Se Berengario sembra assegnarle una funzione quasi poietica, capace di giudicare il valore di verità espresso dalle proposizioni, Lanfranco la considera al pari di uno strumento formale, in grado, tutt’al più, di ordinare e chiarire una verità che le preesiste. Se per il primo l’ars dialectica ha un valore non soltanto dimostrativo ma altresì ontologico, capace di stabilire i limiti di ciò che esiste, il secondo la giudica un mero dispositivo utile all’ordine della discussione. Il nodo della questione, pertanto, non riguarda soltanto l’evento della transustanziazione che ha luogo con la mediazione sacerdotale. Non si tratta, insomma, di dimostrarne il valore reale o simbolico, ma di stabilire anche i limiti di applicazione della dialettica, definendone al contempo le condizioni di possibilità. L’ars dialectica può essere dunque applicata a qualunque oggetto, fosse pure una verità di fede, o deve vedersi circoscritta in un dominio definito e determinato? Il dibattito si gioca attorno a tale quesito, e prendere partito per una delle due alternative significa vestire, rispettivamente, i panni del dialettico o del suo avversario. Che sia questa la prospettiva più utile per rileggere il confronto-scontro tra Berengario e Lanfranco, lo dimostra lo stesso andamento del testo del magister di Pavia.

Se ci soffermiamo sul solo esito immediato della disputa, ad uscirne vincitore fu Lanfranco, vista la condanna papale che colpì Berengario. L’argomentazione del magister di Pavia è però debole: in effetti, su richiesta di Papa Leone IX, è chiamato a rispondere a Berengario “più mediante le sante autorità che mediante ragioni” (Lanfrancus Cantuariensis, 2001LANFRANCUS CANTUARIENSIS. “De Corpore et Sanguine Domini”. PL 150, 407-442. Tradução para o italiano de Concetto Martello. Catania: Cuecm, 2001. pp. 100-164., p. 107), giudicando preferibile “essere incolto e ignorante cattolico (rusticus et idiota catholicus) insieme al volgo piuttosto che curiale e arguto eretico insieme” (Lanfrancus Cantuariensis, 2001LANFRANCUS CANTUARIENSIS. “De Corpore et Sanguine Domini”. PL 150, 407-442. Tradução para o italiano de Concetto Martello. Catania: Cuecm, 2001. pp. 100-164., p. 109). Il presupposto della confutazione di Lanfranco è il principio d’autorità, come si evince dal seguente passo del De corpore et sanguine Domini:

Mi sono testimoni Dio e la mia coscienza che non vorrei, nel trattare di argomenti divini, né porre questioni dialettiche o le loro soluzioni né rispondere alle questioni che vengono poste. Anche quando la materia della disputa è tale che possa essere spiegata in modo più chiaro attraverso le regole di tale arte, la nascondo (tego artem) per quanto posso mediante l’uso di proposizioni equivalenti, affinché non sembri che io faccia affidamento più sull’arte che sulla verità e sull’autorità dei Santi Padri (Lanfrancus Cantuariensis, 2001LANFRANCUS CANTUARIENSIS. “De Corpore et Sanguine Domini”. PL 150, 407-442. Tradução para o italiano de Concetto Martello. Catania: Cuecm, 2001. pp. 100-164., p. 113).

Lanfranco sostiene di non voler ricorrere alla dialettica neppure se fosse possibile spiegare più chiaramente la materia del contendere servendosi di tale disciplina. È preferibile allora nascondere quest’arte e richiamarsi all’auctoritas, così da non lasciare l’impressione che le verità di fede necessitino del concorso dell’umana dialettica per essere esplicitate. D’altra parte, nel caso specifico dell’eucaristia, il miracolo che avviene sull’altare grazie alla mediazione sacerdotale trascende la ragione umana e non può essere oggetto di alcuna dimostrazione. Per questa ragione, l’uomo di fede “non cerca di indagare mediante ragionamenti e di concepire con la ragione il modo in cui il pane è fatto carne e il vino si converte in sangue, con la natura di entrambi essenzialmente mutata” (Lanfrancus Cantuariensis, 2001LANFRANCUS CANTUARIENSIS. “De Corpore et Sanguine Domini”. PL 150, 407-442. Tradução para o italiano de Concetto Martello. Catania: Cuecm, 2001. pp. 100-164., p. 128). La posizione di Lanfranco è abbastanza fragile: benché il magister pavese critichi spesso la natura formale del metodo di Berengario, le premesse della sua confutazione si fondano, in ultima analisi, sul valore rappresentato dall’autorità e dalla tradizione teologico-dogmatica. Questo aspetto emerge con chiarezza adamantina nel passo seguente:

Sono dunque false le cose che proponi. Di più, se è vero ciò in cui credi e che affermi intorno al corpo di Cristo, è falso ciò che è creduto ed affermato sullo stesso argomento dalla Chiesa in qualunque punto della terra (Lanfrancus Cantuariensis, 2001LANFRANCUS CANTUARIENSIS. “De Corpore et Sanguine Domini”. PL 150, 407-442. Tradução para o italiano de Concetto Martello. Catania: Cuecm, 2001. pp. 100-164., p. 149).

Il ragionamento di Lanfranco ha del paradossale: proprio lui, maestro di arti liberali, e quindi profondo conoscitore della struttura dell’argomentazione, giudica falsa la posizione di Berengario perché incompatibile, sic et simpliciter, con quella della Chiesa. Così facendo, Lanfranco non dimostra né la contraddittorietà delle conclusioni del magister di Tours, né mette in risalto le ragioni per affermare uno scarto decisivo tra la verità testimoniata e tramandata dalla Chiesa e il dominio in cui esercitare l’arte dialettica. Nel contesto storico e culturale della disputa era oltremodo problematico limitare, con un semplice riferimento all’auctoritas dei Padri della Chiesa, l’utilizzo delle arti liberali per evitare che i loro risultati si trovassero potenzialmente in contraddizione con il contenuto del dogma. Ed era ancor più difficile rispondere a Berengario richiamandosi alla trasmissione storica di quella verità di fede che l’eresiarca turonense stava mettendo in discussione.

Nella sua replica, d’altronde, Berengario aveva tutto il diritto di rivendicare la possibilità di ricorrere all’ars dialectica: se per servirsi della dialettica dobbiamo presupporre l’esercizio della ragione, rinunciare a tale disciplina significherebbe, sub eodem, rinunciare alla ragione stessa2 2 Cf. Beringerius Turonensis, 1988, p. 85: “Maximi plane cordis est per omnia ad dialecticam confugere, quia confugere ad eam ad rationem est confugere, quia qui non confugit, cum secundum rationem sit factus ad imaginem Dei, suum honorem reliquit nec potest renovari de die in diem ad imaginem Dei”. . Insomma, per fare fronte alle premesse dei dialettici era necessario fare un passo in avanti e dimostrare la natura finita - e dunque dipendente e limitata - dei loro strumenti, istituendo uno scarto tra l’ordine delle cose (ordo rerum) e l’ordine delle parole (ordo disserendi). È proprio in questo contesto che l’onnipotenza divina finisce per assumere un’importanza centrale nel dibattito, quale strumento per dischiudere la circolarità della parola umana e dimostrarne la creaturalità. E quando si fa riferimento alla nozione di onnipotenza nell’XI secolo il pensiero non può che andare a Pier Damiani e al De divina omnipotentia.

III Pier Damiani e “gli agguerriti sillogismi dei dialettici”

La disputa tra Lanfranco e Berengario ha fatto entrare il magister di Pavia nelle fila della tradizione anti-dialettica. In verità, la posizione di Lanfranco nel De corpore et sanguine Domini è figlia dell’insistenza di Papa Leone IX, che aveva definito le regole d’ingaggio e i criteri con cui recusare l’eresia berengariana. In tal modo, Lanfranco rispondeva a Berengario ribadendo le parole di quella stessa auctoritas rifiutata in linea di principio dal suo avversario. Non era però sufficiente richiamarsi ad una generica autorità per impedire l’applicazione del metodo dialettico in teologia; era invece necessario dimostrare ai dialettici la natura finita del loro strumento di indagine e l’impossibilità di applicarlo alle verità di fede, decidendo della liceità del loro contenuto. È proprio in questo contesto che la figura di Pier Damiani assume tutto il suo rilievo.

Al pari di Lanfranco di Pavia, anche Damiani, prima di ritirarsi nell’amato eremo avellanita, era stato maestro di arti liberali. La critica che Damiani rivolge all’ars dialectica e al sapere mondano non deve perciò spingerci a credere, sulla scia della lettura offerta da É. Gilson (2005GILSON, É. “La philosophie au moyen âge”. Paris: Payot, 1922. Tradução para o italiano de Maria Assunta del Torre. Firenze: Sansoni, 2005., pp. 268-269), che il monaco criticasse ciò che non era in grado di comprendere, mosso da un odio viscerale nei confronti degli aspetti più mondani dell’esistenza. Inoltre, i riferimenti critici disseminati nell’opera di Damiani devono essere interpretati nel contesto specifico in cui sono collocati, tenendo presente il referente cui il monaco si rivolge (cf. Gonsette, 1956GONSETTE, J. “Pierre Damien et la culture profane”. Louvain: Nauwelaerts, 1956.; Cantin, 1975CANTIN, A. “Saint Pierre Damien et la culture de son temps”. Studi gregoriani, 10, 1975, pp. 247-285.). A titolo di esempio, possiamo ricordare il De sancta simplicitate, un testo dedicato alla semplicità della fede e indirizzato ad Aliprando, un giovane che aveva espresso a Damiani tutta la sua malinconia per non aver continuato il proprio percorso di studi. Il tono sprezzante con cui il monaco ravennate giudica le arti liberali serve allora, in questo preciso frangente, per cancellare dall’animo del suo interlocutore ogni dubbio circa il cammino intrapreso: “Eccoti, fratello: tu vuoi imparar la grammatica? Impara a declinare Dio al plurale” (Petrus Damianus, 1989PETRUS DAMIANUS. “De Sancta Simplicitate Scientiae Inflanti Anteponenda”. In: K. Reindel (ed.). Die Briefe des Petrus Damiani (IV Vols). München: Monumenta Germaniae Historica. Die Briefe der Deutschen Kaiserzeit, 1983-1993. Brief 117 (Vol. III), 1989., p. 317). Le artes liberales non sono affatto essenziali all’esperienza della fede: del resto, aggiunge polemicamente il monaco,

Dio onnipotente non ha bisogno della nostra grammatica per trascinar gli uomini dietro a sé, se è vero che perfino all’inizio dell’umana redenzione, quando pareva più necessario allo scopo di diffondere la semenza della nuova fede, non mandò né filosofi, né oratori, ma anzi degli uomini semplici e rozzi predicatori (Petrus Damianus, 1989PETRUS DAMIANUS. “De Sancta Simplicitate Scientiae Inflanti Anteponenda”. In: K. Reindel (ed.). Die Briefe des Petrus Damiani (IV Vols). München: Monumenta Germaniae Historica. Die Briefe der Deutschen Kaiserzeit, 1983-1993. Brief 117 (Vol. III), 1989., p. 319).

Damiani non è tanto interessato a svalutare tout court il valore o la pubblica funzione delle arti liberali; piuttosto, vuole mettere in evidenza quanto il loro utilizzo sia estraneo all’ambito della fede, in particolare per quei monaci che hanno deciso di abbandonare il secolo per ritirarsi in preghiera. Che Damiani fosse consapevole dell’impossibilità di rinunciare alle arti liberali fuori dalle mura dei monasteri, lo dimostra il De vera felicitate et sapientia, una lettera inviata a Bonomo, esperto in diritto. Visto il suo lavoro, Damiani non sollecita certo Bonomo ad abbandonare il mondo e le sue consuetudini, come aveva fatto spesso con i suoi interlocutori, fossero essi monaci o eremiti, ma a non farsi travolgere dall’ordine secolare, mantenendo ben salda la purezza della fede3 3 Cf. Petrus Damianus, 2001, p. 65: “Ma dato che tu non occupi nel mondo l’ultimo posto, e non puoi evitare del tutto con i tuoi interlocutori di scambiare parole del linguaggio profano, o di attingere qualche cosa dai tuoi studi letterari, abbi questa avvertenza: diventa negli argomenti profani quasi grossolano, ed invece in quelli spirituali metti in esercizio tutte le tue possibilità intellettuali; nei primi mostrati indifferente, nei secondi pieno di ogni genere di risorse. Perché dunque nell’esercizio della tua professione secolare non puoi ottenere di poter essere privo completamente dell’astuzia del serpente, cerca almeno di fare in modo che la sapienza spirituale assorba la tua prudenza terrena e la rivolga, per così dire, ai misteri di cui essa è costituita”. . L’approccio del monaco è caratterizzato da una buona dose di realismo. I suoi interessi, infatti, sono rivolti alle comunità monastiche e alla vita della Chiesa: è in questo contesto che è necessario preservare l’intelligenza spirituale delle Sacre Scritture, allontanando le sirene del sapere dialettico. Ed è in una simile cornice che dobbiamo leggere il De divina omnipotentia, un atto di accusa contro le tendenze che si stavano imponendo non solo nelle scuole cattedrali, ma all’interno delle stesse comunità monastiche.

La lettera è rivolta a Desiderio, futuro Papa Vittore III, ed è di poco posteriore alla visita di Damiani al cenobio benedettino di Montecassino. In quell’occasione, il monaco era rimasto impressionato dall’utilizzo, ormai endemico, delle arti liberali: ritiene quindi necessario prendere la parola e presentare le ragioni a sostegno di una differente prospettiva. Il testo, incentrato sull’estensione dell’omnipotentia Dei, vuole sottolineare la differenza che sussiste tra gli strumenti della conoscenza umana e la loro condizione di possibilità, separando la presunta necessità del metodo dialettico dalla natura trascendente dell’essenza divina. Damiani, in altri termini, vuole affermare, di contro alla recente fede nella ragione, le ragioni sempiterne della fede.

La stesura della lettera nasce da una discussione che aveva avuto luogo a Montecassino tra Damiani e Desiderio intorno alla corretta interpretazione del seguente passo di San Girolamo: “Parlerò con audacia: sebbene Dio possa ogni cosa, non potrebbe far ritornare vergine una donna che non lo è più. Ha certamente il potere di liberarla dalla pena, ma non di restituirle la corona” (Petrus Damianus, 2013PETRUS DAMIANUS. “Lettre sur la toute-puissance divine”. Ed. André Cantin. Paris: Les éditions du Cerf, 1972. Tradução para o italiano de Alfredo Gatto. Il Prato: Padova, 2013., p. 105; 596 C, 5-9). Prima di fornire la propria opinione in materia, Damiani esplicita le sue riserve sulla posizione difesa da Girolamo:

Questo giudizio, dico, confesso di non averlo mai accettato. Infatti, non considero colui che parla, ma il contenuto di ciò che dice. Ora, è una cosa disdicevole, a me pare, che si attribuisca con tanta leggerezza un’impossibilità a colui che può tutto, a meno che non si nasconda il mistero di una comprensione più alta (Petrus Damianus, 2013PETRUS DAMIANUS. “Lettre sur la toute-puissance divine”. Ed. André Cantin. Paris: Les éditions du Cerf, 1972. Tradução para o italiano de Alfredo Gatto. Il Prato: Padova, 2013., p. 105; 596 CD, 11-15).

L’abisso che divide il monaco ravennate dall’approccio di Lanfranco di Pavia appare con la massima chiarezza: mentre Lanfranco criticava l’utilizzo della dialettica facendosi forza delle opinioni espresse dalle più importanti personalità della Chiesa, Damiani prende la parola criticandone uno dei più insigni rappresentanti.

Liberatosi dal peso dell’autorità, Damiani può procedere ad analizzare la questione, ponendo a tema la sua interpretazione dell’attributo dell’onnipotenza. Ripercorriamo in modo schematico l’andamento dell’argomentazione damianea (cf. Gatto, 2013GATTO, A. “Pier Damiani. Una teologia dell’onnipotenza”. Roma: Aracne, 2013., pp. 57-88). Secondo il monaco, Dio non potrebbe restituire la verginità a colei che l’ha perduta solamente se ciò fosse un male. Nel caso specifico, le premesse di Damiani sono saldamente ancorate alla tradizione: in termini agostiniani, il male non è sostanza, ma privatio boni, assenza totale di positività. Dio, pertanto, sommo essere, non può realizzare ciò che non è, senza che il non poter il male vada a scapito della sua onnipotenza. Dio non può compiere il male perché non saprebbe neppure come realizzarlo, essendo impossibilitato ad intrattenere commercio alcuno con la sua essenza negativa. Tuttavia - ecco la premessa del monaco -, se non è un male che una fanciulla violata ritorni vergine, non c’è alcuna ragione per escludere che Dio possa realizzare una simile possibilità4 4 Cf. Petrus Damianus, 2013, p. 115; 596 C, 21-28: “In virtù di quale pregiudizio Dio non potrebbe restituire la verginità ad una donna che l’ha perduta? Forse non vuole per la ragione che non può? E per questo non vuole, perché è un male? Nello stesso modo in cui si è detto che Dio né vuole né può mentire e spergiurare e commettere un’ingiustizia? Ma è lungi da noi credere che sia un male che una fanciulla violata ritorni vergine. Al contrario, come è un male che una vergine sia violata, così, senz’alcun dubbio, sarebbe un bene ritornare vergine per quella donna deflorata”. . L’obiezione è immediata: ciò non è mai accaduto; dunque, Dio non può farlo. Damiani ha gioco facile nel sottolineare che il fatto che non sia (ancora) accaduto non significa che non possa accadere: semplicemente, indica che Dio non l’abbia (ancora) voluto. In conclusione, “come non potrebbe Dio restituire la verginità a colei che l’ha perduta, considerando che egli è onnipotente e che si tratta di una cosa buona?” (Petrus Damianus, 2013PETRUS DAMIANUS. “Lettre sur la toute-puissance divine”. Ed. André Cantin. Paris: Les éditions du Cerf, 1972. Tradução para o italiano de Alfredo Gatto. Il Prato: Padova, 2013., p. 119; 600 B, 66-68).

Nel prosieguo della lettera Damiani riformula l’obiezione dei cosiddetti dialettici, esplicitando le motivazioni che li spingono a rifiutare un’eventualità così radicale: Dio, posta la sua onnipotenza, può certamente distruggere la città di Roma, ma non sottrarle il suo status passato, il fatto di essere esistita. In breve, Dio non può fare in modo che ciò che è stato non sia stato. Rispondendo all’obiezione, Damiani porta alle estreme conseguenze le argomentazioni dei suoi avversari: se consideriamo - come vorrebbero “questi uomini vani, propugnatori di un dogma sacrilego” (Petrus Damianus, 2013PETRUS DAMIANUS. “Lettre sur la toute-puissance divine”. Ed. André Cantin. Paris: Les éditions du Cerf, 1972. Tradução para o italiano de Alfredo Gatto. Il Prato: Padova, 2013., p. 127; 602 D, 4-5) - le premesse dell’ars dialectica come il solo metro per stabilire cosa Dio possa fare, finiremmo per sottrargli non solo il potere sulle cose passate, ma anche su quelle presenti e future. L’ordine del discorso, infatti, impone che tutto ciò che è, sia, e non possa non essere; parimenti, ciò che sta per essere è necessario che stia per essere. Ora, se si applica “spudoratamente a Dio ciò che appartiene all’arte del discutere” (Petrus Damianus, 2013PETRUS DAMIANUS. “Lettre sur la toute-puissance divine”. Ed. André Cantin. Paris: Les éditions du Cerf, 1972. Tradução para o italiano de Alfredo Gatto. Il Prato: Padova, 2013., p. 131; 603 B, 3940), e si definisce il raggio d’azione della sua potenza alla sola luce dell’ordo disserendi umano, i dialettici finiscono per rendere la sua divina volontà del tutto impotente, portando “i cavilli delle loro lagnanze nel cuore dei misteri divini” e turbando “con le nebbie delle loro curiosità i puri insegnamenti della Chiesa” (Petrus Damianus, 2013PETRUS DAMIANUS. “Lettre sur la toute-puissance divine”. Ed. André Cantin. Paris: Les éditions du Cerf, 1972. Tradução para o italiano de Alfredo Gatto. Il Prato: Padova, 2013., p. 131; 603 C, 46-49).

Per evitare tale conseguenza, replica Damiani, è necessario presupporre uno scarto tra le premesse dell’arte dialettica e l’esercizio dell’onnipotenza di Dio, subordinando le prime al secondo. I dialettici, insomma, non possono pretendere di applicare la loro logica sillogistica alla potenza divina. La “perizia dell’arte umana”, infatti, se applicata al contenuto dei dogmi e della parola sacra, può, al massimo, porsi al servizio delle verità di fede, non certo decidere del loro contenuto5 5 Cf. Petrus Damianus, 2013, p. 131; 603 C-D, 50-59: “Ciò che proviene dalle argomentazioni dei dialettici o dei retori non è da applicare con leggerezza ai misteri della potenza divina, e le regole che sono state inventate per formare i sillogismi o le conclusioni degli enunciati non sia mai che irrompano, con tenacia, contro le sacre leggi, così da opporre alla potenza divina la necessità delle loro conclusioni. Tuttavia, la perizia dell’arte umana, se è applicata all’esame della parola sacra, non deve usurpare con arroganza il diritto di far da maestra, bensì, come una serva, deve assecondare la padrona con la sottomissione che deve essere propria di chi serve”. . Appare qui con la massima lucidità l’esigenza che guida lo scritto del monaco: la dialettica deve essere subordinata alla natura Dei e al contenuto storico della sua parola, senza arrogarsi il diritto di decidere della coerenza e liceità del suo contenuto. La polemica di Damiani va collocata in questo preciso contesto: gli “antichi maestri delle arti liberali”, d’altronde, non si erano mai spinti, forti dei loro sillogismi, fino al punto di tacciare Dio d’impotenza, ma avevano sempre riconosciuto i limiti costitutivi della loro arte. È necessario allora, proprio analizzando le prerogative della potenza divina, preservare la differenza tra l’esercizio dell’arte dialettica e la realtà delle cose, vale a dire tra lo statuto dell’ordo disserendi e le condizioni di possibilità dell’ordo rerum6 6 Cf. Petrus Damianus, 2013, p. 133; 604 A, 72-90: “Ovviamente, questa questione fu abbondantemente discussa nel passato dagli antichi maestri delle arti liberali, non solo pagani, ma anche dagli adepti della fede cristiana. Nessuno di loro, tuttavia, osò spingersi ad una tale follia da tacciare Dio d’impotenza, e, in particolare se cristiano, di dubitare della sua onnipotenza, ma discussero della possibilità o impossibilità logica secondo gli stretti vincoli della loro arte, senza fare mai menzione di Dio in tali dibattiti [...] Tale questione, dunque, non spingendosi fino a mettere in discussione la potenza della maestà divina, riguarda piuttosto l’esercizio dell’arte dialettica, e non l’essenza e la realtà delle cose, ma il modo e l’ordine della discussione e la concatenazione delle parole, non trova posto tra i misteri della Chiesa, essendo brandita solo dai fanciulli nelle scuole”. .

In uno dei passaggi più importanti della sua lettera, Damiani sembra in parte riconsiderare quanto affermato; ciò ha spinto vari interpreti - tra cui possiamo ricordare P. Remnant (1978)REMNANT, P. “Peter Damian: Could God Change the Past?”. Canadian Journal of Philosophy, 8, 1978, pp. 259-268., L. Moonan (1980)MOONAN, L. “Impossibility and Peter Damian”. Archiv für Geschichte der Philosophie, 62, 1980. pp.146-163. e il già citato T. J. Holopainen (1996)HOLOPAINEN, T. J. “Dialectic and Theology in the Eleventh Century”. BostonLeiden: Brill, 1996. - a mitigare la radicalità incarnata dal monaco ravennate. Ad un certo punto, infatti, Damiani si rivolge polemicamente al suo interlocutore con le seguenti parole:

Forza, dunque, dì in che modo Dio, circa le cose passate, può far sì che ciò che è accaduto non sia accaduto, ovvero, riguardo al presente, che ciò che ora esiste, finché è, non sia, oppure che ciò che in ogni modo accadrà non stia per accadere, o di nuove le stesse cose espresse per via negativa. Si tratta di cose che, a nostro parere, dovrebbero essere affidate all’esecrazione piuttosto che alla penna (Petrus Damianus 2013PETRUS DAMIANUS. “Lettre sur la toute-puissance divine”. Ed. André Cantin. Paris: Les éditions du Cerf, 1972. Tradução para o italiano de Alfredo Gatto. Il Prato: Padova, 2013., 149; 608 B, 61-67).

Ad un primo sguardo, sembra che Damiani stia facendo propria la posizione dei dialettici. In realtà, la sta portando alle sue estreme conseguenze, ponendosi sulla stessa scia dei suoi interlocutori. “Dì in che modo” - cioè con l’ordine del discorso, con le sole premesse dell’ars dialectica - sia possibile realizzare una contraddizione. Il fatto che l’uomo non possa pensare la realizzazione di un evento contraddittorio, tuttavia, non implica che Dio non possa farlo. I dialettici, inoltre, paiono dimenticarsi che la successione temporale dell’universo sensibile non corrisponde alla modalità sincronica con cui Dio, dall’eternità, amministra il creato. I due eventi, pur incompossibili secondo la logica dell’uomo, sono co-presenti in Dio; visto che la potenza divina dispone della creazione, non vi è ragione per escludere che tale compossibilità si possa attuare, contraddittoriamente, nella natura temporale della creatio. Certo, non potrebbe realizzarsi se la logica che guida le azioni divine fosse uniformata a quella che regola i pensieri umani, ossia se l’ordo rerum fosse vincolato all’ordo disserendi dell’uomo. Ma se così non è, continua il monaco, “dal momento che Dio può tutto, perché dubiti che Dio possa fare in modo che qualche cosa, al tempo stesso, sia e non sia (simul sit et non sit), se è un bene che ciò accada?” (Petrus Damianus, 2013PETRUS DAMIANUS. “Lettre sur la toute-puissance divine”. Ed. André Cantin. Paris: Les éditions du Cerf, 1972. Tradução para o italiano de Alfredo Gatto. Il Prato: Padova, 2013., p. 151; 608 D, 88-90).

Nella prospettiva tracciata da Damiani, l’onnipotenza divina implica, letteralmente, il poter tutto, anche il far sì che la stessa cosa - simul - sia e non sia, violando il principio di non contraddizione. L’ambiguità dell’intera questione, pertanto, è solo apparente e “non può corrispondere in alcun modo alla natura delle cose esistenti, ma concerne soltanto i giochi verbali che riguardano il concatenamento logico del discorso e del ragionamento” (Petrus Damianus, 2013PETRUS DAMIANUS. “Lettre sur la toute-puissance divine”. Ed. André Cantin. Paris: Les éditions du Cerf, 1972. Tradução para o italiano de Alfredo Gatto. Il Prato: Padova, 2013., p. 157; 610 C, 6-8). In caso contrario, sarebbe difficile spiegare il motivo per cui Dio “distrugge frequentemente gli agguerriti sillogismi dei dialettici e le loro sottigliezze” (Petrus Damianus, 2013PETRUS DAMIANUS. “Lettre sur la toute-puissance divine”. Ed. André Cantin. Paris: Les éditions du Cerf, 1972. Tradução para o italiano de Alfredo Gatto. Il Prato: Padova, 2013., p. 159; 610 D, 15-16). Ora, non solo Dio può prescindere, nella sua azione, da quel principium firmissimum che informa la conoscenza umana, ma può esercitare la propria potenza in tutto l’ordine del creato, attestandone l’assoluta contingenza. Certo,

non si può dire secondo verità che ciò che è stato non è stato, e, all’inverso, non è corretto dire che ciò che non è stato è stato, dal momento che i contrari non possono coincidere in un solo e medesimo soggetto (...); tuttavia, ci si guardi bene dall’applicarla (questa impossibilità) alla maestà divina, poiché colui che ha dato origine alla natura, facilmente, quando vuole (cum vult), toglie alla natura la sua necessità (Petrus Damianus, 2013PETRUS DAMIANUS. “Lettre sur la toute-puissance divine”. Ed. André Cantin. Paris: Les éditions du Cerf, 1972. Tradução para o italiano de Alfredo Gatto. Il Prato: Padova, 2013., pp. 163-165; 612 A-B, 17-24).

Damiani esprime in questo passaggio una concezione operativa dell’onnipotenza di Dio: la volontà divina non dispiega tutte le proprie potenzialità creando il mondo, ma è sempre nelle condizioni - cum vult - di intervenire al suo interno, modificandolo. Nelle battute finali della sua lettera Damiani riassume il ragionamento svolto, aggiungendo una precisazione destinata a sottolineare, con ancora più forza, la contingenza e dipendenza dell’intera creazione: “come Dio ha potuto far sì, prima che le cose fossero, che non esistessero, può ugualmente far sì che, anche in questo momento (et nunc), non siano esistite le cose che sono esistite” (Petrus Damianus, 2013PETRUS DAMIANUS. “Lettre sur la toute-puissance divine”. Ed. André Cantin. Paris: Les éditions du Cerf, 1972. Tradução para o italiano de Alfredo Gatto. Il Prato: Padova, 2013., p. 193; 619 D, 82-84). Et nunc: in ogni istante, Dio potrebbe fare in modo che ciò che ora esiste non sia esistito, se solo lo volesse e lo giudicasse opportuno, vale a dire se la realizzazione di una simile possibilità non fosse un male.

Nei passi citati sono emersi tre sintagmi che, uniti, disegnano un quadro la cui radicalità è pressoché inaudita nell’universo medievale: a) simul sit et non sit; b) cum vult; c) et nunc. In sintesi, Dio può fare in modo che la stessa cosa, al contempo, sia e non sia (simul sit et non sit), violando il principio di non contraddizione; può farlo quando vuole (cum vult); non solo: potrebbe farlo, se solo lo volesse, anche ora, in questo preciso istante (et nunc). Non appena si pongono queste tre espressioni in relazione, la contingenza dell’orizzonte creaturale si pone come conseguenza immediata della riflessione damianea. Ad essere in questione, però, non è solo la stabilità della natura, ma la conoscenza effettiva - la sua stabilità e intrinseca necessità - in possesso dell’uomo. Ecco perché I. M. Resnick (1992RESNICK, I. M. “Divine Power & Possibility in St. Peter Damian’s De Divina Omnipotentia”. Boston-Leiden: Brill, 1992., p. 107) è giunto ad affermare che “Damian’s understanding of divine omnipotence then renders a science of nature impossible in the Aristotelian sense. A universe whose most fundamental laws are subject to an unconstrained will would seem to be subject at every moment to a cosmic revisionism and transformation, on both the epistemic and metaphysical levels”. La posizione di Resnick è stata implicitamente ripresa dallo stesso I. Sciuto (1993)SCIUTO, I. “Il problema della ragione in Lanfranco, Berengario e Pier Damiani in relazione all’opera di Anselmo d’Aosta”. In: G. D’Onofrio (ed.). Lanfranco di Pavia e l’Europa dell’XI secolo (1089-1989). Roma: Herder, 1993. pp. 595-607., che ha parlato, riferendosi al De divina omnipotentia, dell’istituzione di una vera e propria epistemologia scettica.

Questo tipo di considerazioni devono essere collocate nel preciso contesto in cui emergono: Damiani non era certo interessato a porre in scacco la conoscenza, privandola del suo più saldo principio. L’obiettivo del monaco era rivendicare la natura finita del sapere umano, sottolineandone la costituiva fragilità. L’episteme umana possiede uno statuto secondo, le cui premesse dipendono dall’onnipotenza divina. È per questa ragione che l’uomo non può sentirsi autorizzato o legittimato a giudicare delle possibilità divine in vista dei limiti che costituiscono il fondamento del sapere umano. È vero, tuttavia, che le conseguenze del discorso damianeo finivano per porre in risalto la contingenza, mai assicurata, del bagaglio conoscitivo umano. La posizione di Damiani rappresenta così il contraltare dell’approccio difeso da Berengario: alla prepotenza della ratio dialettica si sostituisce una prospettiva che, preservando le verità di fede, delimita e circoscrive il fondamento delle verità di ragione. Se questi erano i termini del dibattito, appariva sempre più necessaria un’impostazione che, difendendo la trascendenza della natura divina, fosse in grado di tutelare la stabilità e l’affidabilità del sapere umano. Nell’XI secolo, non vi è nessuno che abbia incarnato la necessità di questa mediazione meglio di Anselmo d’Aosta.

IV Anselmo d’Aosta e la “rationis necessitas”

Anselmo prende posizione nel dibattito operando una sintesi tra le due opposte tendenze appena menzionate. Anzi, la sua posizione può essere interpretata come un tentativo di rendere intelligibile tale mediazione. Da un lato, è necessario mantenere viva l’esperienza della fede preservando l’assoluta trascendenza del Creatore; dall’altro lato, è altrettanto opportuno salvaguardare il valore degli strumenti razionali a disposizione delle sue creature. L’esperienza anselmiana si fa carico di queste due istanze, incorporando le loro rispettive premesse.

Per apprezzare appieno la funzione svolta da Anselmo dobbiamo analizzare il settimo capitolo del Proslogion e, in prima istanza, il suo vero e proprio prologo dialettico, il Monologion. Il valore che Anselmo assegna alla ragione umana in questa meditazione de ratione fidei appare già nelle prime battute dell’opera. Su richiesta di alcuni confratelli, l’andamento del discorso procede senza l’ausilio delle Sacre Scritture: la sola auctoritas, in questa sede, sarà la rationis necessitas. In tal modo, qualora vi fosse qualcuno che non conosca o non creda in una natura superiore - si badi: non (ancora) Dio, bensì “unam naturam, summam omnium quae sunt” -, potrà convincersi della sua esistenza “con la sola ragione (sola ratione)” (Anselmus Cantuariensis, 1969ANSELMUS CANTUARIENSIS. “Monologion”. “Proslogion”. “De libertate arbitrii”. “De casu diaboli”. “Cur Deus homo”. In: F. S. Schmitt (ed.). Opera Omnia (VI Vols.). Apud Th. Nelson: Edinburgh, 1946-1961. Tradução para o italiano de Sofia Vanni Rovighi. Laterza: Roma-Bari 1969 (“Monologio”, “Proslogio”, “La libertà di arbitrio”, “La caduta del diavolo”). Tradução para o italiano de Antonio Orazzo. Città Nuova: Roma 2007 (“Perché un Dio uomo?”)., p. 5; Vol. I, p. 13, 5). Si dovrà dunque “progredire in modo razionale”, guidati dall’ausilio della ratio umana. Dopo Damiani, si tratta di una premessa tutt’altro che scontata e innocente. Tuttavia, l’accelerazione di Anselmo esclude che quanto guadagnato rappresenti il criterio unico e definitivo. In effetti, se l’indagine finisse per affermare “qualcosa che non sia suffragato da una più alta autorità”, “sebbene sia concluso come necessario dalle ragioni che mi parranno buone, non si dica che è assolutamente necessario, ma soltanto probabile” (Anselmus Cantuariensis, 1969ANSELMUS CANTUARIENSIS. “Monologion”. “Proslogion”. “De libertate arbitrii”. “De casu diaboli”. “Cur Deus homo”. In: F. S. Schmitt (ed.). Opera Omnia (VI Vols.). Apud Th. Nelson: Edinburgh, 1946-1961. Tradução para o italiano de Sofia Vanni Rovighi. Laterza: Roma-Bari 1969 (“Monologio”, “Proslogio”, “La libertà di arbitrio”, “La caduta del diavolo”). Tradução para o italiano de Antonio Orazzo. Città Nuova: Roma 2007 (“Perché un Dio uomo?”)., p. 5; Vol. I, 14, 1-4).

L’esercizio della ragione è autonomo, ma non per questo assoluto: è doveroso procedere mantenendo ferma la possibilità che la necessità conseguita sola ratione possa non essere l’ultima parola. Così facendo, Anselmo conserva lo spazio di una possibile alterità: la ragione umana è chiamata a mettere in campo tutti gli strumenti di cui dispone senza dimenticare lo spazio, sempre delimitato, in cui si esercita. Questa considerazione svolgerà un ruolo importante nel prosieguo del Monologion, quando Anselmo comprenderà che non tutto può essere dimostrato con i soli mezzi dell’intelletto umano. Vi sono infatti alcune cose - si pensi, ad esempio, alla Trinità - il cui contenuto trascende ogni tentativo di spiegazione. In questi casi, “a chi indaga una realtà incomprensibile deve bastare il pervenire con la ragione a conoscere con tutta certezza che essa esiste, anche se non può penetrarne con l’intelletto il come” (Anselmus CantuariensisANSELMUS CANTUARIENSIS. “Monologion”. “Proslogion”. “De libertate arbitrii”. “De casu diaboli”. “Cur Deus homo”. In: F. S. Schmitt (ed.). Opera Omnia (VI Vols.). Apud Th. Nelson: Edinburgh, 1946-1961. Tradução para o italiano de Sofia Vanni Rovighi. Laterza: Roma-Bari 1969 (“Monologio”, “Proslogio”, “La libertà di arbitrio”, “La caduta del diavolo”). Tradução para o italiano de Antonio Orazzo. Città Nuova: Roma 2007 (“Perché un Dio uomo?”)., 1969, p. 70; Vol. I, p. 75, 1-3).

Fa qui irruzione il tema della fede: se la ragione può capire il che della Trinità - che Dio è uno e trino -, non può comprenderne il come - come sia uno e trino. La ratio umana fa esperienza del proprio limite: non “bisogna prestare minor certezza di fede alle verità che sono asserite con argomenti necessari, senza che altre ragioni vi si oppongano, anche se non riusciamo a spiegarle per l’incomprensibile profondità della loro natura” (Anselmus Cantuariensis, 1969ANSELMUS CANTUARIENSIS. “Monologion”. “Proslogion”. “De libertate arbitrii”. “De casu diaboli”. “Cur Deus homo”. In: F. S. Schmitt (ed.). Opera Omnia (VI Vols.). Apud Th. Nelson: Edinburgh, 1946-1961. Tradução para o italiano de Sofia Vanni Rovighi. Laterza: Roma-Bari 1969 (“Monologio”, “Proslogio”, “La libertà di arbitrio”, “La caduta del diavolo”). Tradução para o italiano de Antonio Orazzo. Città Nuova: Roma 2007 (“Perché un Dio uomo?”)., p. 70; Vol. I, p. 75, 3-6). In questo contesto, la fede fa segno a ciò che vi è di inesplicabile nella Trinità e spinge la ragione a comprendere quanto essa sia incomprensibile. Riconoscerne l’incomprensibilità, tuttavia, non significa abdicare all’utilizzo della ragione o sottovalutare i risultati raggiunti, ma dispiegarne al massimo grado la funzione: insomma, è perfettamente razionale comprendere - sola ratione - che una data cosa è incomprensibile (“rationabiliter comprehendit incomprehensibile esse”). Anziché svalutare la ratio umana, sottostimandone i risultati, Anselmo si propone di dispiegarne al massimo grado le potenzialità, fino ad indicare il limite che la definisce.

In questa sede, non siamo interessati alla prova dell’esistenza di Dio fornita nel Monologion e alle motivazioni che hanno spinto Anselmo a tentare, con il Proslogion, un’altra via, in cui la fede sarà chiamata a ricercare la giustificazione razionale del proprio contenuto. Ciò che ci premeva era sottolineare la premessa della riflessione anselmiana: che la ratio umana non possa decidere o giudicare del contenuto delle verità di fede non implica che l’uomo non possa o non debba servirsene. L’ars dialectica non è quindi nemica del vero teologico, ma può rivelarsi uno strumento utile alla sua affermazione. È precisamente ciò che accade nel Proslogion. Ora, tralasciando la celebre dimostrazione dell’esistenza di Dio7 7 Sia detto per inciso: anche nell’unum argumentum del Proslogion appare chiaramente l’importanza assegnata da Anselmo all’indagine razionale. Nella celebre prova, infatti, l’ars dialectica non è soltanto al servizio della fede, ma è precisamente lo strumento che permette di dimostrarne, contro l’insipiente, la verità. Anselmo sta perciò dimostrando che l’esistenza di Dio appare con più necessità attraverso il procedimento razionale: la verità saputa di Dio è maggiore - ossia più forte, più stringente - della verità che si limita semplicemente a credere nella sua esistenza. , possiamo soffermarci sul settimo capitolo dell’opera, dove Anselmo chiama criticamente in causa, e proprio discutendo dell’onnipotenza divina, il magistero di Pier Damiani.

Il titolo del capitolo in questione costituisce la sintesi della soluzione anselmiana: “Quomodo sit omnipotens, cum multa non possit”. Si tratta di comprendere come Dio possa essere definito onnipotente, benché molte cose non siano in suo potere. La prima parte del capitolo procede per interrogativi che lasciano subito presagire la risposta da offrire al lettore: “Ma come sei onnipotente, se non puoi tutto? Se non puoi corromperti né mentire né fare che il vero sia falso, per esempio che ciò che è avvenuto non sia avvenuto, e molte cose simili, come puoi tutto?”. Con la precisazione successiva Anselmo chiude, di fatto, i giochi: “O forse il poter queste cose non è potenza, ma impotenza?” (Anselmus Cantuariensis, 1969ANSELMUS CANTUARIENSIS. “Monologion”. “Proslogion”. “De libertate arbitrii”. “De casu diaboli”. “Cur Deus homo”. In: F. S. Schmitt (ed.). Opera Omnia (VI Vols.). Apud Th. Nelson: Edinburgh, 1946-1961. Tradução para o italiano de Sofia Vanni Rovighi. Laterza: Roma-Bari 1969 (“Monologio”, “Proslogio”, “La libertà di arbitrio”, “La caduta del diavolo”). Tradução para o italiano de Antonio Orazzo. Città Nuova: Roma 2007 (“Perché un Dio uomo?”)., p. 92; Vol. I, p. 105, 9-12). È possibile discutere la nozione di onnipotenza nel Proslogion considerandola una questione eminentemente logica, come hanno fatto D. P. Henry (1967)HENRY, D. P. “The logic of Saint Anselm”. Oxford: Clarendon Press, 1967. e W. Morriston (2001)MORRISTON, W. “Omnipotence and the Anselmian God”. Philo, Vol. 4, n. 1, 2001, pp. 7-20., o analizzandola alla luce di un approccio teologico-metafisico, come ha proposto W. J. Courtenay (1975)COURTENAY, W. J. “Necessity and Freedom in Anselm’s Conception of God”. Analecta Anselmiana, IV/2, 1975, pp. 39-64.. M. Parodi (1986PARODI, M. “Improprietas verborum”. In: M. T. F. B. Brocchieri (ed.). Sopra la volta del mondo. Onnipotenza e potenza assoluta di Dio tra Medioevo e Età moderna. Bergamo: Lubrina, 1986. pp. 123-128., p. 125) ha giustamente sottolineato che i due tipi di interpretazione, analizzati all’interno del pensiero di Anselmo non sono in contrasto tra loro: “la situazione, considerata dalla parte di Dio, mette in luce la contraddizione metafisica (si parla di potentia mentre in realtà si tratterebbe di impotentia), mentre, considerata dalla parte dell’uomo, dà origine ad una contraddizione logica che si rivela nella improprietà linguistica dell’uso del verbo non-posse”.

L’aspetto che più ci interessa, ad ogni modo, riguarda la connessione tematica suggerita dagli esempi utilizzati da Anselmo: affermare che l’attributo dell’onnipotenza escluda l’eventualità che Dio possa fare in modo che ciò che è accaduto non sia accaduto significa evocare il cuore della riflessione presentata da Damiani nel De divina omnipotentia. Secondo il monaco ravennate, Dio poteva fare in modo che ciò che è stato non fosse stato. Che ciò implicasse la violazione del principium firmissimum era una questione che toccava la logica e la conoscenza umana, non la volontà divina. In una simile prospettiva, negare che Dio potesse far sì che quanto accaduto non fosse accaduto implicava la negazione, simul, della sua stessa onnipotenza - significava, in altri termini, giudicare delle possibilità divine alla luce delle possibilità umane.

L’approccio di Anselmo ribalta l’ordine di priorità imposto da Damiani: potersi corrompere e mentire, e soprattutto trasformare il vero in falso e qualcosa di accaduto in un evento mai realizzatosi, non è un segno di potenza, ma di debolezza. Come ha rilevato M. Della Serra (2010DELLA SERRA, M. “Non omnia potens. Spunti per una grammatica dell’onnipotenza in Anselmo d’Aosta”. Gregorianum, Vol. 91, Nr. 1., 2010, pp. 29-42., p. 33), “se il nonpotere qualcosa esprime un’impotenza, quando è Dio a non-potere qualcosa l’impotenza richiede agostinianamente necessarie precisazioni capaci di tradurre il non posse in potestas assoluta”. Ecco perché, secondo il Doctor Magnificus,

quando si dice che uno ha il potere di fare o di patire ciò che non gli giova o ciò che non deve, col termine potere si intende in realtà una impotenza; perché quanto più uno ha questo potere, tanto più possono in lui l’avversità e la malvagità, e tanto più egli è impotente contro di esse. Dunque, Signore Dio, tu sei veracemente onnipotente proprio perché non puoi nulla di ciò che è indice di impotenza e nulla ha potere contro di te (Anselmus Cantuariensis, 1969ANSELMUS CANTUARIENSIS. “Monologion”. “Proslogion”. “De libertate arbitrii”. “De casu diaboli”. “Cur Deus homo”. In: F. S. Schmitt (ed.). Opera Omnia (VI Vols.). Apud Th. Nelson: Edinburgh, 1946-1961. Tradução para o italiano de Sofia Vanni Rovighi. Laterza: Roma-Bari 1969 (“Monologio”, “Proslogio”, “La libertà di arbitrio”, “La caduta del diavolo”). Tradução para o italiano de Antonio Orazzo. Città Nuova: Roma 2007 (“Perché un Dio uomo?”)., p. 93; Vol. I, pp. 105-106, 23-2).

Secondo Anselmo, è proprio l’omnipotentia Dei ad escludere la realizzazione di quell’ordine di possibilità che Damiani giudicava consustanziale all’azione divina. Insomma, non è sufficiente gridare a gran voce l’onnipotenza di Dio; bisogna, al contrario, comprendere e definire il dominio concreto in cui può esercitarsi. Un tale approccio verrà confermato nel De libertate arbtrii e nel De casu diaboli. I due dialoghi certificano lo stesso presupposto esplicitato nel Proslogion, fornendo delle ulteriori precisazioni sull’estensione della potentia Dei. Nel De libertate arbitri, Anselmo sostiene che “Dio può lasciar cadere nel nulla tutta la sostanza che dal nulla ha creato, ma non può separare la rettitudine da una volontà che l’abbia” (Anselmus Cantuariensis, 1969ANSELMUS CANTUARIENSIS. “Monologion”. “Proslogion”. “De libertate arbitrii”. “De casu diaboli”. “Cur Deus homo”. In: F. S. Schmitt (ed.). Opera Omnia (VI Vols.). Apud Th. Nelson: Edinburgh, 1946-1961. Tradução para o italiano de Sofia Vanni Rovighi. Laterza: Roma-Bari 1969 (“Monologio”, “Proslogio”, “La libertà di arbitrio”, “La caduta del diavolo”). Tradução para o italiano de Antonio Orazzo. Città Nuova: Roma 2007 (“Perché un Dio uomo?”)., p. 203; Vol. I, p. 220, 13-15). La ragione, secondo il magister, è di facile comprensione: è retta quella volontà che vuole quello che Dio vuole che essa voglia. Ora, se Dio separasse da tale volontà ciò che la rende retta, lo farebbe o perché costretto o per una ragione determinata. La prima alternativa deve essere subito scartata, visto che Dio non agisce patendo alcuna costrizione. Nel secondo caso, invece, Dio, separando dalla volontà ciò che la rende retta, ossia il suo volere in conformità al volere divino, imporrebbe di non volere ciò che lui vuole che la volontà voglia. In breve, Dio finirebbe per contraddirsi: è per questa ragione che “nulla è più impossibile dell’ipotesi che Dio tolga la rettitudine alla volontà” (Anselmus Cantuariensis, 1969ANSELMUS CANTUARIENSIS. “Monologion”. “Proslogion”. “De libertate arbitrii”. “De casu diaboli”. “Cur Deus homo”. In: F. S. Schmitt (ed.). Opera Omnia (VI Vols.). Apud Th. Nelson: Edinburgh, 1946-1961. Tradução para o italiano de Sofia Vanni Rovighi. Laterza: Roma-Bari 1969 (“Monologio”, “Proslogio”, “La libertà di arbitrio”, “La caduta del diavolo”). Tradução para o italiano de Antonio Orazzo. Città Nuova: Roma 2007 (“Perché un Dio uomo?”)., p. 204; Vol. I, p. 221, 8-9), cioè nulla è più impossibile - e quindi irrealizzabile - della contraddizione. Anselmo recupera dunque una delle impossibilità descritte nel settimo capitolo del Proslogion: far sì che il vero sia falso. Se Dio, in virtù della sua onnipotenza, può annichilire ciò che ha creato, non può mai separare dalla volontà ciò che la rende retta; e non può farlo, perché la sua volontà non può contraddirsi.

Nel De casu diaboli, Anselmo ritorna sul problema dell’estensione del potere divino per definire in maniera precisa il dominio semantico del potere e del non potere, visto che “molte cose si dicono impropriamente nel linguaggio comune” (Anselmus Cantuariensis, 1969ANSELMUS CANTUARIENSIS. “Monologion”. “Proslogion”. “De libertate arbitrii”. “De casu diaboli”. “Cur Deus homo”. In: F. S. Schmitt (ed.). Opera Omnia (VI Vols.). Apud Th. Nelson: Edinburgh, 1946-1961. Tradução para o italiano de Sofia Vanni Rovighi. Laterza: Roma-Bari 1969 (“Monologio”, “Proslogio”, “La libertà di arbitrio”, “La caduta del diavolo”). Tradução para o italiano de Antonio Orazzo. Città Nuova: Roma 2007 (“Perché un Dio uomo?”)., p. 237; Vol. I, p. 253, 19-20). Spesso, infatti, si conferisce ad una determinata cosa un potere che non appartiene ad essa, come quando, ad esempio, affermiamo che un libro può essere scritto da noi. È a partire da simili erronee considerazioni che si finisce per attribuire a Dio delle possibilità che, anziché aumentare il raggio della sua potenza, finiscono per contraddirla:

Da qui deriva il modo di dire che Dio non può far nulla che gli sia contrario o sia perverso, perché Dio è talmente potente nella beatitudine e nella giustizia, anzi [...] è talmente onnipotente nel semplice bene che nessuna realtà può recare offesa al Sommo Bene. E perciò Dio non può né corrompersi né mentire (Anselmus Cantuariensis, 1969ANSELMUS CANTUARIENSIS. “Monologion”. “Proslogion”. “De libertate arbitrii”. “De casu diaboli”. “Cur Deus homo”. In: F. S. Schmitt (ed.). Opera Omnia (VI Vols.). Apud Th. Nelson: Edinburgh, 1946-1961. Tradução para o italiano de Sofia Vanni Rovighi. Laterza: Roma-Bari 1969 (“Monologio”, “Proslogio”, “La libertà di arbitrio”, “La caduta del diavolo”). Tradução para o italiano de Antonio Orazzo. Città Nuova: Roma 2007 (“Perché un Dio uomo?”)., p. 237; Vol. I, p. 253, 28-32).

Il dialogo in esame individua ed esplicita un’altra delle impossibilità descritte in precedenza, riferendosi all’impossibilità che Dio possa mentire. Il settimo capitolo del Proslogion può essere quindi interpretato come il grande spartito della potenza divina che fa da sfondo allo sviluppo della riflessione anselmiana.

La posizione presentata da Anselmo nel Proslogion, e confermata tanto nel De libertate arbitrii quanto nel De casu diaboli, verrà ulteriormente approfondita nel Cur Deus Homo. Secondo F. Corvino (1974CORVINO F. “Studi di filosofia medievale”. Bari: Adriatica, 1974.; cf. Holopainen, 1999HOLOPAINEN, T. J. “Necessity in Early Medieval Thought: Peter Damiani and Anselm of Canterbury”. In: P. Gilbert, H. K. Kohlenberger, E. Salmann (eds.). Cur Deus Homo. Atti del Congresso Anselmiano Internazionale (Roma, 21-23 maggio 1998). Roma: Herder, 1999. pp. 221-234.), ciò è dovuto a considerazioni di carattere biografico: la stesura del dialogo, iniziata in Inghilterra, è stata portata a termine durante un viaggio compiuto da Anselmo nella provincia di Capua, a diretto contatto con l’ambiente cassinese, ancora influenzato dalla lectio damianea. Vi sono però anche delle motivazioni di carattere teologico. La domanda che sorregge il dialogo è infatti la seguente: “Per quale necessità e per quale ragione Dio, pur essendo onnipotente, ha assunto l’umiltà e la debolezza della natura umana per restaurarla?” (Anselmus Cantuariensis, 2007ANSELMUS CANTUARIENSIS. “Monologion”. “Proslogion”. “De libertate arbitrii”. “De casu diaboli”. “Cur Deus homo”. In: F. S. Schmitt (ed.). Opera Omnia (VI Vols.). Apud Th. Nelson: Edinburgh, 1946-1961. Tradução para o italiano de Sofia Vanni Rovighi. Laterza: Roma-Bari 1969 (“Monologio”, “Proslogio”, “La libertà di arbitrio”, “La caduta del diavolo”). Tradução para o italiano de Antonio Orazzo. Città Nuova: Roma 2007 (“Perché un Dio uomo?”)., p. 82; Vol. II, p. 48, 22-24).

Il tema dell’opera spinge Anselmo a ridefinire la questione. D’altra parte, Dio, incarnandosi, ha assunto su di sé le prerogative e le debolezze che caratterizzano l’essenza creaturale dell’uomo. Non è sorprendente ritrovare così il tema della menzogna, analizzato questa volta in una prospettiva differente. A tal proposito, anziché negare subito l’eventualità che il Figlio possa mentire, Anselmo procede ad un’analisi più ampia, riconducendo tale impossibilità ad una libera scelta. Ora, poiché ogni potere segue la volontà, si può arrivare a sostenere che Cristo “poteva mentire, sottintendendo: se avesse voluto. E poiché non poteva mentire contro la propria volontà, né poteva voler mentire, si può anche dire che non poteva mentire. È in questo senso che egli poteva e non poteva mentire” (Anselmus Cantuariensis, 2007ANSELMUS CANTUARIENSIS. “Monologion”. “Proslogion”. “De libertate arbitrii”. “De casu diaboli”. “Cur Deus homo”. In: F. S. Schmitt (ed.). Opera Omnia (VI Vols.). Apud Th. Nelson: Edinburgh, 1946-1961. Tradução para o italiano de Sofia Vanni Rovighi. Laterza: Roma-Bari 1969 (“Monologio”, “Proslogio”, “La libertà di arbitrio”, “La caduta del diavolo”). Tradução para o italiano de Antonio Orazzo. Città Nuova: Roma 2007 (“Perché un Dio uomo?”)., p. 147; Vol. II, p. 107, 6-9). Anselmo è spinto a formulare tale possibilità solo perché ha calato l’esistenza di Dio nella storia dell’uomo, vale a dire solo perché Dio si è fatto uomo; tuttavia, se giudicata absolute, essa è oggetto di un fermo rifiuto:

Non segue infatti che, se Dio vuol mentire, il mentire sia giusto, ma piuttosto che questi non è Dio. Non può mai mentire una volontà, se in essa non è stata corrotta la verità, anzi se essa non si è corrotta abbandonando la verità [...] Perciò è vero dire: se Dio lo vuole, è giusto, soltanto di quelle cose che - se Dio le vuole - non presentano inconvenienti (Anselmus Cantuariensis, 2007ANSELMUS CANTUARIENSIS. “Monologion”. “Proslogion”. “De libertate arbitrii”. “De casu diaboli”. “Cur Deus homo”. In: F. S. Schmitt (ed.). Opera Omnia (VI Vols.). Apud Th. Nelson: Edinburgh, 1946-1961. Tradução para o italiano de Sofia Vanni Rovighi. Laterza: Roma-Bari 1969 (“Monologio”, “Proslogio”, “La libertà di arbitrio”, “La caduta del diavolo”). Tradução para o italiano de Antonio Orazzo. Città Nuova: Roma 2007 (“Perché un Dio uomo?”)., p. 105; Vol. II, p. 70, 17-26).

La possibilità che Dio possa effettivamente mentire è esclusa, in linea con la trattazione svolta nel Proslogion e nei dialoghi successivi. Come ha sostenuto W. J. Courtenay (1975, p. 60), “Anselm believes that actions of God conform to some norm, a norm however which is not the creation of some outside agency or even the result of his desire to abide by his past actions, but a norm consistent with and produced by the nature of God”. Non vi è alcun volontarismo nell’approccio anselmiano: l’ordine morale non dipende da una scelta divina, ma Dio, esistendo, lo diffonde e lo esplicita nell’ordo creationis. Il non poter mentire non riduce il dominio delle possibilità divine, limitandone l’azione: Dio, del resto, “non fa nulla per necessità, perché in nessun modo è costretto o impedito nel compiere qualcosa” (Anselmus Cantuariensis, 2007ANSELMUS CANTUARIENSIS. “Monologion”. “Proslogion”. “De libertate arbitrii”. “De casu diaboli”. “Cur Deus homo”. In: F. S. Schmitt (ed.). Opera Omnia (VI Vols.). Apud Th. Nelson: Edinburgh, 1946-1961. Tradução para o italiano de Sofia Vanni Rovighi. Laterza: Roma-Bari 1969 (“Monologio”, “Proslogio”, “La libertà di arbitrio”, “La caduta del diavolo”). Tradução para o italiano de Antonio Orazzo. Città Nuova: Roma 2007 (“Perché un Dio uomo?”)., p. 139; Vol. II, p. 100, 20-21). Di conseguenza, Dio non potrebbe, neppure se lo volesse, rendere meritoria la menzogna, perché finirebbe per contraddire la propria natura. Dato che “la volontà divina non è mai irrazionale” (Anselmus Cantuariensis, 2007ANSELMUS CANTUARIENSIS. “Monologion”. “Proslogion”. “De libertate arbitrii”. “De casu diaboli”. “Cur Deus homo”. In: F. S. Schmitt (ed.). Opera Omnia (VI Vols.). Apud Th. Nelson: Edinburgh, 1946-1961. Tradução para o italiano de Sofia Vanni Rovighi. Laterza: Roma-Bari 1969 (“Monologio”, “Proslogio”, “La libertà di arbitrio”, “La caduta del diavolo”). Tradução para o italiano de Antonio Orazzo. Città Nuova: Roma 2007 (“Perché un Dio uomo?”)., p. 92; Vol. II, p. 59, 11), “Dio non può contraddire se stesso” (Anselmus Cantuariensis, 2007ANSELMUS CANTUARIENSIS. “Monologion”. “Proslogion”. “De libertate arbitrii”. “De casu diaboli”. “Cur Deus homo”. In: F. S. Schmitt (ed.). Opera Omnia (VI Vols.). Apud Th. Nelson: Edinburgh, 1946-1961. Tradução para o italiano de Sofia Vanni Rovighi. Laterza: Roma-Bari 1969 (“Monologio”, “Proslogio”, “La libertà di arbitrio”, “La caduta del diavolo”). Tradução para o italiano de Antonio Orazzo. Città Nuova: Roma 2007 (“Perché un Dio uomo?”)., p. 131; Vol. II, p. 93, 26-27), violando l’essenza più intima che lo costituisce.

Fino a questo punto, l’andamento del Cur Deus homo non modifica le premesse della riflessione precedente; anzi, sembra che Anselmo si sia limitato ad esplicitarle. Nel diciassettesimo capitolo della seconda parte dell’opera, però, vi è un passo che recupera in termini positivi una delle impossibilità descritte nel Proslogion, e proprio la più importante, ossia quella connessa al De divina omnipotentia di Damiani e alla possibilità che Dio possa intervenire nel passato per modificarlo. Anselmo sostiene che Dio faccia tutto, e solo, ciò che vuole, senza che alcuna necessità preceda il suo volere, vincolandolo: la sua voluntas è infatti immutabile, e non patisce alcuna pregressa costrizione. Per queste ragioni, “quando Dio fa qualcosa, è impossibile che non sia stato fatto quanto è stato fatto, ma è sempre vero che è stato fatto”. Ad ogni modo, aggiunge Anselmo, “giustamente non si dice che è impossibile a Dio di fare che il passato non sia passato (non tamen recte dicitur impossibile Deo esse, ut faciat quod praeteritum est non esse praeteritum)” (Anselmus Cantuariensis, 2007ANSELMUS CANTUARIENSIS. “Monologion”. “Proslogion”. “De libertate arbitrii”. “De casu diaboli”. “Cur Deus homo”. In: F. S. Schmitt (ed.). Opera Omnia (VI Vols.). Apud Th. Nelson: Edinburgh, 1946-1961. Tradução para o italiano de Sofia Vanni Rovighi. Laterza: Roma-Bari 1969 (“Monologio”, “Proslogio”, “La libertà di arbitrio”, “La caduta del diavolo”). Tradução para o italiano de Antonio Orazzo. Città Nuova: Roma 2007 (“Perché un Dio uomo?”)., p. 165; Vol. II, p. 123, 3-6).

All’apparenza, la precisazione anselmiana stravolge l’andamento della discussione, recuperando l’eventualità affermata da Damiani e rifiutata dal Doctor Magnificus nel settimo capitolo del Proslogion. Questo passaggio, tuttavia, non deve essere scorporato dal contesto in cui si inscrive. Anselmo precisa che, benché in termini assoluti questa possibilità non possa essere esclusa, di fatto, però, si tratta di un’eventualità che non verrà mai realizzata: poiché Dio è “la verità stessa, vuole che la verità sia sempre immutabile, come effettivamente è” (Anselmus Cantuariensis, 2007ANSELMUS CANTUARIENSIS. “Monologion”. “Proslogion”. “De libertate arbitrii”. “De casu diaboli”. “Cur Deus homo”. In: F. S. Schmitt (ed.). Opera Omnia (VI Vols.). Apud Th. Nelson: Edinburgh, 1946-1961. Tradução para o italiano de Sofia Vanni Rovighi. Laterza: Roma-Bari 1969 (“Monologio”, “Proslogio”, “La libertà di arbitrio”, “La caduta del diavolo”). Tradução para o italiano de Antonio Orazzo. Città Nuova: Roma 2007 (“Perché un Dio uomo?”)., p. 165; Vol. II, p. 123, 7-8). Insomma, se Dio agisse nel mondo facendo sì che ciò che è accaduto non sia accaduto, finirebbe per smentire il piano dell’ordinatio, venendo meno all’immutabilità che caratterizza la sua essenza e i risultati del suo aver agito. Ecco perché, in termini operativi, “quanto Dio immutabilmente vuole, non può non essere, ed è necessario che sia” (Anselmus Cantuariensis, 2007ANSELMUS CANTUARIENSIS. “Monologion”. “Proslogion”. “De libertate arbitrii”. “De casu diaboli”. “Cur Deus homo”. In: F. S. Schmitt (ed.). Opera Omnia (VI Vols.). Apud Th. Nelson: Edinburgh, 1946-1961. Tradução para o italiano de Sofia Vanni Rovighi. Laterza: Roma-Bari 1969 (“Monologio”, “Proslogio”, “La libertà di arbitrio”, “La caduta del diavolo”). Tradução para o italiano de Antonio Orazzo. Città Nuova: Roma 2007 (“Perché un Dio uomo?”)., p. 163; Vol. II, p. 121, 16-17). Alla luce di queste precisazioni, Anselmo conferma le linee guida del Proslogion; anzi, in un passo subito successivo, si richiama, in modo implicito ma altrettanto chiaro, al settimo capitolo di quell’opera: “Sarebbe infatti più impotenza che potenza, se potesse voler mentire o ingannare o cambiare una volontà, che in un primo momento volle immutabile” (Anselmus Cantuariensis, 2007ANSELMUS CANTUARIENSIS. “Monologion”. “Proslogion”. “De libertate arbitrii”. “De casu diaboli”. “Cur Deus homo”. In: F. S. Schmitt (ed.). Opera Omnia (VI Vols.). Apud Th. Nelson: Edinburgh, 1946-1961. Tradução para o italiano de Sofia Vanni Rovighi. Laterza: Roma-Bari 1969 (“Monologio”, “Proslogio”, “La libertà di arbitrio”, “La caduta del diavolo”). Tradução para o italiano de Antonio Orazzo. Città Nuova: Roma 2007 (“Perché un Dio uomo?”)., p. 166; Vol. II, p. 124, 9-11).

L’approccio di Anselmo, pertanto, non subisce alcuna variazione neppure nel Cur Deus homo; anzi, per quanto concerne l’esempio che più ci interessa in questa sede - ossia la possibilità che ciò che è accaduto non sia accaduto, posta la volontà onnipotente di Dio -, il magister fornisce delle ragioni ulteriori per confermare i presupposti della sua indagine. Anche in questo caso, tuttavia, la presa di posizione di Damiani resta sempre criticamente sullo sfondo, accompagnando l’andamento di tutta la speculazione anselmiana.

V Osservazioni conclusive

Se analizziamo la posizione di Anselmo all’interno del dibattito che ha caratterizzato l’XI secolo, possiamo rilevare come il suo approccio costituisca una mediazione, storica e teorica, tra le due istanze che abbiamo visto confrontarsi. Anselmo, infatti, conserva tanto l’opportunità di servirsi delle arti liberali in materia di fede, quanto la necessità di preservare l’alterità incarnata dal Creatore. Da una parte, il magister di Aosta ha incorporato l’ars dialectica nella trattazione teologica, rinunciando al suo valore poietico; dall’altra parte, ha mantenuto viva la trascendenza divina, garantendo all’uomo di poterla analizzare secondo ragione. In questo contesto, l’onnipotenza divina non descrive né un raggio i cui confini siano toto caelo disponibili allo sguardo delle creature, né una potentia estranea, sottratta ad ogni vincolo, sia esso logico o metafisico. Secondo una simile prospettiva, che si appresta a diventare canonica nel dibattito successivo, Dio non potrà che agire secundum rationem, ossia commisurando la sua potenza ad un ordine determinato dai dettami del principio di non contraddizione.

La solutio presentata da Anselmo porrà idealmente fine alle dispute accesesi nell’XI secolo, operando una mediazione necessaria per mantenere viva - uno actu - l’alterità dell’essenza divina e l’intrinseca dignità della ratio umana. Grazie alla mediazione realizzata da Anselmo, la posizione di Damiani, che aveva attraversato come uno spettro la sua riflessione, verrà depotenziata per trasformarsi in una pura e semplice quaestio di scuola nella storia dell’onnipotenza divina (cf., a titolo di esempio, Thomas de Aquino, 2003THOMAS DE AQUINO. “Quaestiones quodlibetales”. Editio Leonina. Roma-Paris: Éditions du Cerf, 1996. Tradução para o italiano de Roberto Coggi. Bologna: Edizioni Studio Domenicano, 2003., pp. 505-507; Quodl. V, q. 2, a. 1) - una possibilità limite che viene presentata per essere subito confutata. D’ora in poi, Dio sarà onnipotente solo perché considerato incapace di violare il principio di non contraddizione.

  • 1
    Quella romana non fu comunque l’unica condanna: la posizione di Berengario venne condannata nel settembre dello stesso anno (1050) a Vercelli e nel 1054 a Tours. Nell’aprile del 1059 venne convocato a Roma per leggere la professione di fede, per essere poi nuovamente condannato nel 1062 nel concilio di Angers e nel concilio romano del 1079.
  • 2
    Cf. Beringerius Turonensis, 1988BERINGERIUS TURONENSIS. “Rescriptum contra Lanfrancum”. Tourhout: Brepols, 1988., p. 85: “Maximi plane cordis est per omnia ad dialecticam confugere, quia confugere ad eam ad rationem est confugere, quia qui non confugit, cum secundum rationem sit factus ad imaginem Dei, suum honorem reliquit nec potest renovari de die in diem ad imaginem Dei”.
  • 3
    Cf. Petrus Damianus, 2001PETRUS DAMIANUS. “De vera felicitate et sapientia”. In: K. Reindel (ed.). Die Briefe des Petrus Damiani (IV Vols). München: Monumenta Germaniae Historica. Die Briefe der Deutschen Kaiserzeit, 1983-1993. Brief 23 (Vol. I), 1983. Tradução para o italiano de Adelelmo Dindelli, Costanzo Somigli. Città Nuova: Roma, 2001., p. 65: “Ma dato che tu non occupi nel mondo l’ultimo posto, e non puoi evitare del tutto con i tuoi interlocutori di scambiare parole del linguaggio profano, o di attingere qualche cosa dai tuoi studi letterari, abbi questa avvertenza: diventa negli argomenti profani quasi grossolano, ed invece in quelli spirituali metti in esercizio tutte le tue possibilità intellettuali; nei primi mostrati indifferente, nei secondi pieno di ogni genere di risorse. Perché dunque nell’esercizio della tua professione secolare non puoi ottenere di poter essere privo completamente dell’astuzia del serpente, cerca almeno di fare in modo che la sapienza spirituale assorba la tua prudenza terrena e la rivolga, per così dire, ai misteri di cui essa è costituita”.
  • 4
    Cf. Petrus Damianus, 2013PETRUS DAMIANUS. “Lettre sur la toute-puissance divine”. Ed. André Cantin. Paris: Les éditions du Cerf, 1972. Tradução para o italiano de Alfredo Gatto. Il Prato: Padova, 2013., p. 115; 596 C, 21-28: “In virtù di quale pregiudizio Dio non potrebbe restituire la verginità ad una donna che l’ha perduta? Forse non vuole per la ragione che non può? E per questo non vuole, perché è un male? Nello stesso modo in cui si è detto che Dio né vuole né può mentire e spergiurare e commettere un’ingiustizia? Ma è lungi da noi credere che sia un male che una fanciulla violata ritorni vergine. Al contrario, come è un male che una vergine sia violata, così, senz’alcun dubbio, sarebbe un bene ritornare vergine per quella donna deflorata”.
  • 5
    Cf. Petrus Damianus, 2013PETRUS DAMIANUS. “Lettre sur la toute-puissance divine”. Ed. André Cantin. Paris: Les éditions du Cerf, 1972. Tradução para o italiano de Alfredo Gatto. Il Prato: Padova, 2013., p. 131; 603 C-D, 50-59: “Ciò che proviene dalle argomentazioni dei dialettici o dei retori non è da applicare con leggerezza ai misteri della potenza divina, e le regole che sono state inventate per formare i sillogismi o le conclusioni degli enunciati non sia mai che irrompano, con tenacia, contro le sacre leggi, così da opporre alla potenza divina la necessità delle loro conclusioni. Tuttavia, la perizia dell’arte umana, se è applicata all’esame della parola sacra, non deve usurpare con arroganza il diritto di far da maestra, bensì, come una serva, deve assecondare la padrona con la sottomissione che deve essere propria di chi serve”.
  • 6
    Cf. Petrus Damianus, 2013PETRUS DAMIANUS. “Lettre sur la toute-puissance divine”. Ed. André Cantin. Paris: Les éditions du Cerf, 1972. Tradução para o italiano de Alfredo Gatto. Il Prato: Padova, 2013., p. 133; 604 A, 72-90: “Ovviamente, questa questione fu abbondantemente discussa nel passato dagli antichi maestri delle arti liberali, non solo pagani, ma anche dagli adepti della fede cristiana. Nessuno di loro, tuttavia, osò spingersi ad una tale follia da tacciare Dio d’impotenza, e, in particolare se cristiano, di dubitare della sua onnipotenza, ma discussero della possibilità o impossibilità logica secondo gli stretti vincoli della loro arte, senza fare mai menzione di Dio in tali dibattiti [...] Tale questione, dunque, non spingendosi fino a mettere in discussione la potenza della maestà divina, riguarda piuttosto l’esercizio dell’arte dialettica, e non l’essenza e la realtà delle cose, ma il modo e l’ordine della discussione e la concatenazione delle parole, non trova posto tra i misteri della Chiesa, essendo brandita solo dai fanciulli nelle scuole”.
  • 7
    Sia detto per inciso: anche nell’unum argumentum del Proslogion appare chiaramente l’importanza assegnata da Anselmo all’indagine razionale. Nella celebre prova, infatti, l’ars dialectica non è soltanto al servizio della fede, ma è precisamente lo strumento che permette di dimostrarne, contro l’insipiente, la verità. Anselmo sta perciò dimostrando che l’esistenza di Dio appare con più necessità attraverso il procedimento razionale: la verità saputa di Dio è maggiore - ossia più forte, più stringente - della verità che si limita semplicemente a credere nella sua esistenza.

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Datas de Publicação

  • Publicação nesta coleção
    22 Out 2021
  • Data do Fascículo
    Jan-Apr 2021

Histórico

  • Recebido
    30 Mar 2020
  • Aceito
    09 Jun 2020
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